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Ogni maledetto venerdì

by Ludovico Basili

di Ludovico Basili, ecologista

I ragazzi del movimento Fridays for future (Fff) che nell’era pre Covid sono riusciti a mobilitare milioni di persone in tutto il mondo contro la crisi climatica, lo scorso nove ottobre sono tornati a riempire più di cento città con il nuovo sciopero nazionale del clima. «Siamo di nuovo in piazza. Nonostante ci troviamo in una pandemia globale, la crisi climatica non si è fermata. Anzi continua ad essere ignorata e trascurata dalle persone al potere. La crisi sanitaria ha mostrato le contraddizioni dell’attuale sistema economico e sociale, e ci ha costretti ad affrontare la realtà ascoltando la scienza e trattando una situazione di emergenza come tale. Ma nonostante questo, nessun governo, nemmeno quello italiano, ha iniziato ad ascoltare sul serio gli allarmi che la comunità scientifica ripete da anni».

Il mese di settembre 2020 è stato il settembre più caldo mai registrato sia a livello europeo che globale. In Italia il surriscaldamento del clima continua a correre a più non posso: nel 2019 ha segnato un +1,56°C rispetto al valore climatico di riferimento del periodo 1961-1990 mentre la crescita rispetto al periodo 1880-1909 è pari a 2,5°C. Sono valori praticamente doppi rispetto alla media globale.

«Gli incendi, gli uragani, la siccità la distruzione dei raccolti, le alluvioni e le migrazioni stanno mietendo vittime oggi e di anno in anno rendono la vita sempre più difficile a milioni di persone in tutto il mondo. Perché tutto questo ancora non basta per decidersi ad agire? Perché tocca sempre a noi, ragazzi studenti e lavoratori, scendere in piazza per cercare di scuoterli?».

Grazie al loro impegno e alla spinta delle manifestazioni, l’Europa ha rivisto al rialzo gli obiettivi climatici fino a una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, come affermato da Ursula von der Leyen, leader della Commissione europea, nel luglio 2019. Saranno anni decisivi e la spinta dal basso dei movimenti sarà sempre più importante.

L’opportunità, adesso, è quella di ripartire dopo il Covid-19 puntando su un diverso modello di sviluppo, mettendo a frutto le risorse messe a disposizione dall’Europa: «Questa pandemia è stata ed è ancora una tragedia. Ma molti scienziati ed economisti parlano chiaro: le misure per la ripartenza ci possono permettere di avviare la riconversione ecologica, risollevando l’economia creando nuovi e diversi lavori, risolvendo allo stesso tempo molti problemi sociali del nostro Paese».

Greta Thunberg, l’apripista

Da un venerdì del settembre 2018 quando Greta Thunberg scelse di scioperare dalla scuola scrivendo in un volantino «Lo faccio perché voi adulti state cagando sul mio futuro», il movimento Fff ha visto crescere numeri e partecipazione. Secondo un rapporto Protest for a future disponibile su cosmos.sns.itThe Centre on Social Movement Studies, della Scuola Normale Superiore – nel 2019 sono scese in piazza, sulla spinta del Fff, 2.300.000 persone in 2.382 città del mondo in 135 paesi. Gli estensori del rapporto hanno diffuso un questionario (diffuso, a studenti sotto i venti anni, durante lo sciopero globale del 15 marzo 2029 nei cortei di Amsterdam, Berlino, Brema, Bruxelles, Firenze, Ginevra, Losanna, Molmoe, Manchester, Stoccolma, Truno, Vienna e Varsavia) il cui obiettivo era indagare su chi potesse dare un reale contributo per contrastare il riscaldamento globale. Secondo il 59% degli intervistati è possibile contare sulla scienza; solo per il 10% è possibile contare sui governi; per il 59,3% l’obiettivo può essere raggiunto principalmente attraverso comportamenti individuali; per il 79% i governi devono agire secondo quanto dicono gli scienziati del clima anche se la maggioranza delle persone si oppone; il 91,1% ha partecipato alla manifestazioni per spingere i politici a cambiare le cose.

Sempre dal Rapporto emerge che il 44.9% non aveva mai partecipato a una manifestazione in vita sua, il 34,4% era venuto a conoscenza della manifestazione attraverso amici e conoscenti il 54,7% attraverso i social media, Greta ha influito per il 38,1% sulla scelta di partecipare. La ricerca evidenzia un impegno limitato nei confronti delle organizzazioni ambientaliste consolidate, o negli ambienti dei movimenti sociali, con diverse interpretazioni dell’importanza della politica, dello stile di vita e un atteggiamento di speranza verso il futuro. Emerge una nuova generazione di attivisti per il clima e lo sviluppo del Fff come movimento di base, con una forte presenza femminile e un forte uso dei social media e dei peer network.

La consapevolezza del proprio ruolo generazionale nei confronti della crisi climatica è uno dei dati fondamentali del Fff. Se il futuro è dei giovani, come agli adulti piace spesso ripetere, allora i giovani hanno titolo di parlare a nome del futuro, di farsene carico e di chiederne conto a chi comanda.

I ragazzi e le ragazze di Fff sanno usare la carta generazionale maneggiando con disinvoltura armi pesanti come la scienza, il senso di colpa e l’ansia da catastrofe, si destreggiano tra pratiche individuali e battaglie collettive. Il loro è un movimento che si porta dentro tutte le nevrosi e le contraddizioni della nostra epoca, ma che invece di nasconderle sotto il tappeto o di farne schiacciare le persone a una a una nel proprio isolamento, decide di metterle in piazza e farne oggetto di una gigantesca esperienza di partecipazione di massa. 

Giù la maschera

Tra i meriti che vanno attribuiti al movimento alcuni sono particolarmente rilevanti. Aver smascherato definitivamente l’illusione che si possono tenere insieme protezione ambientale, ossia diminuzione delle emissioni, e alti profitti e quindi il valore della cura del pianeta. Che giustizia climatica e giustizia sociale sono due aspetti della stessa medaglia e debbono procedere di pari passo. L’attenzione alle diseguaglianze, anche in termini geopolitici, tra nord e sud del mondo, per cui la giustizia climatica o è intrinsecamente anche decolonizzazione o non è. 

Il tentativo di incrociare ambiente e lavoro, perché la crisi climatica è una crisi sociale. Riconoscere che non è l’homo sapiens in generale il responsabile, che non si è tutti ugualmente colpevoli. Lo slogan è «Cambiare il sistema non il clima» perché il legame tra il sistema economico produttivo attuale e la crisi climatica è assolutamente chiaro.

Dalla protesta alla proposta, ma sempre in piazza. Lo scorso luglio il movimento Fff hanno promosso la campagna in sette punti Ritorno al futuro per: investire nella transizione ecologica; riaffermare il ruolo pubblico nell’economia; realizzare la giustizia climatica e sociale; ripensare il sistema agroalimentare; tutelare la salute, il territorio e le comunità, promuovere la democrazia, l’istruzione e la ricerca; costruire l’Europa della riconversione e dei popoli.

Un accorato appello per avviare «una rivoluzione culturale, sociale, economica e politica. Un cambio di paradigma. Dobbiamo smettere di pensare solo a noi stessi e ai nostri bisogni immediati. Dobbiamo pensare che tutto ciò che facciamo ha un impatto, e agire secondo ciò che è bene anche per gli altri e per questo mondo. Dobbiamo pretendere che chi ci governa agisca per il bene comune e che le imprese, come ad esempio quelle legate ai combustibili fossili, smettano di danneggiare il pianeta. Sono decenni che gli scienziati sanno cosa comporta emettere gas serra nell’atmosfera, ma fino ad ora non sono stati ascoltati abbastanza. È tempo di cambiare rotta e agire. E anche in fretta».

Ludovico Basili

Ludovico Basili

Ecologista

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