di Luigi Sandri. Redazione Confronti
Hanno suonato a festa – metaforicamente – la campane di molti gruppi e comunità ecclesiali e, forse, di qualche diocesi, e pure di gruppi LGBT “laici” ma in qualche modo interessati alle opinioni della Chiesa cattolica, quando il 21 ottobre le agenzie di stampa hanno diffuso il video del papa che afferma: «Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge di convivenza civile. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo».
Francesco: “Sì alle unioni civili”
L’enorme eco suscitata, ora, dalle parole di Francesco, fa il paio con quella sollevata dal pontefice quando, dal Brasile in viaggio verso Roma, il 28 luglio 2013 aveva così risposto a giornalisti che gli chiedevano la sua opinione sui gay: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, ma dice, aspetta un po’, come si dice… e dice: “Non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società”. Il problema non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli, perché questo è uno, ma se c’è un altro, un altro. Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me».
E come e dove è stato pronunciato il secondo “sì”? Nel docufilm Francesco di Evgeny Afineevsky, presentato il 21 ottobre in anteprima mondiale alla Festa del cinema di Roma, nella sezione Eventi Speciali. Nel lungometraggio, che l’indomani nei Giardini vaticani sarebbe stato insignito del Premio Kineo, Bergoglio interviene sul tema anche con una telefonata a una coppia di omosessuali italiani che gli avevano indirizzato una lettera. Andrea Rubera (presidente di Nuova proposta, associazione di cristiani LGBT di Roma) e Dario Di Gregorio, tre figli piccoli a carico avuti con la “gestazione per altri” in Canada, avevano chiesto al pontefice come superare l’imbarazzo legato al loro desiderio di portare i figli in parrocchia alle lezioni di catechismo. La risposta di papa Francesco è stata inequivocabile: i bambini vanno accompagnati in parrocchia superando eventuali pregiudizi e vanno accolti come tutti gli altri.
Intensa anche la testimonianza di Juan Carlos Cruz, vittima e attivista contro gli abusi sessuali, presente alla Festa del Cinema di Roma insieme al regista. «Quando ho incontrato Francesco mi ha detto quanto fosse dispiaciuto per quello che era successo. “Juan, è Dio che ti ha fatto gay e comunque ti ama. Dio ti ama e anche il Papa poi ti ama”». [Per correttezza avverto però che, causa Covid, non ho potuto assistere alla proiezione nella quale, secondo alcuni giornali, qualcuna delle frasi citate sarebbe stata tagliata].
Dato questo sfondo, bene, benissimo, hanno fatto i gruppi LGBT ed i loro familiari ad applaudire Bergoglio: parole come le sue, infatti, non si erano mai sentite sulla bocca di un vescovo di Roma; e bene, benissimo fanno ad incoraggiarlo a proseguire sulla strada imboccata. Che, se coerentemente seguita, rovescia l’idea tradizionale della dottrina cattolica che parla di un solo modello di famiglia, al singolare, e invece si apre verso l’accoglienza di diversi e colorati tipi di famiglie, al plurale.
Ma la prospettiva adombrata da Francesco, che di fatto sconvolge la dottrina cattolica ufficiale, apre una strada tutta in salita, col 20% di pendenza, ostacolata da molti ecclesiastici e da molti “laici devoti”. Anche perché dire “sì” alle unioni civili implica, o implicherà, altri “sì” o “no” su temi controversi, come la possibilità, per una coppia gay, di adottare.
Dire “sì” alle unioni civili implica, o implicherà, altri “sì” o “no” su temi controversi, come la possibilità, per una coppia gay, di adottare.
I cardinali Ruini e Bagnasco contro le “legge Cirinnà”
Passare in rassegna gli accampamenti dei tenacissimi avversari, laici ed ecclesiastici, delle unioni civili – con i problemi giuridici ad essi connessi – sarebbe impresa ardua. Limitandoci qui all’aspetto “religioso”, e alla sola Italia, vediamo come la Conferenza episcopale-Cei ha reagito in previsione del provvedimento sulle unioni civili (legge Cirinnà) e dopo la sua approvazione alla Camera l’11 maggio 2016. – Nel gennaio precedente, quattro mesi prima di quella “tappa” finale, il cardinale Camillo Ruini, già vicario di Roma e per tre mandati, sotto il pontificato di Wojtyla, presidente della Cei, in una intervista a La Repubblica dichiarava:
«A mio parere sarebbe molto meglio che un disegno di legge di questo genere non arrivasse al Senato, o comunque non fosse approvato. Penso così non per ostilità verso le persone omosessuali. Al contrario, fin da quando ero giovane ho avuto rapporti di autentica amicizia con degli omosessuali. Semplicemente, non vedo come possa esistere un matrimonio, o un simil-matrimonio, tra due persone che unendosi non possono procreare e come si possa negare a un bambino il diritto di avere un padre e una madre».
Insisteva poi sulla «differenza e complementarietà tra l’uomo e la donna che non è solo biologica ma affettiva, comportamentale e psicologica: di questa complementarietà il bambino ha bisogno»; e faceva notare come «tutta la pressione si concentra non sui diritti delle coppie che possono avere figli, ma su quelli delle coppie omosessuali: è un atteggiamento molto lontano dalle esigenze reali di un Paese attanagliato dalla crisi delle nascite». Il porporato concludeva notando che una legge sulle unioni civili si potrebbe anche fare: «In Parlamento già esistono disegni di legge in merito. Per evitare il rischio di equiparazione al matrimonio bisognerebbe attribuire però i diritti alle singole persone che formano la coppia, e non alla coppia come tale. In concreto, quasi tutti questi diritti sono già riconosciuti da sentenze della magistratura».
Poi, subito dopo l’approvazione della legge Cirinnà, il 16 maggio il papa introduceva i lavori dell’Assemblea generale della Cei dedicata ai presbìteri, senza dire una parola su altri argomenti vari che, invece, nella sua introduzione ai lavori, toccherà poi il cardinale Angelo Bagnasco, allora presidente della Cei. Questi ricordava che il pontefice e il patriarca di Mosca, Kirill, nella loro dichiarazione dell’Avana (12 febbraio precedente) definivano il matrimonio “un atto libero e fedele di amore di un uomo e una donna”. E precisavano: «Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità, come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio viene estromesso dalla coscienza pubblica».
Il porporato proseguiva, sempre citando parole pronunciate dal papa in diversi discorsi: «“Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno” [da Evangelii Gaudium del 19/5/2014]. In altra occasione aveva ribadito che la “complementarietà sta alla base del matrimonio e della famiglia” [17/11/2014], per cui “occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con papà e una mamma, capaci di creare insieme un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva… Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio” [11/4/2014] E, a proposito della teoria del gender che è sempre alle porte in modo strisciante, il Pontefice ha più volte ripetuto che “è uno sbaglio della mente umana”, esprimendo anche il dubbio “se non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa confrontarsi con essa”[15/4/2015]».
Con tali premesse, è ovvio che in Assemblea generale i vescovi abbiano discusso della legge Cirinnà; e del silenzio del papa, nel suo discorso, su quel tema. Dunque deve esserci stato un profondo contrasto tra Bagnasco e diversi vescovi, o tra l’arcivescovo di Genova e il papa; fatto sta che il comunicato finale dei lavori, il 19 maggio, taceva sull’argomento.
La “dottrina” della Chiesa romana condanna gli atti omosessuali
E veniamo alle parole del papa nel docufilm. Commentandole, il vescovo emerito di Ancona, cardinale Edoardo Menichelli, il 22 ottobre ha detto al Corriere: «A me quello che piace del Santo Padre è la sua attenzione alla coscienza delle persone, il che non vuol dire approvarle. Qui si tratta di responsabilità nei confronti dell’altro e della società». E, sullo stesso giornale, monsignor Marcello Semeraro, neo-eletto prefetto della Congregazione delle cause dei Santi (al posto del dimissionario Angelo Becciu, accusato in Vaticano di peculato), alla domanda se quella del papa fosse una “svolta”, ha risposto: «Il Catechismo della Chiesa cattolica [CCC] dice che le persone con tendenza omosessuali “devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza. Al loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”».
E finalmente, con quell’“approvarle” del cardinale, e con la soave auto-censura del prelato, fa capolino la dottrina. È verissimo che vi è un abisso tra Catechismo e dottrina/pastorale della Chiesa romana da mille anni a questa parte. Infatti, in secoli lontani, omosessuali (ma allora li chiamavano sodomiti) sono stati bruciati vivi; e Pio V, canonizzato nel 1712, con la bolla Horrendum illud scelus nel 1568 stabiliva per essi la pena capitale.
Oggi, dunque, le parole di Francesco saranno certamente un balsamo miracoloso per quei parroci che, ispirandosi ad esse, sapranno ripetere analoghe espressioni a persone LGBT che incontrano; e, al contrario una ventata gelida in faccia a quei parroci (e vescovi) i quali tuttora considerano l’omosessualità horrendum illud scelus, “quell’orrendo delitto”. La risposta del papa, tuttavia, evita di misurarsi davvero, come prima o poi sarà assolutamente necessario fare, con il Catechismo. L’edizione definitiva di quest’opera fu promulgata da Giovanni Paolo II nel 1997. Essa, in un capitoletto intitolato Castità e omosessualità, afferma:
- 2357 L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni [Genesi 19, 1-29; Romani 1, 24-27; I^ Corinti 6, 9-10, I^ Timoteo 1,10], la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” [Congregazione per la dottrina della fede, dichiarazione Persona humana]. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
- 2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
- 2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
Tradotto: occorre sempre rispetto per i/le omosessuali – e, di fatto, per tutto il mondo LGBT; non sono “colpevoli” delle loro inclinazioni; ma, ove compissero atti “intrinsecamente disordinati” compirebbero – e nel dire questo il CCC cita le Scritture del Primo e Secondo Testamento – “gravi depravazioni”. Insomma: state insieme, aiutatevi, ma vietato far l’amore! E per supportare la sentenza finale si citano passi scritturistici che, secondo molte e molti studiosi di Bibbia, non possono essere trasferiti, sic et impliciter, all’oggi. La scienza e la psicologia hanno pur compiuto progressi e appreso dati che millenni fa erano impensabili.
Dunque, le parole con cui il Catechismo invita omosessuali e lesbiche alla castità, sono davvero “disumane e spietate” – come bene le ha definite il biblista Alberto Maggi. Francesco evita continuamente di affrontare questa barriera insuperabile; ma non potrà sfuggirla sempre. Infatti, la logica del suo discorso dovrebbe portare a cancellare dal Catechismo i paragrafi “incriminati”, perché non più considerati “dottrina cattolica”: una tremenda eresia per i “conservatori”! Eppure lui ha cancellato dal CCC il paragrafo nel quale Wojtyla ammetteva, in casi eccezionali, il diritto degli Stati di comminare la pena capitale; e lo ha sostituito con un “no”, sempre e comunque, a quel castigo.
Tra Catechismo, audacia di rinnovamento e minacce di scisma
Potrebbe il papa, nella concreta situazione ecclesiale, compiere quest’azione audace? Se lo facesse, si ergerebbe contro di lui una opposizione esplicita e pubblica perfino in una parte del Collegio cardinalizio. Del tema dovrebbe meglio occuparsi un inedito Concilio di “padri” e di “madri” e, ovviamente, di persone LGBT. Esso avrebbe l’autorità “politica” di strappare l’anatema dottrinale contro i gay che si amano.
Si deve compiere l’ardua traversata dal “prima” al “dopo”: non per seguire le mode del mondo, ma perché, spinti da input che vengono, irrefrenabili, dalla società, e ancor più perché, educati dal messaggio di Gesù, si è capito che ogni amore è benedetto da Dio, purché compiuto senza violenza, in piena e reciproca libertà, e assumendosi le responsabilità delle sue conseguenze. Del resto, Cristo mai si occupò di “sodomiti” pur ben noti, allora, anche in Palestina, come invece fa, e con giudizi tremendi, l’apostolo Paolo; segno che per Lui la gayezza vissuta non era affatto un impedimento ad entrare nel Regno!
Sarà, comunque, una traversata drammatica: infatti, diverse Chiese cristiane, per lo più legate alla Riforma, si sono spezzate proprio nel giudizio su “omosessualità”, unioni civili, matrimoni gay.
Sarà, comunque, una traversata drammatica: infatti, diverse Chiese cristiane, per lo più legate alla Riforma, si sono spezzate proprio nel giudizio su “omosessualità”, unioni civili, matrimoni gay. La Comunione anglicana è in stato di scisma, perché alcune sue “provincie” (Chiese nazionali), a partire dai loro primati, sono del tutto indisponibili – anche rivendicando la loro fedeltà alla Bibbia, e difendendo un concetto fissista di “natura” – non solo alle unioni civili ma, ancor più, ad ammettere al pastorato o, peggio, all’episcopato, uomini omosessuali e donne lesbiche, pubblicamente conviventi con i loro compagni o compagne. Una prassi, invece, accettata, ad esempio, dalla Chiesa episcopaliana (anglicana) statunitense.
Se nella Chiesa romana si affronterà davvero l’impresa di cancellare i paragrafi del CCC su “Castità e omosessualità” non vi è alcuna garanzia che ad essa sia risparmiato analogo dramma. Preannuncio della tempesta incombente è la reazione al papa del cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller. Non è un porporato qualsiasi: fu scelto da Benedetto XVI come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e in quel ruolo confermato da Francesco fino al 2017, quando lo ha esonerato.
Ebbene il porporato (classe 1947) ha commentato: «La dottrina della Chiesa è fondata sulla parola di Dio e della Chiesa. Quella parola vale di più di quella privata del papa… Dio ha creato l’uomo maschio e femmina. Per la Scrittura il matrimonio è possibile tra uomo e donna che si promettono amore una volta per sempre… Le unioni civili per la Chiesa non significano nulla… Le parole del papa hanno provocato una confusione nella dottrina cattolica» [Repubblica, 23/10/2020].
Francesco, perciò, consapevole che molti cardinali, molti vescovi e molti fedeli la pensano come Müller, e che dunque si avvierebbe un incendio se si toccasse il Catechismo, deliberatamente “dimentica” le asperrime parole di quel testo: per ora ha sparigliato, lanciando un grido di liberazione che dà pace a persone LGBT e alle loro famiglie. Queste – ignorando il CCC, e tutte le sue sottigliezze teologiche sul “sì” all’inclinazione omosessuale, accompagnato però dal “no” all’amore omosessuale – si ameranno con gioia fidandosi della parola del papa: “Dio vi ama”.
Questo coro, rafforzato da moltissime voci pur di “etero”, renderà pensiero comune, prima o poi, nel mondo cattolico, l’idea che, se certe audaci affermazioni papali hanno un senso, dovrebbe essere demolita la dottrina romana pietrificata nel Catechismo (e nella mentalità di molti preti e vescovi). Tuttavia ciò scatenerà un terremoto ecclesiale tra “pro” e “contro”: non c’è “mediazione” possibile, infatti, tra il dire che le persone LGBT possono, di fronte a Dio, amarsi, oppure no. Ma questa dolorosa eventualità non sembra una buona ragione per difendere ad oltranza una “dottrina” costruita dagli uomini ma non da Gesù di Nazareth.
Luigi Sandri
Redazione Confronti