di Dea Santonico e Stefano Toppi. Comunità Cristiana di Base di S. Paolo
Il 16 settembre scorso c’eravamo anche noi in Vaticano all’udienza del papa. Eravamo stati invitati insieme ad altri genitori di figli e figlie Lgbt, con noi anche un gruppo di ragazzi omosessuali dell’associazione La Tenda di Gionata.
L’incontro ha avuto una grande risonanza sulla stampa, molti ne hanno parlato in termini entusiastici, altri riduttivi, sottolineando che ciò che il papa aveva detto nulla cambiava nella dottrina ufficiale della Chiesa.
È stata Mara, mamma di un figlio gay a rappresentarci. Alla fine dell’udienza ha incontrato il papa e gli ha consegnato un libretto che raccoglie le testimonianze di alcuni genitori, si intitola: Genitori fortunati. Vivere da credenti l’omosessualità dei figli. Siamo fortunati – ha spiegato Mara – perché i nostri figli ci hanno fatto cambiare il nostro sguardo, e vorremmo che anche la Chiesa cambiasse il suo sguardo su di loro, con il nostro contributo, perché noi ci siamo. Papa Francesco le ha risposto che Dio ama i nostri figli, ama ogni uomo ed ogni donna, e che anche la Chiesa li ama. Queste le sue parole su cui tanto si è discusso nei giorni che hanno seguito l’udienza. Hanno ragione o no quelli che dicono – da destra e da sinistra (scusate la semplificazione) – che nulla è cambiato?
È vero, il discorso del papa potrebbe proseguire così: Dio ama le persone omosessuali, ma condanna i loro “atti”. Rimane quindi valido quello che c’è scritto sul catechismo: «Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Senza contraddirsi il papa poteva completare così la sua risposta a Mara. Ma non l’ha fatto. Perché sa che quella condanna non viene da Dio – non dal Dio che ci ha raccontato Gesù nei Vangeli – ma tutta e solo dalla Chiesa? Perché sapeva che quelle parole avrebbero fatto soffrire Mara? Le pronuncerà in altri contesti per rassicurare chi pensa tutt’altro sull’omosessualità? Sappiamo bene che non basta ometterle quelle parole, lasciandole però al sicuro scritte nei documenti che contano.
Quelle parole, per cui la Chiesa dovrebbe provare vergogna, vanno cancellate. Se le parole del papa, isolate dal contesto, non segnano nessuna svolta – e ne siamo convinti – siamo altrettanto convinti che chi prende come unica chiave di lettura di quell’incontro quelle parole, rischia di non coglierne la portata.
La novità è altrove. Per cominciare è nell’invito di persone Lgbt e genitori ad un’udienza – la prima volta per quanto ne sappiamo noi. Non si aspettava tanto clamore il Vaticano? Gli è sfuggita la cosa di mano? O le dichiarazioni entusiastiche che hanno seguito l’incontro, e che lo hanno descritto come una svolta da parte di Papa Francesco, erano previste e al papa andava bene così?
La novità è in quelle mamme che al passaggio del papa gridavano: Ricordati dei nostri figli omosessuali. In quei papà che dicevano: Siamo genitori fortunati, siamo tutti figli di Dio. Dopo anni di smarrimento, di dolore e di vergogna, erano lì a gridare in una piazza gremita di gente, senza più nascondersi, orgogliosi/e dei loro figli e delle loro figlie.
La novità è nel volto sorridente di Mara, per troppi anni consumato dalle lacrime, che, vestita con i colori dell’arcobaleno, protagonista suo malgrado, stava a testa alta davanti al papa, per spiegargli con il suo sguardo come la Chiesa deve guardare i nostri figli, e per testimoniare con il suo sorriso che la loro omosessualità, che la Chiesa ci ha fatto vivere come peccato, è invece un dono che ci rende genitori fortunati. Di fronte a lei un anziano papa, un po’ malfermo sulle sue gambe, che, più che come seguace di Pietro e dei tanti Pietro – troppo spesso, anziché pietre fondamento, pietre di inciampo sulla via indicata da Gesù – ci piace pensare come seguace di quel Francesco, di cui ha preso il nome, che, nel sogno di Papa Innocenzo III – così si racconta, ma forse è una leggenda – sostiene sulle sue spalle la Chiesa, che sta crollando sotto il peso del peccato e del potere.
Quell’immagine parla di più di qualsiasi parola. Perché le immagini arrivano dirette, senza filtri, senza troppe interpretazioni. Ci corre un brivido nella schiena quando ripensiamo ad un’altra immagine, quella di Wojtyla, in occasione della sua visita in Cile del 1987, affacciato al balcone con Pinochet. Le parole pronunciate dal papa nessuno le ricorda. Era quell’immagine a parlare e a dire che la Chiesa stava dalla parte dei dittatori, e dei dittatori sanguinari come Pinochet.
Anche stavolta la forza delle immagini ha avuto la meglio sulle parole e racconta una Chiesa diversa: un abbraccio di Papa Francesco alla comunità Lgbt – così ne ha parlato Agnese Pini, direttrice de La Nazione, a Prima pagina su Radio 3. Così è arrivata al cuore di molti e molte: un abbraccio da cui si sono sentiti scaldati.
Alla fine del colloquio con Mara alcuni ragazzi gay, che erano vicini a noi, hanno gridato grazie al papa. Ci ha commosso quel grazie gridato da chi è stato offeso, disprezzato, allontanato dalla Chiesa. Sono loro la pietra scartata che è diventata testata d’angolo. È un grazie preventivo, è lungo il cammino per meritarselo: la Chiesa deve convertirsi e chiedere perdono. Il cammino è lungo. Il tempo per farlo breve, forse quel grazie ci dà la speranza che non è ancora scaduto.
di Dea Santonico e Stefano Toppi
Comunità Cristiana di Base di S. Paolo