Valdesi in Calabria: una sanguinosa vicenda di intolleranza religiosa - Confronti
Home Dai lettori Valdesi in Calabria: una sanguinosa vicenda di intolleranza religiosa

Valdesi in Calabria: una sanguinosa vicenda di intolleranza religiosa

by Matteo Pierro

di Matteo Pierro, autore del libro “Fra martirio e resistenza: La persecuzione nazista e fascista dei testimoni di Geova” (Lariologo, 2002)

Chi percorre la costa tirrenica della Calabria spesso si imbatte nelle indicazioni per arrivare a Guardia Piemontese. La persona riflessiva si chiederà cosa può avere a che fare un paese del Sud con il lontano Piemonte. Di solito però si procede oltre e la domanda resta senza risposta. Se invece ci si prende il tempo di fare una piccola deviazione per arrivare in questo borgo che si affaccia sul mare se ne potrà conoscere la storia: una storia di gente pacifica e laboriosa ma anche di intolleranza religiosa, di un’orrenda strage e di secoli di vessazioni in nome del cattolicesimo.

Si ritiene che verso il XIII secolo arrivarono in Calabria dal Piemonte piccoli gruppi di persone provenienti dalle valli a ridosso delle Alpi occidentali. Esse cercavano di sfuggire alla persecuzione alla quale erano soggette dato che praticavano una religione ritenuta eretica: erano di fede valdese.

La torre di Guardia dalla quale prende il nome del paese

Pietro Valdo nacque poco dopo il 1130 nei pressi di Lione. Era un laico che apprezzava tanto la Bibbia al punto di spogliarsi dei suoi beni e di usarli per far tradurre alcune parti di essa nella lingua del popolo. In tal modo tutti avrebbero potuto leggerla e capirla visto che le uniche copie delle Sacre Scritture circolanti in quel periodo erano in latino, una lingua letta e compresa solo dal clero. Alcuni furono così entusiasti di ascoltare il messaggio della Bibbia nella loro lingua che rinunciarono anch’essi ai loro possedimenti e si dedicarono a parlare ad altri di ciò che avevano imparato. La Chiesa cattolica non rimase inoperosa e nel 1184 questi credenti, chiamati in seguito valdesi, furono scomunicati e cacciati dalle loro case. Questo permise la diffusione delle idee valdesi in molte regioni d’Europa fra le quali il Piemonte.

I valdesi che giunsero in Calabria furono ben accolti. Alcuni proprietari terrieri calabresi offrirono loro dei fondi scarsamente abitati da coltivare, in cambio di un canone annuo. Essi si insediarono nei paesi di Montalto, Argentina, San Sisto, Vaccarizzo e San Vincenzo. In seguito edificarono una loro propria città cinta da mura nella località di Guardia che venne conosciuta con il nome di Guardia dei Valdi, poi di Guardia Lombarda e infine come Guardia Piemontese.

I valdesi erano apprezzati dai signori del posto. Erano pacifici e operosi agricoltori, pastori, allevatori di piccoli animali e tessitori. Vivevano la loro fede religiosa leggendo la Bibbia e pregando in occitano nell’interno delle loro case. Memori delle stragi avvenute decenni prima in Francia e Piemonte cercavano di dissimulare la loro religione. Aderivano almeno esteriormente ad alcune pratiche della Chiesa cattolica, manifestando quello che in seguito Calvino definì il “nicodemismo”, termine derivato da Nicodemo, il fariseo che secondo i Vangeli di notte andava di nascosto ad ascoltare Gesù, mentre di giorno simulava una piena adesione alle tradizioni ebraiche.

Una delle porte delle antiche abitazioni con lo spioncino apribile dall’esterno

Le cosa cambiarono radicalmente quando nel 1532 le comunità valdesi del Nord decisero di aderire alla Riforma protestante. Alcuni predicatori provenienti da Ginevra incoraggiarono i valdesi di Calabria a praticare apertamente la loro religione. Essi costruirono una chiesa e cominciarono a parlare ad altri di quanto avevano appreso dalla lettura della Bibbia.

L’Inquisizione cattolica diretta da Michele Ghislieri (al secolo Antonio, divenuto poi papa San Pio V) si mise in moto inviando in Calabria i suoi rappresentanti per debellare la setta e costringere all’abiura gli eretici. Le disposizioni alle quali si dovevano sottoporre i valdesi erano durissime. Il Sant’Uffizio vietò loro di riunirsi in più di 6 persone; non potevano parlare la loro lingua, l’occitano, ma utilizzare quella parlata localmente; dovevano ascoltare la messa ogni mattina; i bambini dai 5 anni in poi dovevano essere istruiti nella dottrina cattolica; furono obbligati alle pratiche della confessione e della comunione e all’ascolto delle prediche; era fatto divieto di intrattenere rapporti epistolari senza l’autorizzazione dell’Inquisizione; erano vietati i viaggi in Piemonte e a Ginevra e i loro eventuali figli là residenti erano tenuti a rientrare in Calabria, abiurando se eretici; fu imposto di non sposarsi tra di loro; dovettero demolire e non più ricostruire le case che avevano ospitato i predicatori; gli eretici pentiti dovevano indossare un abito giallo. 

Alcuni valdesi cercarono asilo a Ginevra e nelle valli piemontesi; altri si diedero alla macchia; la stragrande maggioranza rimase nei loro paesi non immaginando quanto sanguinaria potesse essere l’Inquisizione romana. Non sortendo i risultati sperati il Sant’Uffizio intimò ai governatori locali di passare alle vie di fatto mettendo a morte chi praticava la religione eretica. Dopo una serie di distruzioni, razzie, violenze ed eccidi nei paesi vicini la repressione ebbe il suo culmine con l’occupazione mediante l’inganno di Guardia Piemontese il 5 giugno del 1561. La soldataglia cattolica si diede al massacro di uomini e donne, vecchi e bambini. Un’idea delle orrende stragi di quei giorni e riportata nella lettera di un testimone oculare di un paese vicino. Egli scrisse:

«Ora occorre dir come oggi a buon’ora si è ricominciato a far l’orrenda giustizia di questi Luterani, che solo in pensarvi è spaventevole: e così sono questi tali come una morte di castrati; li quali erano tutti serrati in una casa, e veniva il boia e li pigliava a uno a uno, e gli legava una benda avanti agli occhi, e poi lo menava in un luogo spazioso poco distante da quella casa, e lo faceva inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così: dipoi pigliava quella benda così insanguinata, e col coltello sanguinato ritornava pigliar l’altro, e faceva il simile. Ha seguito quest’ordine fino al numero di 88; il quale spettacolo quanto sia stato compassionevole lo lascio pensare e considerare a voi».

La porta del Sangue a Guardia Piemontese

Si narra che il sangue delle vittime uccise in strada fosse talmente tanto che si incanalò verso l’ingresso del paese che da allora ha preso il nome di Porta del Sangue. La strage proseguì nei giorni seguenti. Molti valdesi vennero squartati e appesi a decine ad alberi e pali lungo la strada che collega la Calabria alla Basilicata per servire da monito a quanti avessero osato mettere in discussione i dogmi della Chiesa Cattolica. Altri subirono un processo farsa e vennero messi al rogo in varie piazze del Meridione. Reminescenza di questa strage è piazza dei Valdesi a Cosenza.

Le vittime furono migliaia. Chi scampò alla strage fu condannato a remare sulle galee; altri vennero venduti come schiavi; gli orfani inviati in istituti cattolici per esservi “rieducati”; i pochi rimasti nei paesi che un tempo avevano edificato e abitato liberamente furono costretti a una vita di umiliazioni e vessazioni da parte del clero cattolico. A Guardia Piemontese si insediarono prima i gesuiti e poi i domenicani che oltre a ripristinare tutte le summenzionate disposizioni dell’Inquisizione imposero ai sopravvissuti di praticare nella porta delle loro abitazioni uno sportellino apribile solo dall’esterno. In questo modo gli inquisitori potevano verificare in qualsiasi ora del giorno o della notte se coloro che avevano abiurato non praticassero di nascosto la loro fede eretica imperniata sulla lettura della Bibbia. Chi oggi percorre le stradine di Guardia può ancora vedere diverse porte delle vecchie abitazioni con questo caratteristico spioncino.

La terribile repressione fece scomparire totalmente dalla Calabria la fede valdese. È rimasta memoria di quei pacifici credenti sterminati in nome di Dio nella lingua occitana parlata dai guardioli e negli abiti tradizionali delle donne del posto. A Guardia, in piazza della Strage, vi è il centro Gian Luigi Pascale (prende il nome da un predicatore valdese giustiziato e messo al rogo di fronte alla residenza papale di Castel Sant’Angelo a Roma nel 1560) che mantiene viva la memoria di quanto accadde secoli fa.

Lapide con alcuni nomi dei valdesi massacrati a Guardia

Riflettere sull’intolleranza religiosa verso i valdesi di Calabria permette di capire come la storia spesso si ripeta con repressioni da parte di chi detiene il potere nei confronti dei “diversi”, spesso nell’indifferenza generale. Basti pensare ai seguaci di Hitler, che ripristinarono il distintivo di colore giallo per indicare gli ebrei, lo stesso colore usato dai cattolici per marchiare gli accusati di eresia, onde poterli più facilmente individuare e sterminare. E oggi, mentre scriviamo, sono molte le persecuzioni in atto contro minoranze di vario “colore”, come ad esempio nella Russia di Putin a danno dei testimoni di Geova con vessazioni e imprigionamenti perché praticano una religione diversa da quella della maggioranza.

Ph. ©Emanuele Santoro/Wikimedia Commons

di Matteo Pierro, autore del libro “Fra martirio e resistenza: La persecuzione nazista e fascista dei testimoni di Geova” (Lariologo, 2002)

 

Abbonati ora!

Solo 4 € al mese, tutta Confronti
Novità

Seguici sui social

Articoli correlati

Scrivici
Send via WhatsApp