di Nadia Angelucci. Giornalista e autrice.
Nel 1997 a Cartagena de Indias, in Colombia, Alvaro Restrepo ha fondato con Marie France Delieuvin, il Colegio del cuerpo. Da allora sono passati di lì circa 9000 giovani che hanno compiuto un viaggio straordinario di scoperta e dialogo, interculturale e intergenerazionale.
È a Cartagena de Indias, città colombiana cara a Gabriel García Márquez e dove riposano le sue ceneri, che Alvaro Restrepo ha fondato nel 1997, con Marie France Delieuvin, il Colegio del cuerpo.
Un nome che è anche una chiave di lettura per un progetto di formazione di «poeti del movimento più che di danzatori», come ha raccontato lo stesso Restrepo durante il suo intervento a MemorArt Fest 2020 festival digitale internazionale della Memoria, che dal 14 settembre al 31 ottobre ha cercato di dare voce alle vittime del conflitto armato colombiano attraverso l’arte.
MemorArt è stato organizzato dal Nodo italiano di sostegno alla Commissione della Verità, un’entità statale colombiana che è nata dagli Accordi di pace del 2017 che lavora per chiarire le cause del conflitto armato interno e soddisfare il diritto delle vittime e della società alla verità per la costruzione di una pace stabile e duratura.
La nostra è una comunità di persone che lavora insieme in una dialettica continua tra individuale e sociale. Ci proponiamo di scolpire i corpi dei nostri ballerini attraverso la tecnica e la disciplina quotidiana ma anche, attraverso queste pratiche, di scolpire una comunità, una società.
«Colegio, viene del latino coligere [riunire], ed è esattamente ciò che vogliamo fare – ha detto Restrepo durante la conferenza –. La nostra è una comunità di persone che lavora insieme in una dialettica continua tra individuale e sociale. Ci proponiamo di scolpire i corpi dei nostri ballerini attraverso la tecnica e la disciplina quotidiana ma anche, attraverso queste pratiche, di scolpire una comunità, una società. Il corpo è un territorio, un libro di carne e sangue in cui sono scritte le nostre storie, i nostri dolori, i nostri sogni. C’è, nel modo in cui ci chiamiamo, una nozione filosofica che ci ha dato molte chiavi di interpretazione per il nostro lavoro e per il percorso che stiamo facendo».
Il Colegio del cuerpo non è un’istituzione di educazione formale ma un’associazione no profit che lavora a stretto contatto con il settore pubblico per attirare bambini e bambine, ragazzi e ragazze delle zone più povere e complicate della città e offrire un luogo di crescita e degli strumenti di riscatto.
«Non dobbiamo dimenticare che la nostra scuola funziona in una città caraibica con una prevalenza di popolazione afrometiccia, dove c’è una grandissima intelligenza del corpo, un gran talento per il movimento, per la danza, per la musica e quindi è un terreno fertile per il nostro lavoro. Offriamo due percorsi ben distinti: Educare per la danza e per l’arte e Educare con la danza e con l’arte. Da un lato scopriamo talenti e offriamo una formazione professionale al più altro livello che sfocia nella compagnia professionale del Colegio che viaggia e porta spettacoli in tutto il mondo. Dall’altro abbiamo un programma di preparazione professionale per il lavoro che però viaggia sempre di pari passo con una educazione integrale del corpo. La danza è solo uno dei linguaggi che il corpo può parlare e il corpo è il centro della nostra attenzione».
Il Colegio del cuerpo non è un’istituzione di educazione formale ma un’associazione no profit che lavora a stretto contatto con il settore pubblico per attirare bambini e bambine, ragazzi e ragazze delle zone più povere e complicate della città e offrire un luogo di crescita e degli strumenti di riscatto.
In 23 anni sono passati per il Colegio del cuerpo circa 9000 giovani che hanno compiuto un viaggio straordinario di scoperta e dialogo, interculturale e intergenerazionale.
Non tutti sono diventati ballerini ma aver avuto contatto con questa etica del corpo, con la dimensione sacra che c’è nello scambio e nella crescita collettiva ha sicuramente contribuito alla convivenza e la ricerca della pace in un paese come la Colombia che ha trattato il corpo con tanta violenza.
«La Colombia è un paese molto fisico, intenso. Ma la violenza non riguarda solo il mio paese ma il genere umano nella sua totalità. Questa ferocia possiamo e dobbiamo trasformarla. L’arte può aiutare a formare cittadini più sensibili, creativi, solidali, empatici, che possano relazionarsi con la realtà in cui vivono e trasformarla. Attraverso il nostro lavoro i nostri giovani riescono a parlare del loro dolore e della loro angoscia in un altro modo, forse più poetico. Come si può parlare della violenza, della morte, dell’esilio, della paura? Con la danza troviamo un linguaggio totale in cui la materia e le emozioni si incontrano, è un territorio in cui confluiscono la poesia, la filosofia, la musica, le arti plastiche, il teatro, la letteratura. La danza non è solo una disciplina ma un modo di stare al mondo, di pensare. Perché ognuno di noi non solo ha un corpo, ma è un corpo».
[pubblicato su Confronti 11/2020]
Ph. © Colegio del Cuerpo
Nadia Angelucci
Giornalista e autrice