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Nigeria in rivolta

by Enzo Nucci

di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.

È dal 1992 che in Nigeria la Special Anti-Robbery Squad– la “Squadra speciale anti-rapina” – esercita impunemente il suo potere con il pugno di ferro, macchiandosi dei crimini più nefandi contro la popolazione civile. Ma un ennesimo atto di violenza ha innescato una rivolta senza precedenti nel Paese.

Era un vero e proprio squadrone della morte pagato e protetto dallo Stato. Dal 1992 (anno in cui fu fondata) fino all’11 ottobre scorso (giorno in cui è stata sciolta) la Sars (Special Anti-Robbery Squad, ovvero squadra speciale antirapina) ha spadroneggiato in tutta la Nigeria.

Secondo circostanziate denunce di Amnesty international, i poliziotti di questo reparto speciale sono responsabili di sequestri, estorsioni, aggressioni ed esecuzioni extragiudiziali. Ma anche di abusi sessuali e torture di detenuti, furti di denaro e oggetti preziosi nonché confische arbitrarie di proprietà dei sospettati.

Era un vero e proprio squadrone della morte pagato e protetto dallo Stato.

Criminali in divisa dunque nati come braccio destro del dipartimento di intelligence e investigazione proprio per combattere la delinquenza.

I malumori contro la Sars hanno cominciato a prendere forma nel 2017 quando fu presentata in parlamento una petizione che ne chiedeva lo scioglimento.

Poi un video diffuso in rete (in cui si documentava l’omicidio di un ragazzo inerme) è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

La mobilitazione è partita dapprima sui social, incassando la solidarietà di campioni dello sport e popolari cantanti. E così il 7 ottobre le strade della Nigeria sono state invase dai manifestanti.

Una pressione tanto forte e inattesa che dopo 4 giorni di proteste il presidente Muhammadu Buhari è stato costretto a sciogliere l’unità speciale, destinando i suoi componenti ad altri incarichi.

Una soluzione pilatesca che non ha soddisfatto le migliaia di contestatori che invece chiedevano indagini sugli abusi affidate a un organismo autonomo, giustizia per le vittime dei soprusi, esami psicologici per gli ex agenti destinati a nuovi incarichi ma anche aumento dei salari dei poliziotti per garantire la reale protezione dei cittadini.

E così la protesta continua, inarrestabile. Il governo di Abuja ha risposto dando alla polizia l’ordine di sparare sui manifestanti. Decine le vittime.

I giovani e le donne (che sono il motore della ribellione) hanno colto l’occasione per chiedere riforme radicali per combattere povertà, corruzione, disoccupazione che costringono 91 milioni di persone (su una popolazione di 201 milioni di abitanti) a sopravvivere con due dollari al giorno, ben al di sotto della soglia di povertà.

Questa ondata di proteste che sta inondando la Nigeria è la più grande degli ultimi 30 anni. Non è un caso che i giovani ne siano i promotori, in una nazione dove gli under 20 sono oltre 100 milioni.

Oltre a sostenere il pesante fardello del disagio sociale e della mancanza di prospettive, sono proprio i giovani a pagare il prezzo più alto degli abusi polizieschi.

Oltre a sostenere il pesante fardello del disagio sociale e della mancanza di prospettive, sono proprio i giovani a pagare il prezzo più alto degli abusi polizieschi.

Dal rapporto diffuso da Amnesty international, emerge infatti che i ragazzi di età compresa tra i 17 e i 30 anni (e appartenenti ai ceti sociali più vulnerabili) sono quelli maggiormente a rischio di arresto, tortura o estorsione da parte della Sars.

Sono spesso accusati di essere truffatori telematici o rapinatori armati. Gli arresti illegali avvengono grazie a blitz nei bar e nei luoghi di ritrovo. Vengono arrestati e costretti a pagare tangenti per tornare in libertà. Coloro che non hanno soldi sono sottoposti a torture o maltrattamenti.

Agenti e militari estorcono inoltre denaro ai passanti sfruttando le nuove
app di trasferimento rapido del contante sotto minaccia di arresto e violenza: una pratica – affermano i denuncianti – tollerata da troppo tempo dal governo.

Anche le donne sono in prima linea nelle contestazioni per rivendicare, attraverso alcune organizzazioni di recente nascita, la parità di genere ma hanno conquistato anche un importante ruolo organizzativo grazie a raccolte di fondi per sostenere le manifestazioni.

Queste giovani generazioni non hanno alcuna memoria (se non attraverso i racconti di padri e nonni) dei duri regimi dittatoriali che hanno imposto il loro tallone di ferro sul recente passato della Nigeria. Conoscono però molto bene l’uso di internet e dei social, attraverso cui hanno organizzato le proteste di piazza costruendovi intorno il consenso internazionale della diaspora.

Il presidente Buhari, 78 anni, deve fare i conti con questa realtà: giovani stremati dalla corruzione che li condanna all’anomia, stanchi di promesse, pronti a scendere in campo.

[pubblicato su Confronti 11/2020]

Enzo Nucci

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Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana

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