di Elżbieta Korolczuk. Femminista e sociologa polacca, insegna all Södertörn University di Stoccolma
[intervista a cura di Asia Leofreddi]
Tra la nuova sentenza sull’aborto e il veto al bilancio europeo, nell’ultimo mese la Polonia ha occupato spesso le pagine dei nostri giornali. Abbiamo chiesto a Elżbieta Korolczuck femminista e sociologa polacca, esperta di movimenti ultraconservatori e populismo, di spiegarci cosa sta accadendo.
La Korolczuk insegna alla Södertörn University di Stoccolma e da diversi anni è impegnata nello studio dei legami transnazionali delle organizzazioni ultraconservative polacche e tra loro e le forze populiste al governo. I suoi studi s’inseriscono in una corrente di ricerca, nata nell’ultimo decennio, che si occupa dell’analisi e del monitoraggio dei cosiddetti movimenti anti-gender, una rete ultraconservatrice nata negli anni ’90 e formata da un insieme di organizzazioni, accademici, e personaggi politici, provenienti da vari paesi del mondo, impegnati nella difesa della famiglia tradizionale, a discapito dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e delle persone LGBTQI+. La Korolczuk ci ha raccontato una realtà complessa fatta di vecchi miti nazionali e alleanze internazionali, di conflitti generazionali, Chiesa e rivoluzioni.
Prima la sentenza sull’aborto, ora il veto al bilancio 2021-2027. Può spiegarci cosa sta succedendo in Polonia? Si può trovare un nesso tra i due episodi?
Sorvolando sul fatto che – a mio avviso – il veto all’approvazione del bilancio è una decisione priva di senso, visto la crisi economica e il collasso sanitario che la Polonia sta attraversando, credo che entrambe le questioni facciano parte dello stesso progetto populista. Se, infatti, si vuole far credere che la Polonia sia uno Stato indipendente e sovrano, non bisogna solo creare un “Noi”, ma anche un “Loro”, rappresentato dall’Unione europea descritta come élite globale, liberale, che cerca di colonizzare economicamente e culturalmente il Paese. Da questa prospettiva, le questioni legate al genere e ai diritti LGBTQI sono molto utili.
Io non credo che per Kaczynski il punto sia tanto l’aborto, piuttosto penso che cooperi con le organizzazioni ultraconservatrici e la Chiesa cattolica polacca per convenienza politica.
Io non credo che per Kaczynski il punto sia tanto l’aborto, piuttosto penso che cooperi con le organizzazioni ultraconservatrici e la Chiesa cattolica polacca per convenienza politica. La loro retorica sul gender, infatti, questa specie di pericolo che viene dall’Occidente immorale e vuole colonizzare la Polonia, calza a pennello con questa struttura di “Noi” e “Loro”. Se convinci le persone che le élite europee non solo rubano soldi ai polacchi, ma anche sessualizzano i bambini e impongono loro di avere “generi” diversi, le rendi pericolose non solo perché sono al potere, ma anche perché sono immorali. Non hanno regole, sono il simbolo del vuoto di valori che attenderebbe la Polonia, se si arrendesse a questo tipo di idee.
In Italia, si è spesso portarti a guardare agli ultimi eventi in Polonia come a un caso nazionale. Tuttavia, stando ai suoi studi, si capisce come quello che sta avvenendo sia il risultato di meccanismi più complessi. Lei descrive l’ultraconservatorismo polacco come «una nuova configurazione politica e ideologica che combina elementi locali con elementi transnazionali». Può spiegarci meglio perché il divieto d’aborto in Polonia è una questione transnazionale?
Si tende a pensare che il conservatorismo sia una caratteristica tipicamente polacca: come l’Italia ha il vino, noi abbiamo il divieto di aborto! Naturalmente in parte è vero, visto il ruolo che da anni la Chiesa cattolica gioca in Polonia. Tuttavia, se si guarda a cosa accade non solo in altri Paesi cattolici, come per esempio la Croazia, ma anche in altre democrazie consolidate come la Germania, o la Francia, si nota l’emergere di discorsi, campagne e mobilitazioni sui diritti sessuali e riproduttivi molto simili tra loro.
A promuoverli sono quasi sempre organizzazioni con legami transnazionali che operano non solo a livello locale, ma anche nel contesto dell’Unione europea, a Strasburgo, a Bruxelles, e anche nelle Nazioni Unite. Tutte si oppongono a quella che viene definita “ideologia del gender”, un termine coniato alla fine degli anni ’90 dal Vaticano e poi ripreso da organizzazioni internazionali come il World Congress of Families (WCF) o CitizenGo, organizzazione ultra-conservatrice spagnola che opera in circa diciassette/venti paesi, non solo in Europa, ma anche, per esempio, in Africa. In Polonia, parte di questo scenario è l’organizzazione Ordo Iuris che, già nel 2016, fu in prima linea nel tentativo di vietare l’aborto e che, anche quest’anno, è stata un attore molto importante negli eventi che hanno portato all’ultima sentenza.
Nonostante non si conoscano le origini dei suoi finanziamenti, possiamo dedurre che Ordo Iuris disponga di parecchi soldi visto che ci lavorano almeno quaranta persone, di cui la maggior parte avvocati. Ordo Iuris, oltre a operare in Polonia coopera anche con le branche europee di organizzazioni americane ultraconservatrici come la European center for law and justice, e con organizzazioni europee che fanno attività di lobby nella Commissione e nel Parlamento della UE. Inoltre, ha fondato organizzazioni satelliti in altri paesi, come per esempio Vigilare in Croazia.
Cosa è cambiato rispetto al passato?
Ovviamente questo fenomeno non è nuovo. Negli anni ’90, quando i concetti di genere furono introdotti nei più importanti trattati dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, si formò già un’ampia opposizione che metteva insieme alcuni paesi a maggioranza islamica e paesi con una forte componente protestante fondamentalista. Ma ciò che ha cambiato le carte in tavola è stato l’ascesa del populismo.
Queste organizzazioni hanno trovato le condizioni per inserirsi nella struttura politica. Oggi hanno alleati, possono avere voce in capitolo nei processi decisionali e possono ottenere più facilmente risorse economiche, sia pubbliche sia private. La Polonia è un esempio molto pragmatico di questo fenomeno. Quello che sta avvenendo è una cooperazione tra attori politici e organizzazioni o rappresentanti di organizzazioni anti-gender.
I leader di destra come Matteo Salvini o Giorgia Meloni in Italia, o Jarosław Kaczyński in Polonia, saturano i loro messaggi politici con l’idea del pericolo del gender, con la necessità di proteggere la famiglia tradizionale e l’identità religiosa. E lentamente, come vediamo nel caso polacco, si assiste a un processo d’istituzionalizzazione dei movimenti anti-gender nella struttura dello Stato. Caso esemplare è quello del fondatore di Ordo Iuris, Aleksander Stepkowski, il quale oltre a essere stato vice-ministro per gli affari esteri, è stato anche, in una nomina contestatissima, Presidente della Corte Suprema polacca.
Prima dicevamo: l’ultraconservatismo polacco fenomeno transnazionale e locale. Qual è allora la specificità della Polonia in tutto questo scenario?
Nel progetto populista globale, la Polonia ha una specificità che è la stessa attribuita anche alla Russia. Sintetizzando, l’idea è che il nostro paese possa rovesciare la gerarchia di potere tra Est e Ovest. La Polonia si presenta come la nazione che è stata in grado di preservare i valori tradizionali in quanto, da una parte, non ha avuto la cosiddetta rivoluzione sessuale, dall’altra, avendo conosciuto il comunismo è capace di opporsi a quel marxismo culturale che sarebbe alla base della teoria del gender. Per esprimere tutto questo, il governo attuale descrive la Polonia come “sorgente della civilizzazione cristiana”.
La cosa interessante è che quest’idea della Polonia come speciale rispetto all’Unione europea è stata inizialmente promossa da persone di Paesi occidentali, come la tedesca Gabriel Kuby o l’americano Alex Jones, che una volta ha detto proprio: «come il re polacco Jan Sobieski duecento anni fa salvò l’Europa dall’impero ottomano nella battaglia di Vienna, ora la Polonia ci salverà ancora dall’Islamismo».
Nella stampa italiana, abbiamo visto strade invase da migliaia di persone che ci hanno restituito l’immagine di una società civile attiva e in aperto contrasto alle forze politiche al governo. Chi sta partecipando? È vero che alle donne si sono uniti anche gruppi sociali di diversa provenienza politica e culturale?
È ancora difficile stabilire con certezza chi sta partecipando alle proteste perché non c’è stato tempo di fare studi approfonditi. Tuttavia, stando a quanto si vede nelle strade, si può dire che si tratta principalmente di giovani. Io, che ho poco più di quarant’anni, ero alle proteste e mi sono sentita veramente vecchia! Per quanto riguarda la presenza di altri gruppi sociali, sicuramente la partecipazione degli autisti degli autobus, o delle organizzazioni di agricoltori, come anche il fatto che molte proteste siano scoppiate in circa cinquecento tra città polacche e piccoli villaggi, dimostra che c’è molto di più della gioventù urbana che si vede nelle strade di Varsavia.
Quello che è cambiato è l’atmosfera generale del Paese. Oggi, infatti, il 70% delle persone dichiara che non approva le attuali restrizioni sull’aborto.
Tuttavia, credo che sia un’esagerazione dire che in piazza c’è un’ampia varietà di gruppi sociali. Quello che è cambiato è l’atmosfera generale del Paese. Oggi, infatti, il 70% delle persone dichiara che non approva le attuali restrizioni sull’aborto. Io ho manifestato molte volte nella mia vita, ma questa è la prima volta che mi sento parte della maggioranza e non di un piccolo gruppo di donne un po’ fuori di testa.
Ci sono anche altri fattori, oltre all’aborto, che mobilitano le persone?
Sono convinta che parte di questo grande senso di unità sia dovuto anche al modo in cui l’attuale governo sta gestendo la pandemia. Il numero di morti e contagiati cresce sempre di più, il sistema sanitario è al collasso. Il governo si sta mostrando profondamente irrispettoso verso il lavoro di molti settori. La comunicazione con il Paese, non solo con le donne e con i giovani, è pessima. Questo ha generato una frustrazione profonda e è il motivo per cui non solo le donne, ma anche altri gruppi sociali sostengono queste proteste. È un modo per mostrare la loro frustrazione, la loro opposizione a tutto questo e per dimostrare che non si può andare avanti così per sempre.
Qualche giorno fa, in un articolo sul The New Yorker, la giornalista Masha Gessen, utilizzando le parole di alcune attiviste polacche, ha definito quanto sta accadendo in Polonia “una rivoluzione”. È d’accordo?
Sicuramente ci sono molte caratteristiche di una rivoluzione culturale. Stiamo assistendo all’emergere di una nuova generazione di persone che ha valori, stili di vita, ideali, modi di pensare radicalmente differenti da quelle dei loro nonni. Se la mia generazione, nonostante non abbracciasse gli stessi valori dei propri genitori, seguiva quelle stesse tradizioni a causa della pressione sociale; ora siamo di fronte a una nuova generazione che rifiuta apertamente tutto quel mondo e soprattutto l’autorità della Chiesa.
Non è un caso che le proteste abbiano dei contenuti così tanto anti-ecclesiastici. Questi ragazzi stanno rompendo un tabù culturale che ha predominato per troppo tempo. Per fare un esempio, nel 2012, come ogni 8 marzo, organizzai una manifestazione femminista. Lo slogan di quell’anno era: «Tagliamo il cordone ombelicale tra la Chiesa e lo Stato». In quell’occasione avevamo scelto di collaborare con donne appartenenti ai sindacati, coinvolgendo insegnanti, infermiere e così via. Le invitammo alla nostra conferenza stampa, ma non si presentarono. Provai a chiamarle, ma non risposero. Qualche giorno dopo chiesi loro cosa fosse successo e mi risposero che le nostre istanze erano troppo radicali, che il loro elettorato non le avrebbe accettate.
E ora invece sta girando un video in cui una ragazza protesta davanti a una chiesa e quando esce il prete per dire di non protestare, credendo di esercitare ancora una sua autorità, lei inizia a gridargli di rientrare nell’edificio. In questo senso è una rivoluzione, perché è una liberazione cognitiva. Negli ultimi anni, gli scandali sul dilagare della pedofilia hanno portato molte persone a allontanarsi dalla Chiesa.
Alcune hanno firmato dei documenti dichiarando ufficialmente di non volerne più far parte, altre non fanno più fare ai loro bambini le classi di religione, altre ancora affermano pubblicamente che, anche se credenti, non vogliono più avere niente a che fare con la Chiesa cattolica polacca. Persino i monumenti di Giovanni Paolo II, leader carismatico sempre rappresentato come lui che ha reso la Polonia libera, sono stati oggetto di contestazione. Le persone hanno dipinto le sue mani di rosso, per rappresentare il sangue di cui si sono coperte per aver nascosto gli scandali sulla pedofilia.
Come andrà a finire secondo lei?
Non sono sicura che le proteste porteranno a un risultato immediato, ma sono certa al 100% che i giovani ora nelle strade non supporteranno più, in futuro, né i partiti populisti né la Chiesa.
*A Maggio 2021 Elżbieta Korolczuc sarà uno dei relatori della conferenza internazionale Your body is a battleground: ultra-conservative strategies to restore a “natural” order, organizzata a Francoforte dal museo d’arte contemporanea Frankfurter Kunstverein e dal centro di ricerca Normative Orders della Goethe University.
Proteste in Polonia © Silar/ Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license / Wikimedia Commons

Elżbieta Korolczuk
Femminista e sociologa polacca, insegna all Södertörn University di Stoccolma