di Nadia Angelucci. Giornalista e autrice
La narrazione della memoria, la costruzione dell’identità, la ricostruzione storica sono tra i temi più urgenti del dibattito culturale e artistico argentino. Il lavoro di Fernanda Ortiz Losada, artista argentina che vive da più di 20 anni in Germania dove si è formata all’Università delle Arti di Folkwang nel momento in cui era diretta da Pina Bausch, cerca di sciogliere i nodi della storia, inseguendo una narrazione privata e pubblica allo stesso tempo.
Non c’è dubbio che la narrazione della memoria, la costruzione dell’identità, la ricostruzione storica siano tra i temi più urgenti del dibattito culturale e artistico argentino.
Negli ultimi anni le molteplici fratture che hanno attraversato il paese, dalla dittatura civico-militare degli anni ’70-80 alla bancarotta dei primi anni 2000 solo per citare le ultime, hanno trovato una maniera di ricomporsi più nel contesto artistico e letterario che in quello politico.
E sono soprattutto le seconde generazioni che, a partire dal proprio vissuto, cercano sciogliere i nodi dolorosi e densi della storia inseguendo una narrazione privata e pubblica allo stesso tempo.
Su questo filone si inquadra il lavoro di Fernanda Ortiz Losada, artista argentina che vive da più di 20 anni in Germania dove si è formata all’Università delle Arti di Folkwang nel momento in cui era diretta da Pina Bausch.
Che cosa è indimenticabile per ognuno di noi? E che cosa lo è per la società, per una cultura, per il pianeta che abitiamo? Che segni rimangono sui nostri corpi? Che immagini restano registrate nella nostra mente? Cosa sa di noi il nostro corpo che noi stessi ignoriamo? Cosa è incancellabile?
Queste sono le domande che la coreografa, ballerina, figlia di uno dei 30.000 desaparecidos dell’ultima dittatura civico-militare si è posta e dalle quali, già qualche anno fa, ha avviato un’esplorazione che le permettesse di rintracciare le tracce che il suo passato e la storia socioculturale e geopolitica dei suoi paesi di origine e di adozione hanno lasciato sul suo corpo e sulla sua vita.
Una serie di laboratori coreografici e performance tra Europa e America latina le hanno permesso di tratteggiare una prima risposta che due anni fa si è manifestata in un racconto danzante, Inolvidable/Unforgettable, presentato ad Amburgo e Buenos Aires, in cui la storia familiare dell’artista si intreccia con quella dell’Argentina e della Germania mostrando ciò che è possibile fare con quello che la vita ci dona e ci toglie, e quanto la reiterazione imposta dalla nostra storia familiare rischi di farci perdere, a volte letteralmente, la vita stessa.
Inizia ora un nuovo viaggio di Inolvidable/Unforgettable mutato in un nuovo linguaggio, quello
cinematografico. Ancorati fermamente alla frammentarietà propria della memoria, che restituisce e tradisce allo stesso tempo, lo spettacolo e il film intrecciano diverse narrazioni e prospettive su un fenomeno intimo e collettivo, analizzando come la storia privata sia attraversata dai movimenti e dall’immobilità del contesto sociale e storico. Il corpo della ballerina è al centro dello spazio e dell’azione come protagonista e allo stesso tempo come specchio del tempo e dello spazio.
Se nello spettacolo teatrale Ortiz dialogava con il pubblico costruendo in diretta un racconto collettivo basato sulla memoria degli spettatori e delle spettatrici, nel film corrisponde continuamente con i cameraman, i fotografi di scena, i tecnici, coinvolgendoli in un colloquio incessante e incoraggiandoli a scandagliare e provocare la propria memoria. Il tutto senza alcun backstage perché è la vita stessa il retroscena.
Si intreccia quindi il ricordo della dittatura militare in Argentina e quello della Germania come fornitore di armi, l’11 settembre 2001 e ancora i Mondiali di calcio del 1978. Cosa faceva ognuno di noi in quel momento? Che traccia ha lasciato quell’evento nella nostra memoria? E quale in quella del nostro vicino?
Inolvidable/Unforgettable è, sia nella versione teatrale che in quella cinematografica, una performance interdisciplinare in cui differenti linguaggi si sovrappongono nello stesso tempo, dove oltre alla danza si possono sperimentare la recitazione, le arti visive e la musica.
Una vera e propria sfida per lo spettatore: per qualcuno è un’esperienza più visiva, per altri più uditiva e per altri ancora l’attenzione è sul testo. Nel corso della messa in scena la storia individuale si trasforma in una storia sociale attraverso interviste, interventi e citazioni.
Il risultato è un insieme di memorie danzate, raccontate e rappresentate costituito da ricordi privati e pubblici, un catalogo in continua e mutevole costruzione che, come tutti gli archivi, è inevitabilmente politico.
Ph. © Cecilia Antón AFS http://fernandaortiz.com/en/unforgettable/

Nadia Angelucci
Giornalista e autrice