di Luigi Sandri. Redazione Confronti.
Per capire la storia dell’Armenia – le sue tragedie, le sue speranze – è necessario conoscere non solo le sue vicende politiche, ma anche quelle ecclesiali, inscindibilmente mescolate alle altre.
Duemila anni fa il Paese si estendeva, grosso modo, dall’attuale Repubblica fino ad una parte significativa dell’Anatolia orientale e della Cilicia, sul Mediterraneo. Lungo i secoli, poi, i suoi confini hanno subito variazioni notevoli.
Nel 301 l’Armenia diventa il primo paese cristiano della storia
Ad evangelizzare l’Armenia fu Gregorio l’Illuminatore che infine, nel 301, convinse il re Tiridate III ad accogliere, lui e i suoi sudditi, il Cristianesimo. Gli armeni, ancor oggi, sono orgogliosi di questo fatto, che porta il loro paese ad essere il primo ufficialmente cristiano, mentre sarà solo del 313 l’editto di Milano che proclamava il Cristianesimo religio licita.
Questa scelta favorì, tra gli armeni “gregoriani”, i pellegrinaggi a Gerusalemme dove col tempo si formò un quartiere che, nel XIV secolo, porterà alla fondazione di un loro patriarcato nella Città santa. Ma il loro massimo gerarca, chiamato katholikos, un titolo superiore al patriarca, cambiò più volte la sua residenza; infine, nel XV secolo, la fissò a Etchmiadzin, vicino ad Erevan.
Nel 404, per tradurre nella loro lingua la Bibbia, san Mesrop inventa l’alfabeto armeno, tuttora in vigore. Collegati dapprima, in parte, con Bisanzio, gli armeni se ne staccarono, per non dipendere dall’imperatore di Costantinopoli. Essi, poi – come già siri e copti – dopo una certa esitazione, nel VI secolo rifiutarono le definizioni cristologiche proclamate nel 451 dal Concilio di Calcedonia. I tre gruppi, ancor oggi, costituiscono le Antiche Chiese Orientali, separate sia da Roma che da Costantinopoli.
Ai tempi delle Crociate vi furono vari rapporti tra i militari occidentali e gli armeni che, nella loro cerimonie liturgiche, accolsero alcuni riti latini.
A metà Settecento un minoranza di vescovi e fedeli armeni riconobbe l’autorità papale; e, mantenendo la sua autonomia, diede vita al patriarcato cattolico di Cilicia degli armeni, che fissò la sua sede a Bzommar, presso Beirut.
Gli armeni hanno sempre avuto una forte migrazione: in Medio Oriente, in Europa occidentale e, a partire dall’Ottocento, nelle Americhe. A Venezia sono presenti da secoli, prima i “gregoriani”, poi i cattolici (all’isola di San Lazzaro).
Coinvolti in questioni politiche, ad accusati dal sultano di tenere per la Russia, nell’ultima decade dell’Ottocento e nella prima del Novecento molte migliaia di persone della forte minoranza armena, da sempre presente nell’impero ottomano, furono uccise in distinti pogrom. Ma la mazzata comincerà nel 1915, in piena prima Guerra mondiale, quando gli ottomani erano alleati dell’Austria e della Germania.
1915: inizia il Metz yeghern, il “genocidio armeno”
Il 24 aprile di quell’anno iniziò quello che gli armeni chiamano Metz yeghern, il “grande male”: quel giorno a Costantinopoli e in città anatoliche, centinaia di persone (medici, avvocati, ingegneri, giornalisti, sacerdoti), furono eliminate. Era la decapitazione della loro intellighentzia e l’inizio del “genocidio”: un milione e mezzo di armeni furono uccisi là dove si trovavano, oppure perirono in spossanti marce verso i deserti della Siria o, là, lasciati morire in baraccopoli o campi di concentramento.
Perché accadde questo? I “giovani turchi” – ufficiali, consapevoli che il dissestato impero ottomano stesse sul punto di crollare (e così infatti avvenne) – ritenevano che il paese turco che sarebbe nato sulle sue ceneri non avrebbe retto mantenendo al suo interno una corposa minoranza come quella armena. Quindi l’eliminazione fisica di un gran numero di armeni (cristiani) – programmata scientificamente – era ritenuta una condizione necessaria per costruire l’avvenire.
La Repubblica turca, creata nel 1923 da Mustafa Kemal – poi chiamato Atatürk, padre dei turchi – ha sempre negato tale ricostruzione e tale racconto: essa afferma che, nel clima di disfacimento dell’impero ottomano, bande scorazzavano nel paese, e in quei disordini anche trecentomila armeni perirono; ma, secondo la ricostruzione di Ankara, non vi fu nessun progetto di annientare gli armeni; del resto, aggiunge, in quei tumulti persero la vita almeno quattro o cinque milioni di musulmani.
I successivi governi, fino ad oggi con Recep Tayyip Erdogan, hanno sempre sostenuto questa tesi, criticando aspramente quanti la mettessero in dubbio (e comincia ad esserci qualche intellettuale turco a farlo), e rendendoli passibili del carcere. Tesi smentita, però, da una trentina di governi o parlamenti del mondo che in anni recenti hanno riconosciuto il “genocidio armeno”: tra essi Argentina, Brasile, Canada, Stati Uniti d’America, Belgio, Olanda, Francia, Germania, Italia, Polonia, Russia, Svezia, Svizzera, Siria.
Quando, nel settembre 2001, Giovanni Paolo II visitò l’Armenia, firmò con il katholikos di Etchmiadzin, Karekin II, una Dichiarazione comune in cui si afferma: “Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo, e il successivo annientamento di migliaia di persone sotto il regime totalitario [sovietico], sono tragedie ancora vive nel ricordo della generazione attuale”. Parole ribadite in analoga Dichiarazione che, nello stesso luogo e con lo stesso katholikos, nel giugno ’16 ha firmato papa Francesco, suscitando le ire di Erdogan.
La pace religiosa intra-armena dopo il collasso dell’Urss
Nel settembre 1991, nell’imminenza del collasso dell’Urss, anche l’Armenia sovietica proclamò la sua indipendenza: evento che, oltre alle grandi conseguenze politiche, ne ebbe analoghe di ecclesiali. Quando, dopo la rivoluzione del 1917, l’Armenia era entrata nell’orbita della nascente Urss, la Chiesa armena visse una dolorosa lacerazione: gli armeni della diaspora – sempre più numerosi di quelli in patria: anche oggi tre milioni questi, sette gli altri – si divisero, dal punto di vista ecclesiale, in due gruppi non comunicanti: quelli, minoritari, legati al katholikosato di Etchmiadzin, e i dipendenti dal katholikosato della Grande Casa di Cilicia, con sede ad Antélias, vicino a Beirut.
Con l’inizio del Metz yeghern a quest’ultimo si erano rivolti gli scampati fuggiti dall’Anatolia e la diaspora armena; e, dopo il 1917, verso il Libano guarderanno gli armeni sparsi nel mondo, per lo più anticomunisti. La sglaciazione tra le due “parti” inizierà nell’88, in seguito al disastroso terremoto in Armenia: per soccorrere le famiglie delle vittime, la diaspora si impegnò moltissimo. Dopo, poi, che nel ’91 crollò l’Urss, le antiche rivalità non avevano più senso. Da allora, pur rimanendo ancora distinte, le due “obbedienze” sono pienamente ricollegate. Ci sono, anche, due patriarcati armeni (a Gerusalemme e a Costantinopoli, legati ad Etchmiadzin).
Nel 2015 il centenario del Metz yeghern è stato appassionatamente ricordato da tutte le comunità armene del mondo. Il suo simbolo era un nontiscordardime. Questo fiore, stilizzato, in Armenia era ovunque: sui vestiti, sulle macchine e, gigantesco, anche sui monti. Per non dimenticare.
Luigi Sandri
Redazione Confronti