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Un cauto ottimismo

by Raul Caruso

di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

Joe Biden si insedierà a gennaio come 46esimo presidente degli Stati Uniti. Il risultato, per nulla scontato, non può che essere guardato con un prudente ottimismo ma prima è necessario liberarsi di alcune false credenze.

Nel mese di novembre si sono tenute le elezioni americane e Joe Biden nel prossimo gennaio si insedierà quale quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti. Il risultato, per nulla scontato, non può che essere guardato con un prudente ottimismo ma prima è necessario liberarsi di alcune false credenze. In primo luogo, a dispetto di un sentire comune in Italia e in Europa, le diverse presidenze americane hanno da sempre caratteri diversi in politica estera e la continuità da molti indicata non è per nulla reale su alcuni dei temi più importanti. In secondo luogo, spesso osservatori distratti o detrattori acritici dei presidenti democratici spesso ricordano che The Donald non avrebbe iniziato nuove guerre e quindi non sarebbe stato una minaccia concreta sugli equilibri mondiali.

Questa interpretazione “numerica” è, tuttavia, quanto di più sbagliato si possa utilizzare. Donald Trump ha fatto molto a favore della “guerra” e poco o nulla a favore della pace.

Donald Trump ha fatto molto a favore della “guerra” e poco o nulla a favore della pace.

In primo luogo, ha aumentato in maniera decisa la spesa militare. Sotto la sua presidenza la spesa militare americana è aumentata del 7,4% in termini assoluti e di quasi il 12% in termini pro-capite. Questo ha stimolato il riarmo di alleati e di rivali. In secondo luogo, ha provato nei fatti a disarticolare il sistema liberale e democratico che era stato creato all’indomani della seconda guerra mondiale negando il valore delle istituzioni globali e del multilateralismo in ambito commerciale ed economico ma non solo.

The Donald poi è anche uscito da trattati e accordi internazionali cruciali quali l’Accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action – Jcpoa) ma anche e soprattutto nell’agosto del 2019 da quello di non proliferazione delle armi nucleari firmato da Ronald Reagan a Mikhail Gorbaciov nel 1987 per poi dichiarare prima delle elezioni di essere al lavoro per un nuovo accordo.

Non è possibile poi non ricordare che favorendo le esportazioni di armi convenzionali in tutto il mondo ha favorito l’aggravarsi di conflitti armati, tra cui su tutti la sanguinosa guerra in Yemen attraverso una massiccia vendita di armi al regime saudita. Questa lista potrebbe essere più lunga se solo considerassimo i fallimenti diplomatici registrati in tutto il pianeta. Non stupisce quindi che da molti sia negli Usa sia nel resto del mondo la presidenza di Joe Biden, sia attesa come una liberazione anche se dobbiamo considerare degli elementi di criticità che vanno al di là dei facili entusiasmi. In primo luogo, le storture create dall’amministrazione Trump non sono facilmente reversibili. In diplomazia, una volta che si decide di ritirarsi da trattati, il tempo e l’impegno per ricostruire tali accordi o per farne di nuovi sono difficili da quantificare. Inoltre, la spinta al riarmo non si arresterà in pochi mesi poiché la spesa e le esportazioni militari sono caratterizzati da impegni pluriennali e quindi le decisioni dell’ultimo biennio sono destinate a declinare i propri effetti ancora negli anni a venire. Come molti sostengono, peraltro, Biden ha molto da lavorare all’interno degli Stati Uniti per ricucire le ferite di un Paese lacerato dalle divisioni, dalle crescenti diseguaglianze e dalla rabbia e dal dolore associati alla cattiva gestione della pandemia di Covid-19.
Biden ha molto da lavorare all’interno degli Stati Uniti per ricucire le ferite di un Paese lacerato dalle divisioni, dalle crescenti diseguaglianze e dalla rabbia e dal dolore associati alla cattiva gestione della pandemia di Covid-19.
In breve, essendo Biden impegnato nella ricostruzione della democrazia americana, potrebbe essere meno incisivo sul ruolo internazionale degli Stati Uniti. Se questa ulteriore previsione fosse confermata, le tensioni e i conflitti armati in corso potrebbero addirittura esacerbarsi. Vi sono comunque buone notizie per la pace a livello mondiale. Pace e guerra spesso dipendono non solo da politiche e azioni effettivamente compiute ma piuttosto da una struttura di aspettative che gli attori formano. In questo momento, quindi, a giocare un ruolo cruciale saranno le aspettative della comunità internazionale. In pratica, se non sarà Biden stesso a cambiare rapidamente la rotta degli Usa, razionalmente altri Paesi lo faranno. I Paesi dell’Unione europea, da sempre estremamente sensibili a cambi di presidenza del garante d’oltreoceano, intensificheranno contatti e proposte all’alleato americano sperando da un lato di giocare un ruolo più importante, dall’altro scommettendo su una maggiore apertura al dialogo di questa amministrazione. Discorso analogo per i Paesi rivali. La Cina che aveva mal digerito la sfida portata da Trump potrebbe provare, pur con tutte le prudenze, la strada di una maggiore cooperazione. La Russia di Putin essendo in una crisi economica profonda, potrebbe godere di una maggiore distensione, pur non rinunciando alle proprie ambizioni di potenza globale. Invero, la reazione della comunità internazionale andrà a costituire la reale differenza rispetto agli ultimi anni. In parole più semplici, il mondo era stanco di Trump e farà di tutto per dimostrarlo. Questo non può che costituire una buona notizia per la pace a livello globale.
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Raul Caruso

Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana

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