di Paolo Naso. Docente di Scienza politica all’Università Sapienza di Roma.
Dopo lo scempio democratico del 6 gennaio, quando rispondendo all’appello del Presidente Trump un’orda eversiva e sovranista ha fatto irruzione a Capitol Hill, da più parti si invoca la riconciliazione nazionale. No all’impeachment, quindi, e no alla contrapposizione frontale, ma sì alla politica della ricucitura e del dialogo. Un insidioso corollario di questo messaggio è che questa dolorosa operazione di ricomposizione nazionale va compiuta anche per capire le ragioni profonde di quell’America “dimenticata e esasperata” che ha risposto all’arruolamento nelle file dei Proud Boys e di altre associazioni che il Presidente “non rieletto” aveva convocato a Washington e alle quali aveva rivolto una paterna benedizione: «I love you». Insomma, dimentichiamo per non aggravare la tensione.
Riconciliazione nazionale, allora? Dimentichiamo tutto e ricominciamo con fiducia e rispetto? Forse è troppo presto. E varrà la pena ricordare che mentre i manifestanti vandalizzano il Congresso, nel maldestro tentativo di contenere la rabbiosa violenza iconoclasta del “popolo” salito a Capitol Hill per difendere la democrazia violata dalla turpe manipolazione dei risultati delle elezioni, Trump si è rivolto ai rivoltosi che “volevano impiccare Pence” e dopo averli accarezzati e blanditi, come un predicatore che conclude il culto domenicale, li ha congedati con le parole liturgiche «andate in pace». Soltanto qualche giorno dopo, con una giravolta retorica e politica più che audace, Trump si è liberato del pelo irsuto del lupo per ricoprirsi con quello morbido dell’agnello. E, mentre lui cambiava registro e agitava il ramoscello d’ulivo, non pochi hanno ritenuto che Biden avrebbe fatto bene a raffreddare gli animi ed a cercare una soluzione non traumatica alla crisi. In parole povere, no all’impeachment.
Il discorso è politico e non va confuso con la religione, anche se tra le bandiere del 6 gennaio vi erano anche quella della Destra religiosa, di alcuni gruppi del fondamentalismo evangelical e del conservatorismo cattolico che contesta papa Francesco. Ma la saggezza biblica dice che c’è un tempo per ogni cosa, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante, un tempo per demolire e un tempo per costruire, un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci (Ecclesiaste, 3). Parole sante, e questo è il tempo della verità e della condanna di chi ha mentito e ridicolizzato la sostanza e i simboli della democrazia, e non solo di quella americana.
Paolo Naso
Docente di Scienza politica all’Università Sapienza di Roma