di Michele Lipori. Redazione Confronti
In tutto il mondo, le norme religiose coinvolgono frequentemente le donne, soprattutto per quanto riguarda l’abbigliamento. Tali norme e restrizioni determinano in molti casi un controllo sociale sulle donne, ma spesso implicano anche l’intervento diretto da parte dei governi dei Paesi di riferimento.
Secondo uno studio del Pew Research Center pubblicato a dicembre scorso, fra il 2016 e il 2018 in ben 56 Paesi (sui 198 presi in esame) le donne hanno subito attacchi “sociali” (ovvero da parte di individui o gruppi più o meno organizzati) a causa del proprio abbigliamento, ritenuto – a seconda dei casi – troppo o troppo poco aderente ai dettami religiosi. Tali attacchi passano dall’abuso verbale alla violenza fisica che possono portare anche alla morte.
Inoltre, sono 61 i Paesi nel mondo in cui le donne devono far fronte a restrizioni governative sul proprio abbigliamento, con particolare attenzione all’utilizzo di capi di vestiario volti a coprire il capo e/o il viso.
In 42 dei 56 Paesi in cui si sono verificati gli attacchi “sociali” contro le donne, la “motivazione” per tali attacchi è stata l’andar contro le norme socialmente accettate sull’abbigliamento secolare, come nel caso di donne che indossavano un hijab o altri indumenti connotati come “religiosi”.
Al contrario, in 19 Paesi le donne sono state attaccate per non aver aderito ai codici di abbigliamento religiosi, ad esempio per non aver indossato copricapi o essersi vestite in modi ritenuti offensivi per le norme religiose. In cinque Paesi inclusi nello studio (Germania, India, Indonesia, Israele e Russia) sono stati rilevati entrambi i tipi di attacco.
In quattro delle cinque macro-aree coperte dallo studio, gli attacchi “sociali” per gli indumenti percepiti come “eccessivamente religiosi” sono stati più comuni di quelle la cui “motivazione” era indossare indumenti eccessivamente secolari. L’eccezione è rappresentata dal Medio Oriente e il Nord Africa, dove le donne sono state più comunemente vittime di attacchi per indumenti ritenuti “troppo secolari”.
È l’Europa la regione in cui si sono riscontrati il maggior numero di attacchi “sociali” con incidenti registrati in 20 Paesi (ovvero il 44% delle 45 nazioni incluse nella regione).
In questi casi, sono soprattutto le donne musulmane ad aver subìto discriminazioni, violenza fisica e altre forme di abuso per aver indossato copricapi o “veli islamici” di vario tipo.
Le regole sull’uso di simboli religiosi – come l’hijab per le donne e la barba per gli uomini – sono un’altra forma di restrizione religiosa che si può osservare, sebbene con diverse sfumature, in tutto il mondo. Nella stragrande maggioranza dei casi in cui sono state registrate, tali restrizioni si riferivano ai capi di abbigliamento per coprire il capo e/o il viso delle donne.
È sempre l’Europa ad registrare il record sul numero di Paesi che prevedono limitazioni sui copricapi femminili. In Norvegia, ad esempio, il Governo ha approvato il divieto di utilizzo negli istituti scolastici di tutti quegli indumenti che coprono il viso, impedendo a studentesse e insegnanti di indossare niqab e burqa nelle scuole e negli asili nido. Il Paese ha inoltre vietato l’utilizzo dei copricapi religiosi sulle uniformi della polizia, ma ha consentito l’utilizzo di copricapi religiosi a membri dell’esercito.
[pubblicato su Confronti 01/2021]
Michele Lipori
Redazione Confronti