di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
Nel continuo stato di tensione tipico degli Anni di piombo, i funerali dell’anarchico Giuseppe Pinelli furono molto partecipati.
Era dicembre, ma in che giorno ebbero luogo i funerali di Pinelli? Giuseppe Pinelli “cadde” per un “malore attivo” (sic) da una “nestra del quinto piano della questura di Milano, interrogato dal commissario Calabresi dopo la strage di piazza Fontana.
Morì il 16 dicembre, ma quanti giorni dopo ci furono i funerali? Ricordo giornate densissime e angosciose, e quasi ora per ora, da “milanese” e “movimentista” che aveva frequentato qualche ambiente anarchico milanese (via Scaldasole, le baracche di Nuova Barbonia) ed era amico di un grande amico di Pinelli, Beppe Gozzini, che era stato il primo obiettore di coscienza cattolico e aveva militato come me nei Quaderni rossi.
Beppe fu il primo ad avanzare dubbi sulla versione della morte di!usa dalla polizia, subito seguito da militanti e giornalisti, tra i quali ultimi mi è caro ricordare una donna impavida e persuasa, Camilla Cederna, altra amica di quegli anni e di dopo. Pinelli abitava in un gruppo di case popolari vicino a via Paravia, dove un gruppo di amici, poeti e architetti, si era costruito una casa a molti piani.
Fu davanti a quella casa che ci demmo convegno noi “piacentini”, Giorgio Bellocchio e Grazia Cherchi arrivati da Piacenza, e seguimmo il corteo fino al cimitero centrale, il cui ingresso era però bloccato da un sacco di agenti. Ne avevo imparato da poco un ingresso secondario e semi nascosto e fu di lì che feci passare più persone che potevo, ritrovandoci comunque in pochi di fronte alla fossa appena scavata.
Ricordo con commozione padre Camillo De Piaz, della Corsia dei servi e che era stato partigiano, e che era un nostro grande amico, benedire la salma mentre un gruppo di giovani anarchici cantavano Addio Lugano bella. Mi commosse anche che vi fossero, tra quelli che erano riusciti a entrare, più poeti milanesi, con Sereni e Raboni anche Fortini, Giudici e Majorino.
I giorni e le notti seguenti videro le riunioni di vari cronisti di nera, di cui mi raccontava Piero Scaramucci, più tardi fondatore di Radio popolare e allora redattore delle rete regionale Rai, che fondarono un comitato attivo ed efficiente, grandemente motivato, allo scopo di far luce sull’intera vicenda della strage e della morte di Pinelli, e anche, naturalmente, delle accuse agli anarchici dichiarati colpevoli dal potere politico del tempo e dalle sue organizzazioni servili, per primi ovviamente i “servizi segreti”, allo scopo di mascherare i veri colpevoli.
Di fatto vinsero loro, e gli anni successivi, con la confusa vicenda brigatista (e la complicità involontaria e imbecille da parte di alcuni e volontaria da parte di altri, infiltrati) e con la pratica delle stragi, videro la sconfitta di un movimento che ebbe al suo culmine proprio l’atroce assassinio di Aldo Moro e la successiva morte di Enrico Berlinguer.
Ho vissuto quel tempo, tra Milano e Napoli, in uno stato di perenne tensione, come tanti ma forse più di tanti perché ascoltare la mattina la radio o leggere i giornali era un momento ogni giorno angosciante, perché più di una volta la notizia del giorno era la tragica morte di qualcuno che per qualche motivo avevo conosciuto o incrociato e che stimavo, vittima dei terroristi, o di giovani ammazzati dalla polizia.
Ebbi in quel tempo, se ben ricordo, ma posso sbagliare di poco, sette o otto perquisizioni da parte dell’antiterrorismo, prima a Milano e poi a Napoli, perché – dirigendo una rivista ed essendo abbastanza attivo nel movimento – nell’agendina di qualche sciagurato c’era pure il mio nome.
Una delle più radicali, a Napoli, ebbe una fine “all’italiana” che ancora mi fa sorridere: il commissario mandato da Roma a dirigerla, aggressivo e diffidente, trovò tra le mie carte le bozze del primo libretto che avevo scritto su Totò. E cambiò immediatamente atteggiamento.
Era un grande fan di Totò e dovette dirsi: «può mai essere un terrorista, uno che scrive un libro su Totò?», e accettò per”no il ca!è che aveva prima rifiutato, offerto a lui e agli agenti dai miei coinquilini Peppe e Cinzia, membri della Mensa bambini proletari che avevamo aperto nel quartiere di Montesanto.
Chiese il silenzio e si mise a recitare a memoria a uso nostro e degli agenti il poemetto di Totò ‘A livella… Raccontai più tardi questo fatto a due amici romani che con Totò avevano lavorato assai spesso, Mario Monicelli e Furio Scarpelli. «Da mettere in un film», dissero questi due maestri della “commedia all’italiana”.
Illustrazione di Doriano Strologo
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini