di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
Un libro recente, di un giornalista viaggiatore bravo anche quando un po’ pedante, Peter Hopkirk, si muove Sulle tracce di Kim, sottotitolo Il Grande Gioco dell’India di Kipling (Edizioni Settecolori, pp.280, euro 26,00). Più che pedante, dovremmo dire dell’autore che è sin troppo inglese, e che è forse troppo affezionato a un passato che tantissimi inglesi continuano a considerare glorioso, quello del loro colonialismo otto-novecentesco. Che tentò di ridurre tutto alla sua misura, e ribattezzò, per l’incapacità di pronunciare lingue e di rispettare culture che non fossero quella materne, il Caribe i Caraibi, Mumbay Bombay, Kolkata Calcutta ecc. E che venerò una regina, Vittoria, come nessuna tribù aveva mai venerato le sue idee, come la più opulenta delle Mater Matute.
Hopkirk non fa eccezione e dimostra una gran nostalgia per quei tempi, interessato forse più al Grande Gioco del sottotitolo che al romanzo di Rudyard Kipling, che ha per la verità due anime e due logiche. Rileggere Kim oggi (ma anche gli altri romanzi e racconti di vita coloniale di quel grandissimo scrittore) produce ancora un grande piacere, e sì, Kim (scritto all’inizio del Novecento) è davvero di un capolavoro, ma lo è proprio per la sua duplicità, per una doppia anima di cui l’autore cerca una impossibile conciliazione e unità, ben sapendo che questo sarà impossibile.
Due sono i protagonisti e due le Vie che essi seguono, nel grande e affascinato viaggio attraverso un’India che Kipling conosceva benissimo e che amava tantissimo. E il Grande Gioco è quello dello spionaggio, lo stesso che ha affascinato e che hanno praticato molti grandi scrittori inglesi venuti dopo Kipling, grandi come lui: Maugham, Greene, Ambler, Le Carré. Molto più “di sinistra” di lui nelle loro idee sull’Impero, e su ogni Impero compreso quello americano che ha sostituito l’inglese. Il ragazzo Kim vi è sollecitato e irretito da tutto un sistema, orfano di un soldato inglese e cresciuto nelle strade di Lahore che, al seguito di un vecchio lama che, assistito da Kim, vuol raggiungere Benares per bagnarsi nel grande fiume sacro e negarsi infine nel tutto, viene usato dagli inglesi per raccogliere informazioni su quel che si muove ai confini. Quel che vi ribolle di rivolte indiane e quel che i russi vi stanno tramando.
L’apprendistato di Kim all’età adulta segue, lungo uno stesso fisico tragitto che lo pone a contatto con più aspetti della grande India, due percorsi che a volte egli fatica a tenere insieme: l’appartenenza nonostante tutto all’Impero che domina l’India, e l’introduzione alla cultura e alle diversità dell’immenso paese, da cui la sua curiosità è affascinata. E di cui si sente, per nascita ed esperienze e modelli, anche parte. Kim esprime il desiderio di vita e di conoscenza di un ragazzino a cavallo tra due culture, ma irrimediabilmente prigioniero della sua parte inglese, del ricatto dell’appartenenza. Anche perché il “sistema” imperiale sa come continuamente riacciuffarlo, per i suoi fini decisamente politici e diciamo pure imperialisti e colonialisti.
Kim si confronta di incontro in incontro, di paesaggio in paesaggio, di avventura in avventura e di scoperta in scoperta con l’immensa India e con il vecchio lama che ne incarna la saggezza e le convinzioni più profonde, e col desiderio che muove il lama di annullarsi nel tutto, nella grande ruota dell’esistenza.
Di fatto, è la pratica e concreta e ideologica cultura inglese che Kipling ha cercato a volte meravigliosamente e a volte affannosamente di coniugare con quella indiana, il protestantesimo nella sua weberiana corruzione capitalista con il buddismo, con religioni orientali così lontane dalla praticità occidentale e certamente più portate allo Spirito che non alla carne e alla Storia. L’immenso fascino di Kim sta proprio in questa duplicità, e rileggerlo è altrettanto affascinante, ma certo più istruttivo, oggi che sulla storia e i misfatti dell’imperialismo siamo molto più avvertiti di quando lo leggemmo da ragazzi, per l’appunto, almeno io, nell’età di Kim.
Che immenso personaggio è Kim, tra i tanti della sua età che popolano la letteratura dell’Otto e del Novecento e un po’ meno di oggi! Solo il borghesissimo Harry Potter, apprezzabile solo per il desiderio di rivalsa e di “superpoteri” che suscita in bambini poco amati dal mondo degli adulti di oggi, ne ha incrinato la fama, ma forse soltanto nel pubblico infantile! Si può parlare di nuove forme di imperialismo almeno culturali? di un imperialismo via l’altro? Ma infine, che immenso scrittore è stato Kipling, anche nelle sue contraddizioni!
Si racconta che, già vecchio, si aggirasse un giorno per le strade di Londra quando un elefante fuggì da un circo, spaventato e spaventante, e che dove non riuscirono i poliziotti, riuscì lui, accostandoglisi e parlando una qualche lingua indiana il cui suono ammansì l’animale, perché vi riconobbe qualcosa che gli apparteneva, il mondo da cui veniva. Quell’elefante in fuga può essere simbolico di molti significati, anche per l’oggi?
Il Grande Gioco delle Grandi Potenze continua, e corrompe. E non sembra in grado di contrapporglisi la Grande Ruota della vita e della morte del lama buddista. Vi sarà mai una vera e solida conciliazione? Fu sempre Kipling a dire che l’Occidente è l’Occidente e l’Oriente è l’Oriente, diversi in eterno… Nonostante che Kim e Kipling si sentissero divisi in due, tra l’Inghilterra natale e il fascino dell’India, essi hanno finito per scegliere la parte del potere che per loro era, pensavano, la parte stessa della Storia. Ma oggi? Rileggere quel capolavoro che è Kim fa venire molte idee, sollecita molte strane riflessioni su come confrontarsi con l’Altro, e su come accoglierlo e farsene accogliere… che è il tema forse più centrale, insieme a quello dell’ecologia, del mondo in cui viviamo. Ed è anche per questo che ragionare sulle due non conciliate culture di cui Kim è espressione e sul rigore e la diversità del suo amico e maestro orientale è importante oggi quanto ieri, e più di ieri per il confronto obbligato dalla storia delle migrazioni, dalla globalizzazione, dalla coscienza più viva che mai di una nuova, sostanziale unità.
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini