Tra le gioie del nappo e del Saltero. Per un Lutero visto dal Carducci - Confronti
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Tra le gioie del nappo e del Saltero. Per un Lutero visto dal Carducci

by Giuseppe Paternico

di Giuseppe Paternicò, Laureando magistrale in Scienze storiche - DISSGeA, Università degli studi di Padova.

La vecchia signora Europa, il cui nome ha tanto un buon sapore di classicità, nel corso del 2017 si apprestava a vivere il V centenario dalla Riforma protestante. Attraverso modi ed emozioni differenti, più chiese e capi religiosi, istituzioni ed esponenti della cultura hanno salutato ciò che i Riformatori del ‘500 avevano messo in moto nelle coscienze di ieri e di oggi verso il definirsi di una fede quanto più evangelica, spoglia di paramenti e tradizioni secolari ma addobbata delle verità bibliche.

Tuttavia, dopo una tale matassa di riflessioni, è possibile che vi sia ancora qualche altro tratto da definire, ad esempio su Lutero? La novità in merito giunge inaspettatamente dalla poesia. A descrivere un curioso profilo non solo caratteriale del Riformatore tedesco è un sonetto di Giosuè Carducci (1835-1907), dal titolo
Martino Lutero datato al 18 febbraio 1886 e contenuto nella raccolta delle Rime Nuove, composte tra il 1861 e il 1887. Così descrivono Lutero le suddette rime carducciane: 

Due nemici ebbe e l’uno e l’altro vinse
Trentanni battaglier, Martin Lutero;
L’uno il diavolo triste, e quello estinse
Tra le gioie del nappo e del saltero;

L’altro l’allegro papa, e contro spinse 
A lui Cristo Gesù duro e austero;
E di fortezza i lombi suoi precinse,
E di serenità l’alto pensiero.
-Nostra fortezza e spada nostra Iddio-
A lui d’intorno il popol suo cantava
Con l’inno che gli dié pien d’avvenire.

Pur guardandosi a dietro, ei sospirava:
Signor, chiamami a te: stanco son io:
Pregar non posso senza maledire.

Collocato nel suo tempo, Lutero fu un personaggio che godette di un’enorme fama per la smisurata cultura biblica che gli permise per un’intera vita di precingere “di  serenità l’alto pensiero” durante dispute teologiche, sermoni ed interessantissimi corsi universitari che spaziavano dall’Antico al Nuovo Testamento e che attiravano molti studenti da ogni dove della Germania, facendo di Wittenberg il maggiore centro universitario dell’impero per numero di iscrizioni: un’energica ricerca biblica praticata e soprattutto vissuta che lo portò a mettere in discussione l’infallibilità di un potere temporale-spirituale plurisecolare, quale il Papato, cui contrapponeva deciso, come ribadisce il poeta, un Cristo più “duro e austero”.

Non a caso quindi la storiografia tende a definire Lutero per il suo notevole temperamento “l’Ercole tedesco”
, alla stregua di un vero eroe della patria germanica, al quale non mancò di lasciare un segno indelebile anche nella lingua della propria nazione, grazie alla sua personale traduzione in tedesco del Nuovo Testamento dal greco.

Di conseguenza, la poderosa opera compiuta nell’arco della sua esistenza ne cesellò il carattere, i cui segni di stanchezza non esitarono a farsi sentire durante gli anni della vecchiaia, esattamente come rima il Carducci nell’ultima terzina del sonetto: «…
Pur guardandosi a dietro, ei sospirava:/ Signor chiamami a te: stanco son io/ Pregar non posso senza maledire». Tempo e  pregiudizi, dunque, possono aver collocato in un punto molto distante da noi il maggiore protagonista della Riforma cinquecentesca, ma il sonetto del Carducci, secondo un’analisi del testo proposta da parte di chi scrive, tenta di avvicinarci a questa figura, di certo non facile da capire come tutti i più grandi personaggi della storia, cogliendone e descrivendone una maggiore umanità, non solo negli usi e nei costumi ma soprattutto nella spiritualità. In che modo?

Nei ritmi dei primi cinque versi del componimento in questione si afferma  chiaramente che Lutero ebbe sì lungo l’arco della sua vita ben due acerrimi nemici, “
l’uno il diavolo triste” e “l’altro l’allegro papa”, Leone X, ma che seppe anche ad entrambi tener testa con molta franchezza. Sono note a tutti i libri di storia le modalità che portarono Lutero a fronteggiare la scomunica papale e a difendere le proprie posizioni teologiche per «…trent’anni battagliaer» appunto (dal 31 ottobre 1517, data dell’affissione delle sue 95 Tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg, alla sua morte avvenuta nel 1546 a Eisleben, sua città natale), ma risulta lasciato in disparte come decise di affrontare le insidie del “diavolo triste”.

È qui che probabilmente ci è lecito aggiungere qualcosa a quanto già conosciamo del tanto noto teologo riformato. I suoi rimedi a tal proposito furono due, schietti e sinceri: da una parte “le gioie del
nappo”, dall’altra quelle del “Saltero” ovvero, secondo i consueti commenti a tale sonetto, «…le gioie profane e spirituali della vita, il vino e il canto».

In realtà, l’analisi ai versi proposta in questa sede evidenzia dell’altro. Con la prima espressione, il Carducci non definirebbe Lutero un semplice ubriacone ma piuttosto un uomo al quale sono gradite le gioie della tavola, dello stare allegramente in compagnia intorno alla mensa, bevendo anche una coppa (nappo) di vino ma in primo luogo scherzando sulle difficoltà della vita, com’era solito fare con appositi canti goliardici; la seconda, invece, indicherebbe la gioia-conforto proveniente dalla lettura continua da parte di Lutero del libro biblico dei Salmi, il Saltero [dal nome dello strumento musicale cordofono e di forma trapezoidale al cui suono si accordava il canto dei Salmi]. Ma perché proprio questi rimedi?

La risposta è molto semplice se si guarda alle Sacre Scritture alla maniera di Lutero: da una parte, sarà forse balzato ai suoi occhi il noto passo dei del libro dei Proverbi (17, 22) dove si afferma che: «
un cuore allegro è un buon rimedio, ma uno spirito abbattuto fiacca le ossa»; dall’altra, i cosiddetti Salmi penitenziali, ovvero i Salmi 6, 32, 38, 51, 102, 130 e 143 a cui Lutero dedicò un commento in lingua tedesca nel 1517. Nel terzo di essi il salmista, in cui potrebbe riconoscersi ogni uomo dall’animo tormentato, compreso il nostro Lutero, affermava: «Poiché io ho sperato in te, mio Dio, tu risponderai, mio Dio e mio Signore».

Nel commentare il passo salmodico citato, il predicatore di Wittenberg ebbe modo di esprimersi così, in una sorta dialogo
a tu per tu con Dio: «Tu non lascerai perire la mia speranza, risponderai certamente al mio desiderio e lo appagherai. Spetta a me di chiedere e di attendere te e la tua grazia.  Ma spetta a te di esaudirmi, di rispondere alla mia richiesta e di adempiere alla mia speranza» [cfr. V. Vinay (a cura di), Martin Lutero. Scritti Religiosi, UTET, Torino 1967, vol. I, p. 104]. Queste sarebbero pertanto le gioie reali che permisero a Lutero di vincere il diavolo triste: mantenere uno spirito allegro, senza abbattersi e beneficiare della speranzosa consapevolezza di trovare nel Divino quiete per l’animo gravato.

Ph. Chryspa, via Wikimedia Commons

Giuseppe Paternicò

Giuseppe Paternicò

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