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Di radio, pali, candele e altre storie congolesi

di Marzia Coronati

di Marzia Coronati. Giornalista Rai RadioTre.

2006 È un anno eccezionale per la Repubblica Democratica del Congo. Il Paese esce da mezzo secolo di dittatura e guerre civili e, per la prima volta dalla conquista dell’indipendenza, i cittadini partecipano a elezioni libere e pluraliste. Il vincitore è Joseph Kabila, salito al potere nel 2001 al posto del padre, Laurent Desiré Kabila, assassinato in una congiura. Kabila Junior rimarrà alla guida della Repubblica fino al 2019, anno in cui gli sarà impedito di cambiare la Costituzione, che vieta il terzo mandato. 

La RDC è un paradosso eccezionale: un territorio grande come metà dell’Europa, smisuratamente ricco di materie prime – diamanti, coltan, oro, cobalto, acqua, legnami pregiati – ma devastato dalla povertà, dalle guerre intestine, dalle violenze e dalle sofferenze subite dalla popolazione, pesantemente segnata dal colonialismo belga e da 32 anni di dittatura di Mobutu Sese Seko, al governo del Paese fino al 1997, anno in cui Kabila Senior ha rovesciato il regime.

Nel dicembre del 2006 Joseph Kabila si è appena insediato e Francesco Diasio – insieme a una squadra di operatori esperti nel sostegno ai media indipendenti in aree di conflitto – sale su un aereo che da Fiumicino lo porta a Kinshasa, la capitale.

Sono passati quindici anni, ma il ricordo di Diasio è ancora vivo. L’aereo atterra nel tardo pomeriggio ma fuori è già buio. Il primo impatto è un rimestarsi di sensi: un’acida vampata di caldo accompagna odori fortissimi, un’atmosfera che descrive perfettamente il grande giornalista Ryszard Kapuścinski in “Ebano”, l’odore della natura virulenta che ancora non è del tutto dominata dall’uomo, fragranze di uomini, fango, pioggia, sudore. Appena mette piede all’aeroporto, Diasio entra subito in contatto con l’opaca, barocca e tragicomica burocrazia congolese; qualcosa non torna nelle profilassi contro la malaria fatte in Italia, così lo conducono in un gabbiotto dove una persona non ben identificata, con un camice addosso, sputa la sentenza: bisogna pagare una multa di quaranta dollari, ovviamente senza ricevuta. Poi ci saranno i controlli dei documenti, una pratica che attraverserà spesso, ogni qual volta si sposterà all’interno della Repubblica, un arzigogolato procedimento fatto di lunghe attese, enormi registri cartacei riempiti a mano da obbedienti impiegati e decine di fogli di cartacarbone svolazzanti. Prima di uscire dall’aeroporto c’è ancora un’ultima prova del fuoco, l’assalto al nastro bagagli, una gincana tra piramidi di pacchi giganteschi e ondeggianti opere d’arte di cellophane e scotch. Poi, finalmente, l’uscita. 

Ascolta “Radio Congolesi – Marzia Coronati intervista Francesco Diasio, esperto in media comunitari in zone di conflitto” su Spreaker!

La città di Kinshasa dista circa un’ora di macchina dall’aeroporto. «Vedo scorrere paesaggi urbani nella sospesa atmosfera notturna, dal finestrino scorrono bancarelle e negozietti, al loro interno i commessi si fanno luce con le candele. La città si avvicina, la strada costeggia le vestigia dell’epoca di Mobutu, grandi costruzioni, palazzi e ponti ora abbandonati e distrutti. L’hotel è vicino alla stazione centrale e alla torre della televisione pubblica, un albergo noto per avere ospitato negli ultimi decenni molti corrispondenti e giornalisti, soprattutto durante la guerra in Ruanda e i conflitti congolesi; le finestre affacciano su un giardino e una piscina abbandonata. Fuori ci sono continui movimenti di truppe, le divise sono diverse, centinaia di persone armate si muovono sotto un cielo grigio e un caldo umido»

È qui, nella capitale, che iniziano i preparativi per affrontare la prima tappa della missione: si va a nord, verso Kisangani, sulle rive del fiume Congo, nel posto che ospita uno dei cuori della rete di radio locali da rafforzare.

Il progetto, a cui Francesco Diasio lavorerà per i successivi quattro anni è finanziato dalla cooperazione inglese e da quella francese, gestito dalla Ong Institut Panos Paris, un’organizzazione con sede a Parigi che lavora per la difesa del diritto alla libera informazione e per sostenere i media indipendenti. «Era il 2006, nel bel mezzo degli anni d’oro della cooperazione internazionale nel campo dei media» contestualizza Francesco Diasio «erano passati solo cinque anni dai fatti di Genova, uno spartiacque che ha cambiato molte cose nella cooperazione tra i media, sia al livello nazionale che internazionale». In quegli anni di grande fermento, tra forum sociali e bilanci partecipati, l’Institut Panos Paris decide di investire nel rafforzamento delle radio e i media locali nella RDC, al fine di favorire il processo di transizione democratica in corso. 

Fino al 2010 la squadra guidata da Diasio si muove di città in città, dotando le redazioni di decine di emittenti di ricevitori via satellite per la connessione internet, antenne wi-fi, computer, ibridi telefonici per fare le interviste a distanza, server condivisi, in ogni città, per favorire lo scambio di programmi tra radio. Quelle che incontrano sono tutte radio comunitarie, indipendenti, rurali, locali, di prossimità… insomma, realtà né pubbliche né commerciali, spesso autofinanziate o sostenute dalle chiese, disseminate in quasi tutte le province del Congo: nel nord, a Kisangani, a Bukavu nel Sud Kivu, nel sud a Lubumbashi in Katanga, a Mbuji May in Kasai e a Boma nel Bas Congo, sull’Oceano, ai confini con l’Angola. «Mettevamo su i dispositivi, le attrezzature, ci assicuravamo che funzionassero, spiegavamo come usarle e come risolvere gli eventuali problemi. Era veramente un momento di grande fermento partecipativo, internet diventava più potente, c’era la possibilità di scambiare programmi, di metter su infrastrutture tecniche che favorissero l’espressione di un giornalismo più libero, fare “rete”», ricordano gli operatori. Un lavoro importante, se si pensa alla potenzialità dello strumento radio in una nazione in cui il tasso di analfabetismo sfiora il 30%, con milioni di donne e uomini che non sanno né leggere né scrivere e che parlano solo la propria lingua locale. La radio è l’unico mezzo di informazione, sia perché è la naturale prosecuzione della tradizione orale, sia perché spesso, soprattutto nelle zone rurali, è l’unico strumento che non necessita di corrente elettrica, ma solo di due pile. 

C’è un episodio che più di molti grafici spiega quanto e come sia difficile, per la maggior parte della popolazione congolese, tenersi informati. A Lubumbashi, capitale del Katanga, in un ristorante, Francesco incontra un ambulante, ha un giornale sotto braccio, lo fa vedere agli avventori e spiega che chi fosse stato interessato a un singolo articolo avrebbe potuto comprarne una fotocopia, senza dover sborsare la somma per l’intero quotidiano. «Geniale, interpretazione della informazione on demand, in un certo qual modo».
Il Congo è questo immenso paradosso, un Paese con un patrimonio di risorse naturali immense dove la gente non possiede il denaro per acquistare un giornale, una nazione ai primi posti mondiali per l’esportazione dell’energia elettrica dove molti ancora vivono a lume di candela, la terra più ricca di coltan al mondo dove lo smartphone è ancora un lusso. 

Ma torniamo al 2006. La rete internet, in quegli anni, è ancora zoppicante e i sistemi radiofonici sono molto deboli. L’obiettivo è ambizioso: non solo dotare le radio della strumentazione necessaria, ma anche e soprattutto metterle in rete, così da consentire a condivisione di notizie e informazioni. «Nel corso delle nostre missioni abbiamo messo in piedi un sistema di ricezione del segnale internet via satellite, costituito da un hub centrale e corredato da un certo numero di antenne che trasferivano il segnale wi-fi tra una radio e l’altra» spiega Diasio «la stazione centrale dove abbiamo posto il ricevitore satellitare, funzionava anche da hard disk centrale: un enorme contenitore di programmi radiofonici e contenuti giornalistici che le radio potevano scambiarsi»

 A Kisangani, negli studi di Radio Télé Amani (RTA), all’interno di una vecchia missione in mattoncini rossi – che ospitava e ospita ancora oggi questa emittente confessionale insieme a una tipografia, una mensa, un’officina, diverse stanze da letto la squadra impianta il ricevitore satellitare. Una volta montato l’hub centrale, RTA diventa in grado di ridistribuire segnali alle radio più piccole disseminate nella città. «Molte radio comunitarie in Congo sono confessionali, anche se altre hanno una natura estremamente laica, ci sono sia emittenti cattoliche che protestanti, che mandano in onda i loro riti ma fanno anche informazione e programmi su temi non religiosi. Le radio confessionali cattoliche si appoggiano spesso alle diocesi e hanno una struttura tecnica più equipaggiata rispetto alle altre».

Tra le radio comunitarie incontrate nei successivi quattro anni Diasio ricorda con piacere Radio Maendeleo, a Bukavu, nel sud Kivu, nella suggestiva zona dei grandi laghi. Radio Maendeleo lavora molto bene sui meccanismi di sostenibilità e sulla relazione con la comunità
mettendo a disposizione un internet point dove le persone possono avvicinarsi agli studi, usufruire della connessione o anche solo caricare il telefono e si concentra molto sulla qualità dei contenuti, ospitando, tra l’altro, diverse trasmissioni di dialogo sul tema la pacificazione, sfruttando la vicinanza alla frontiera tra Burundi e Ruanda.

Nonostante l’enorme disponibilità di risorse naturali, circa la metà della popolazione congolese ancora non ha accesso alla corrente elettrica, un dato certamente rilevante per capire come sia complesso ancora oggi garantire l’esistenza e la sostenibilità di una radio. Ma prima della luce, l’acqua, che attraversa il Paese ma che non arriva nelle case. Nei suoi piani ambiziosi, la RDC doveva esportare energia ai Paesi limitrofi, dopo aver soddisfatto il fabbisogno nazionale, attraverso due grandi dighe Inga 1 e Inga 2 (Inga 3 è in previsione), che hanno già un buon cinquantennio alle spalle. Tra gli ingegneri c’erano anche quelli delle ditte italiane che hanno partecipato alla costruzione. «Mi imbarco su un piccolo volo tra Kinshasa e Boma. Uno di quegli aerei con una decina di posti, dove ti siedi appoggiando i piedi sul sedile del pilota. C’è un signore di una certa età, visibilmente non congolese ma dall’aria abituata all’ambiente. Gli chiedo di dove fosse e perché andava verso Boma. Era italiano. Era uno dei vecchi ingegneri che aveva partecipato alla costruzione della diga, uno dei pochi che ancora può risolvere qualche problema, e che di tanto in tanto viene chiamato a mettere una pezza su una struttura costruita quarant’anni fa».

Nella maggior parte dei casi le emittenti sono costrette a utilizzare generatori e gruppi elettrogeni per riuscire ad alimentare il trasmettitore, e spesso non riescono ad andare in onda per tutto il giorno, costrette a spegnere di notte, al fine di arginare gli alti costi economici e diminuire l’inquinamento ambientale . 

Nel 2008 la squadra di Francesco Diasio è a Mbuji-Mayi, nella provincia del Kasai, per rafforzare l’hub locale di radio comunitarie. Alcune radio sono costruite all’interno di un container. Il giorno prima avevano avuto problemi di corrente elettrica, ma il giorno successivo, quando Francesco va a controllare, sembra tutto risolto. «Avete risolto? Chiedo. E loro mi rispondono ‘Abbiamo messo il palo’». Risposta criptica, ma dopo poco arriveranno le spiegazioni. «Avevano messo un alto palo vicino alle rotaie per prendere l’elettricità alla ferrovia. Ah, ecco»

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Marzia Coronati

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