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Donne e uomini di pace per il futuro della Siria

by Asmae Dachan

di Asmae Dachan. Giornalista e scrittrice

«Mi hai salutato e mi hai promesso che non ti dimenticherai di me, né io mi dimenticherò mai di te». Sembra una promessa d’amore fatta a una donna, ma questa frase in realtà è dedicata alla Siria ed è tratta da una delle più famose canzoni di Sabah Fakhri, il massimo cantante siriano di tutti i tempi. Sono parole che oggi assumono un significato nuovo, soprattutto se ad ascoltarle sono esuli, profughi o sfollati, che ormai costituiscono i due terzi della popolazione siriana. È un dato impressionante, come è impressionante constatare che dall’inizio delle ostilità del 2011 sono passati dieci anni. Un periodo di tempo lunghissimo, che ha visto il Paese mediorientale, da sempre considerato mosaico di etnie e culture, diventare un’immensa distesa di silenzio e macerie. 

Oggi che ricorre il decennale è importante riflettere su quanto accaduto alla vita delle siriane e dei siriani che il mondo conosceva come popolo generoso e accogliente, amante della letteratura, dell’arte, delle scienze, fiero della sua poliedricità, ma anche sofferente per la mancanza di libertà d’espressione, che negli anni ha portato migliaia di intellettuali, attivisti politici, giornalisti e scrittori nelle carceri. Nel suo libro La conchiglia Mustafa Khalifa racconta i vent’anni passati nella cella di una prigione governativa per reati di opinione. Per sopravvivere alle torture fisiche e psicologiche, Khalifa aveva costruito una conchiglia immaginaria nella quale si isolava e si proteggeva. Tutto ciò accadeva ben prima che iniziasse la guerra in Siria nel 2011 e sono proprio simili episodi che raccontano le condizioni in cui viveva la popolazione dal 1970, anno del colpo di Stato del generale Hafiz al-Assad che ha accentrato nelle mani sue e del partito Ba’th tutto il potere. Quando, nel 2000, Hafiz è morto, e il giovane oftalmologo Bashar al-Assad gli è succeduto, in molti speravano che le cose sarebbero cambiate. Dopo un periodo di iniziale apertura, la situazione è tornata drammatica.

Quando si racconta una guerra, molto spesso ci si focalizza sulle fazioni che si combattono, sulle alleanze, sugli aspetti geo-politici e solo marginalmente sulle conseguenze che gli eventi hanno sulla popolazione civile, che diventa la grande assente in ogni considerazione. Milioni di civili siriani colpiti dal conflitto sono stati consegnati all’oblio, inghiottiti nella narrazione manichea che ha visto il prepotente protagonismo da un lato del regime di Bashar al-Assad e dall’altro dei terroristi dell’Isis. Un racconto che ignora la presenza di un’opposizione legittima e che mette a tacere la voce dei non belligeranti. Conoscere le loro storie aiuta a capire cosa è realmente accaduto in Siria e quale potrà essere il futuro di questo martoriato Paese.

Dopo l’inizio della sanguinosa repressione, il vignettista Alì Ferzat aveva disegnato una vignetta in cui ritraeva Bashar al-Assad che chiedeva un passaggio al leader libico Gheddafi, in fuga su una jeep. A seguito della pubblicazione dell’opera il 25 agosto 2011, mentre si trovava nel suo studio a Damasco, è stato brutalmente malmenato da agenti dei Mukhabarat, i famigerati servizi segreti siriani, che si sono accaniti, in particolare, sulle sue dita, per poi gettarlo in mezzo alla strada. La TV di Stato aveva annunciato la sua morte, parlando di un’aggressione da parte di balordi, ma Alì Ferzat non era morto. Alcuni automobilisti lo avevano soccorso e grazie ai suoi contatti all’estero era riuscito a fuggire, denunciando l’aggressione subita. Dopo numerosi interventi chirurgici il vignettista ha recuperato quasi completamente l’uso delle mani e oggi la sua è una delle matite più potenti, che denuncia gli orrori del regime e del terrorismo.  

Molti intellettuali e attivisti, purtroppo, non sono invece sopravvissuti agli orrori della guerra. Raed Fares, giornalista di Kafranbel, fondatore di Radio Fresh, è stato ucciso in un attentato il 23 novembre 2018. Raed era diventato il simbolo di un doppio dissenso, contro la brutale repressione del regime e contro la censura e la barbarie dei gruppi salafiti, tra cui al Nusra e Tahrir al-Sham, che hanno preso il controllo di Idlib strappandola all’opposizione nel 2015. La scomparsa di Raed Fares è una ferita profonda per la società civile siriana. 

Tra le più belle e più coraggiose voci del dissenso c’era quella della giovane avvocatessa damascena Razan Zaitouneh. Razan era da sempre impegnata in favore dei diritti delle donne e dei detenuti politici. Nel 2005 aveva fondato il Syrian Human Rights Information Link (SHRIL). Nel 2011 aveva, invece, fondato il Violation Documentation Center (VDC), un ente per il monitoraggio dei crimini contro i civili, che operava secondo i più alti canoni internazionali, tanto da essere considerato tra le fonti più attendibili; Razan è stata anche tra i fondatori dei “Comitati di coordinamento locale”. Il 9 dicembre del 2013 è stata rapita insieme ad altri tre colleghi, Wael Hammadeh (suo marito), Samira Khalil e Nazem Hammadi. Di loro non si sa più nulla. 

Nello stesso anno è stato rapito a Raqqa Padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita fondatore della comunità monastica cattolico-siriaca di Mar Musa, a Nord di Damasco. Il religioso, da sempre impegnato nel dialogo tra cristianesimo e islam, nel 2012 era stato espulso dal regime a seguito delle sue lettere di denuncia contro le violenze contro i civili, ma era voluto tornare in Siria per amore di quella che considerava a tutti gli effetti la sua casa. 

Il silenzio sulla sorte delle persone scomparse colpisce migliaia di Siriani. Emblematico il caso di Mazen al Hamada, attivista per i diritti umani arrestato e torturato per anni, che dopo il suo rilascio aveva trovato accoglienza in Olanda ed era diventato testimone delle violenze all’interno delle carceri del regime. Nel febbraio dello scorso anno Mazen è tornato in Siria, malato ed esasperato, forse credendo alla propaganda che parlava di riconciliazione, ed è stato immediatamente arrestato. Nelle scorse settimane è uscita la notizia della sua morte in carcere, poi smentita, anche se rimane il mistero.

Molti siriani che avevano sperato nel cambiamento oggi sono in esilio e dai diversi Paesi che li hanno accolti continuano il loro impegno per denunciare i crimini subiti e chiedere verità e giustizia, diventando una speranza per i siriani rimasti in Patria. Questa speranza era incarnata da persone come Fadwa Suleiman, celebre attrice aleppina alawita, diventata la voce delle proteste contro il regime di Bashar al Assad. La sua immagine in occasione di una storica manifestazione a Homs, dove i partecipanti erano per la maggioranza sunniti, è rimasta nel cuore dei Siriani. Purtroppo, Fadwa, oltre ad ammalarsi di nostalgia nel suo esilio a Parigi, è stata colpita dal cancro. Si è spenta il 17 agosto del 2017. 

Nomi, storie, volti di civili che meritano di essere conosciuti perché la Siria non appaia come una nebulosa, ma un Paese con una lunga storia, dove oggi milioni di civili sognano di poter scrivere la parola futuro.

©2018 European Union (photographer: Peter Biro)

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