di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
La capanna dello zio Tom è da tempo un romanzo più citato che letto, anche a causa delle tante riduzioni per l’infanzia, dei disegni animati, dei film e degli originali televisivi che ne sono stati tratti. Eppure ha avuto un’importanza storica raramente eguagliata da un altro romanzo. Quando uscì, nel 1852, uscirono però in Russia anche le Memorie di un cacciatore di Ivan Turgenev, che spinsero lo zar all’abolizione della servitù della gleba così come, negli Stati Uniti, La capanna dello zio Tom preparò il terreno alla guerra di secessione. Lo riconobbe lo stesso Abraham Lincoln, incontrando la sua autrice e considerandola una straordinaria alleata nella sua battaglia, nella decisione di abolire la schiavitù. E fu proprio questo ciò che Harriet Beecher Stowe, una signora del New England figlia di un pastore calvinista, contribuì a fare con un romanzo letto da migliaia e forse milioni di persone in America come in Europa.
Fu anche, peraltro, uno dei grandi titoli del Rinascimento letterario americano, che vide l’eccezionale fioritura di una generazione di narratori e poeti che tutti, più o meno, avevano letto e meditato Emerson, il filosofo del trascendentalismo. I nomi? Henry Thoreau, Herman Melville, Nathaniel Hawthorne, Walt Whitman, Edgar Allan Poe, Emily Dickinson, Louisa Alcott, Margaret Fuller e scrittori neri come Frederick Douglass. Nel giro di due decenni, tra il 1840 e il 1860, dopo i primi racconti di Poe e i saggi di Emerson uscirono Moby Dick, La lettera scarlatta, Walden, Foglie d’erba… E La capanna dello zio Tom e poco più tardi Piccole donne…
Il nome più celebre tra tutti questi, letterariamente più importanti del suo, fu bensì quello della Beecher Stowe, che non ha scritto dei capolavori come alcuni dei citati, ma il cui romanzo contribuì né più né meno che a cambiare la storia di un paese, la Storia. Esso indignò i lettori con la descrizione delle sofferenze del popolo nero dentro un orrendo sistema schiavistico che considerava gli essere umani come braccia da sfruttare senza pietà e corpi di cui abusare in tutti i possibili modi, che considerava le persone di pelle nera come oggetti facilmente sostituibili, fregandosene delle loro sofferenze e dei loro sentimenti.
Esseri umani, comprabili e vendibili a piacere, secondo un mercato degli schiavi che coinvolge nel romanzo, ambientato nel Kentucky, un proprietario terriero in difficoltà che vende a un cinico mercante una schiava fedele e brava, Eliza, e il suo figlioletto. La schiava fugge col figlio, e riesce a riparare a Nord grazie all’aiuto di organizzazioni quacchere (e fu questa la prima volta che, io come tanti prima o dopo di me, sapemmo di questa minoranza religiosa e nonviolenta; e va ricordato che Beecher Stowe fu anche vegetariana e animalista…).
Alla sua storia si intreccia quella dello “zio Tom”, lo schiavo fedele, e quella del figlio del proprietario che ha venduto Eliza, coi suoi sensi di colpa nei confronti di Tom, che cerca di ritrovare e riscattare, ma troppo tardi. Quanti lettori la morte di Tom ha fatto piangere in tutto il mondo? Certamente contribuì, indignando i lettori e sollecitando a intervenire associazioni e chiese e infine lo stesso Lincoln.
Sì, la scrittura di La capanna dello zio Tom non è all’altezza dei suoi propositi, ma arriva là dove l’autrice si è proposta di arrivare; e quante sono le opere letterarie che nel corso della storia, di secoli di storia (non penso, è ovvio, ai libri sacri e religiosi, e ai più radicali di tutti, i quattro Vangeli, e non penso neanche a testi di agitazione sociale e politica e di chiarificazione economica alla Marx o alla Proudhon, eccetera) hanno prodotto risultati come quelli ottenuti dalla Capanna dello zio Tom?
Al tempo del Black Power, dare, tra neri, dello “zio Tom” a un nero era diventato un insulto, la dura critica a un atteggiamento di sudditanza che comportava a volte perfino l’affezione nei confronti di un padrone bianco. Ma guardando le cose con il senso della storia, come non riconoscere alla Capanna l’enorme importanza storica avuta, negli Usa dell’Ottocento e anche dopo e altrove? Beccher Stowe era bianca, ma ci sarebbero stati più tardi, senza di lei, i libri delle grandi scrittrici nere sulla condizione dei neri che si sono spinti oltre la pietà per parlare piuttosto di diritti, di uguaglianza, di giustizia? Ci sarebbero state la grande narratrice e antropologa Zora Neale Hurston il cui I loro occhi guardavano il cielo fu tradotto per la prima volta in Italia da Ada Gobetti negli anni più bui del fascismo; la Alice Walker del Colore viola; la premio Nobel Toni Morrison, e cento altri, compresi i neri di sesso maschile come quel Ralph Ellison che, con Uomo invisibile – di recente riproposto da un piccolo editore – ha scritto quello che probabilmente è il più grande romanzo scritto da un nero americano.
Aveva ragione Tolstoj a dire che La capanna dello zio Tom era un libro importante quanto I miserabili o certi romanzi di Dickens, perché ci sono casi in cui la letteratura vuol dire qualcosa di più che la profondità delle psicologie, che la maestria delle descrizioni che l’incanto della bella scrittura…
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini