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Camus, il primo uomo

by Goffredo Fofi

di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.

Quando Camus morì, in un incidente automobilistico nei primi giorni del 1960, lasciò il manoscritto di un romanzo incompiuto, dichiaratamente autobiografico, che la figlia Catherine si decise a dare alle stampe nel 1994 e che fu immediatamente tradotto in italiano per Bompiani da Ettore Capriolo. Andavo e venivo da Parigi e credo di esserne stato uno dei primi lettori italiani in assoluto, entusiasta e commosso… Era Il primo uomo, che nelle intenzioni dell’autore doveva essere «un affresco nel quale la vita di uno e la vita di tutti si confondono, la strada del ritorno alle origini, all’Algeria perduta, al padre morto giovanissimo e mai conosciuto». 

Benché non portato a termine, quel che ne resta è moltissimo e ne fa un libro in tutto degno degli altri due capolavori narrativi di Camus, Lo straniero e La peste. Di essi illumina la genesi a partire dall’infanzia dell’autore, in una città che è la sua e in una nazione-colonia di cui cercherà di comprendere le varie componenti e di trovare tra di loro un accordo. Ma è sul “territorio metropolitano” che questa storia comincia davvero, dopo aver evocato (1913) i genitori di Camus e la sua nascita, lui francese lei spagnola, in Algeria; e ci porta a Saint-Brieuc, nel cimitero di guerra in cui Jacques Cormery, il nome dietro cui Camus tenta qualche distanza, cerca ormai quarantenne la tomba del padre, morto nel grande conflitto mondiale del ’14-’18, scoprendo di essere molto più anziano di quando quello era morto, giovanissimo… 

Parte di qui, intrecciando Francia Spagna Algeria, l’evocazione di un infanzia (il romanzo è diviso in due parti: Ricerca del padre e Il figlio o il primo uomo, e “il primo uomo” è “colui che quando si muore, viene dopo”) di cui diventano protagoniste, con Jacques, una madre che per essere quasi totalmente sorda passa per ritardata, uno zio proletario e un po’ rozzo, e una nonna che è lei a decidere tutto e a mandare avanti, come si dice, la baracca. Col tempo, insieme al coro del quartiere e della cittadina a dominante araba, dove solo molti anni dopo una rivoluzione anti-coloniale darà al paese l’indipendenza (e Camus, cercando conciliazione coerentemente alla sua origine e alla sua formazione, si farà amici e nemici in entrambe le parti),  incontriamo insieme alla famiglia la figura di uno straordinario maestro elementare – una delle più belle figure di maestro di tutta la storia della letteratura dell’Otto e del Novecento, per non parlare di oggi – che riuscirà a convincere la nonna, chiudendosi con lei nella povera stanza da letto  delle due donne, a far continuare gli studi a Jacques/Albert. Non per caso Camus, quando a Stoccolma gli venne assegnato il Nobel nel 1957 (il più giovane di tutti gli scrittori sino allora premiati, e forse anche dopo…), è a quel maestro che lo dedicò. 

Se è la nonna analfabeta il personaggio forse centrale del libro, la madre è altrettanto presente, e su di essa mi piace riferire un ricordo di Jean Grenier, amico di Camus di sempre. Quando gli dettero il Nobel, il 14 luglio dell’anno dopo egli si trovò in una piazza parigina a festeggiare e disse più volte e gridando alla madre sorda di essere stato invitato al ricevimento del Presidente della Repubblica. «Cosa devo fare?» chiede alla madre, e lei gli dice semplicemente, scuotendo la testa:  «C’est pas pour nous, mon fils», ovvero «Non è cosa per noi, figlio mio»… E Camus a Grenier, con orgoglio, «Vedi che specie di madre ho?». 

Il primo uomo è un capolavoro, nonostante sia incompiuto, ed è per tanti aspetti “istruttivo”… Non è offensivo paragonarlo alle memorie di formazione dell’amico vicino e poi distante Jean-Paul Sartre, Le parole, che è peraltro un altro libro assai bello, credo il migliore di Sartre e forse non solo tra le opere narrative. Sartre nacque e crebbe in una famiglia ricca, di letterati e di scienziati e circondato perciò dai libri, dalle “parole” scritte e stampate, mentre Camus crebbe in un ambiente poverissimo, analfabeta.

E mi piace ricordare un terzo libro di un terzo importante personaggio della letteratura francese degli anni dai trenta in avanti, Paul Nizan, sodale di Sartre e morto agli inizi della seconda guerra mondiale. Nizan era figlio di un ferroviere a cui ha dedicato una bellissima biografia-romanzo, Antoine Bloyé, già nei primi anni Trenta, ma rimproverando al padre di essersi fatto recuperare, col tempo, dall’ideologia borghese. Tre storie di formazione diverse e significative, ma sono poi così diverse da tante di oggi?


Ph. ©Albert Camus et son frère ainé Lucien vers 1920, Wikimedia Commons

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Goffredo Fofi

Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini

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