Golpe in Myanmar. Le "due strade" dei monaci buddisti - Confronti
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Golpe in Myanmar. Le “due strade” dei monaci buddisti

by Luca Attanasio

di Luca Attanasio. Giornalista e scrittore

Sullo sfondo della crisi politica myanmariana dai risvolti sempre più inquietanti – il numero dei morti ha abbondantemente superato i 700 mentre la vita della società è precipitata in un caos irreversibile con lunghe file ai bancomat di cittadini sicuri che lo Stato e l’economia siano prossimi al default e il capodanno nazionale (13 aprile) generalmente momento centrale delle festività annuali, trascorso in una specie di lockdown surreale – si agita una profonda spaccatura di uno dei segmenti più importanti della popolazione, i monaci. The sangha, il monachesimo ufficiale Buddhista, mai come in questa occasione si presenta diviso al drammatico momentum del Paese. 

La tradizione vuole che i monaci buddhisti siano largamente presenti da sempre nella sfera politica e, in alcuni casi, prendano addirittura la testa di alcune manifestazioni di protesta. Tutti ricordano la nota Rivoluzione zafferano del 2007 quando decine di migliaia di monaci scesero in piazza colorando con i loro abiti sgargianti le vie di Yangon o delle altre cittadine birmane. 

Poche settimane prima del colpo di Stato del primo febbraio scorso, molti religiosi hanno dimostrato nella capitale Naypyidaw contestando brogli nelle elezioni di novembre 2020 [sulla linea dei militari golpisti che accusavano di frode elettorale il partito di Aung San Suu Kyi, uscito abbondantemente vincitore]. Non mancano poi manifestazioni di chiaro stampo xenofobo-nazionalista in chiave anti-islamica e anti-rohingya, inscenate, ad esempio, nel 2017, da un numero nutrito di religiosi fomentati dal monaco Ashin Wirathu, noto per le sue posizioni fondamentaliste.

Anche nel caso del colpo di Stato, ovviamente, la principale fonte spirituale – ma anche politica – del Paese, ha voluto far sentire la sua voce. Ma, probabilmente mai come questa volta, in maniera disgiunta, disordinata e frammentata. 

Una porzione significativa di monaci, in gran parte di età più giovane, ha deciso di schierarsi con la società civile e chiedere, con dichiarazioni, interviste fino a discese in piazza, il ritorno alla democrazia e alla pace. Molto allarmata dal livello di violenza raggiunto nel giro di pochi giorni, perfino la Commissione Saṅgha Maha Nayaka (Mahana), l’organismo religioso di nomina governativa formato da 47 monaci di altissimo livello che supervisiona il monachesimo myanmariano, tradizionalmente conservatrice e restia a posizioni apertamente politiche, il 16 marzo ha annunciato la decisione di sospendere ogni attività fino a che la giunta militare non avesse messo fine alle violenze, e promesso di rilasciare una dichiarazione che sarebbe stata poi inviata al ministero per gli Affari religiosi.

La comunicazione ufficiale non sembra essere stata più resa pubblica e speculazioni fanno monachesimo risalire alla visita del generale Min Aung Hlaing, capo della giunta al potere, a una delle pagode principali del Paese e all’incontro avuto nell’occasione con Bhaddanta Kumara Bhivamsa, responsabile del Mahana, la scelta di un profilo più basso dell’organizzazione monastica. Al di là del possibile ripensamento dell’ultima ora, però, il malessere, nel mondo religioso, è senza dubbio diffuso.

Nella regione di Mandalay, cuore pulsante del buddhismo myanmariano, molti monaci si sono uniti alle proteste. Qualche monastero ha addirittura scelto di rifiutare le elemosine da parte di militari, un evento che crea scompiglio tra le fila dell’esercito che affidano alle loro beneficenze la possibilità di assicurarsi un buon karma. In un caso, come riporta The Economist, allorché l’esercito ha espresso la volontà di donare vaccini anti Covid-19 al monastero Ashin Rsara, si è visto opporre un secco rifiuto.

Ma sono molti i monaci e gli organismi monastici a supportare l’esercito e la scelta che ha condotto al colpo di Stato. In questa metà del campo, giocano soprattutto monaci appartenenti all’ala più nazionalista e xenofoba del Buddhismo. Sono quelli che hanno diffuso, con un certo successo, l’idea che la principale religione del Myanmar sia minacciata dall’islam. Un fondamentalismo religioso su cui poggiano anche le gravissime discriminazioni che hanno condotto a stragi – le Nazioni Unite parlano di genocidio – e a esodi di massa dei rohingya. Come è noto, la questione rohingya ha sollevato un caso clamoroso anche attorno a un’icona dei diritti umani come Aung San Suu Kyi. La Premio Nobel 1991, dal 2016 al 1 febbraio scorso Ministro degli Esteri e leader de facto del Paese (ora, oltre a aver perso le sue cariche politiche, è nuovamente in carcere), nel gennaio 2020 ha dovuto difendere il suo esecutivo (e se stessa) davanti ai giudici del Tribunale Internazionale dell’Aia. dalle accuse di genocidio e dalle testimonianze di stupri di massa. Della fazione religiosa più oltranzista, fa certamente parte l’influente monaco Thaw Bi Ta, rettore di un’università religiosa a Saggaing con milioni di follower nel Paese. Sul finire dello scorso anno, in un intervento alla Bbc in lingua burma nel giorno dell’anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, il noto monaco, famoso anche per le sue posizioni negazioniste verso le violenze contro i rohingya, ha dichiarato che quello del Myanmar «è un nazionalismo puro ancorato alla dichiarazione universale delle verità buddhiste» da considerarsi superiore alla Dichiarazione universale dei Diritti umani. Lo affianca il religioso Wisetkhana, un’altra figura di preminenza del monachesimo, che sostiene che a iniziare le violenze siano stati i manifestanti e non l’esercito. 

Tra le principali voci critiche dell’esercito e dei metodi violenti adottati, spicca quella dell’arcivescovo di Yangon, Cardinal Charles Maung Bo, A nulla è valsa la visita a questo eminente rappresentante dei cattolici – una parte minoritaria dei cristiani, in tutto 6% circa con una netta preminenza di Chiese protestanti – e co-presidente dell’organismo interreligioso Religions for Peace, di un Generale Min Aung Hlaing in cerca di benedizioni vaticane. Bo ha richiesto il rilascio di tutti i prigionieri politici e ha denunciato «la violenza della più brutale delle dittature militari».

Ph. © VOA Burmese, Wikimedia Commons

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Luca Attanasio

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