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I teatri che riaprono, la cultura non si ferma

by Mimma Guastoni

di Mimma Guastoni. Presidente dell’associazione Teatri per Milano; consigliere del Piccolo Teatro, della Fondazione Paolo Grassi, della Fondazione Archivio Luigi Nono; presidente dell’Associazione Musica al Tempio e Vicepresidente del Festival Milano Musica e di Vidas.

(Intervista a cura di Michele Lipori)

Sono preoccupanti i dati dell’ultimo rapporto della SIAE, che mostrano la drastica riduzione dei numeri degli spettacoli tenuti nell’anno delle chiusure per la pandemia da Covid-19. Abbiamo intervistato una delle massime esperte del settore, Mimma Guastoni, presidente dell’associazione Teatri per Milano; consigliere del Piccolo Teatro, della Fondazione Paolo Grassi, della Fondazione Archivio Luigi Nono; presidente dell’Associazione Musica al Tempio e Vicepresidente del Festival Milano Musica e di Vidas. Coordina inoltre un numero di volontari per la scuola. 

Secondo il rapporto Siae 2020 gli eventi, sia musicali che di altro tipo, sono diminuiti del 70%, gli ingressi hanno registrato un calo del 72% e la spesa al botteghino del 77%. La spesa del pubblico ha avuto una riduzione dell’82%. Un quadro piuttosto disarmante. Che cosa si può dire dopo più di un anno di pandemia riguardo le tante persone che lavorano col teatro e gli spettacoli, e che non hanno potuto aprire?

Presiedendo 15 teatri di produzione aderenti all’Associazione Teatri per Milano, ho scoperto nuovamente quella che per me è la parte più felice di questo compito– che ormai svolgo da diversi anni –: la vera passione con cui lavorano non solo gli attori e i registi, ma anche i direttori generali, e quelli artistici; personaggi con cui opero più a stretto contatto e che gestiscono i teatri. La loro passione, la sofferenza per non poter lavorare nel corso dell’ultimo anno mi hanno veramente colpita. La non riapertura o le riaperture durate pochi giorni hanno rappresentato momenti di grande sconcerto, ho visto queste persone perdere la fiducia, essere spaventate. Eppure quasi tutti hanno reagito continuando a lavorare, a fare prove. L’Elfo, ad esempio, andrà in scena il prossimo 4 maggio, e ha portato avanti tre, quattro spettacoli in modo da essere pronto alla ripresa con la nuova stagione; così ha fatto il Piccolo Teatro e altre realtà più piccole o meno conosciute, come il Menotti

C’è stato per fortuna un intervento anche del Comune di Milano, che ha contribuito con dei ristori, mai abbastanza ampi per coprire tutte le perdite, però ce l’hanno fatta tutti, chi con più chi con meno fatica, a rimanere a galla.

I dati Siae sono eloquenti, sono reali, è quello che hanno visto e sentito tutti in questo periodo. Anzi, direi che le cose sono anche più complicate perché gli abbonamenti del 2020, quando si credeva di poter riprendere in pieno nel 2021, sono diventati tutti voucher da restituire e anche questa è una complicanza che ha pesato molto sull’associazione e sui teatri. Per fortuna c’è stato parecchio pubblico che ha rinunciato ai voucher, ma non tutti ed è anche lecito che chi abbia affrontato una spesa possa tornare a teatro.

Ci sono stati momenti di solidarietà?

Abbiamo fatto una trasmissione con i rappresentanti artistici di tutti i teatri aderenti a Teatri per Milano; si chiamava La finestra di Antonio Syxty, che è uno degli autori di testi teatrali di Milano. C’era bisogno di scambiare delle idee e abbiamo partecipato tutti per rimanere solidali ed essere presenti gli uni per gli altri. 

Si è lavorato molto. Sono tanti i teatri che dalla prossima settimana, dal 3 maggio, iniziano a dare spettacoli e riaprire al pubblico. La maggior parte ha provveduto già durante il primo lockdown, nella primavera del 2020, ad adottare le misure necessarie per riaprire in sicurezza. Hanno lavorato solo un mese, forse settembre/ottobre e poi hanno chiuso di nuovo.

Non sarebbe stato possibile tenerli aperti in sicurezza?

Per i piccoli sarebbe stato difficile, avrebbero aperto per una quindicina di spettatori. Altri avrebbero potuto riaprire se fosse stato lecito dal punto di vista sanitario, ma non lo è stato. Questa insistenza sulla chiusura dei teatri non l’abbiamo molto capita perché appunto predisposti all’assoluta sicurezza. Riccardo Muti ha scritto una bellissima lettera a Conte e poi un’altra a Draghi, per ricordare le misure adottate da tutti, musica e teatro. Ci siamo sempre uniti al suo appello perché la sicurezza c’è. Capisco che un’apertura muove anche la questione dei trasporti, ma i numeri sono residuali rispetto a quelli connessi, ad esempio, con l’apertura delle scuole. Parliamo, quando si riempie un teatro, di 500 persone al massimo, con il mantenimento delle distanze si tratta di numeri veramente piccoli. Abbiamo quindi ritenuto ingiusta la chiusura prolungata.

Vede una discriminazione verso coloro che lavorano nel settore?

Più che discriminazione vedo un’indifferenza verso un bene prezioso come la cultura. Prima di chiudere si deve studiare a fondo se non sia possibile tenere aperto e questo studio secondo me non è stato fatto perché se si fossero studiati gli elementi base, le persone che l’industria muove, la sicurezza all’interno, che tutti i teatri hanno adottato immediatamente, e questo lo devo dirlo con grande ammirazione perché tutti si sono immediatamente adeguati alle misure richieste, avrebbero probabilmente lasciato aperto. Di fronte a un dilagare di contagi tutto quello che si chiude va bene, adesso che si riducono sono molto contenta che si riaprano teatri, cinema, musei…

Cosa cambierà quando, tra pochi giorni, sarà possibile fare spettacoli anche se in regime ridotto?

Da un punto di vista oggettivo tutto cambia solo se si modificano le leggi che riguardano i lavoratori, perché questi lavoratori precari e intermittenti sono veramente allo stremo; si tratta di una categoria che da tempo ha bisogno di riforme e di leggi. Spero che questo momento particolarmente difficile provochi una maggiore capacità di modificare alcune leggi: qui c’è proprio una riforma da fare. 

Il Covid ha mostrato le carenze che esistevano già prima. Che poi è quello che hanno fatto le lavoratrici e i lavoratori che sono scesi in piazza…

Fino al 30 aprile c’è un presidio del coordinamento nazionale delle manifestazioni nel Chiostro del Piccolo Teatro, presidio diurno e concordato. Tutti i teatranti hanno dato molta solidarietà e aiuto a questa occupazione, per primo la dirigenza del Piccolo Teatro, Claudio Longhi l’attuale direttore generale, ha mantenuto il presidio trattando le misure necessarie anche per l’approdo verso la riapertura, ma desiderando mantenere questo presidio che chiede la riforma.

Le riforme da un punto di vista delle leggi sono assolutamente necessarie ma forse  è necessario anche mettere in atto una riflessione sul ruolo della cultura all’interno del Paese.

È terribile pensare che ragazzi che escono dal liceo non sappiano nulla della storia del teatro e della musica. Ti senti chiedere se la Tosca è di Rossini da ragazzi neodiplomati. Queste sono le carenze a monte perché anche le persone che hanno avuto più mezzi, più strumenti di conoscenza a disposizione, come i ragazzi che hanno frequentato un buon liceo, escono senza conoscenze del settore. Sono carenze molto gravi che inducono a questo genere di indifferenza complessiva che notiamo, questione che non si risolve in sé all’interno di una offerta Teatrale o musicale ma si risolvono a monte soprattutto con la scuola e con interventi dei media. 

Qualcosa di più la Rai la sta facendo sulla rete 5, mandando in onda lavori teatrali e concerti ma per poter “respirare” un po’ di cultura  ci vorrebbero una serie di presenze televisive, radiofoniche, social, che siano continuative, come l’aria che si respira… Tutti respirano musicalmente l’aria pop, mentre l’aria classica credo che nessuno la possa facilmente respirare. 

Più cultura a scuola, e sui media dunque?

Sì, un accesso più ampio della cultura. Da parte dei media e con un serio  intervento sulla scuola. Sono i due percorsi che contribuirebbero ad allargare l’interesse per la cultura in generale e per il teatro e la musica in particolare.

Queste cose di cui parli necessitano di un intervento economico, come sempre.

Nella storia si passa dalla Chiesa ai mecenati, per finire con gli imprenditori; è solo dell’Ottocento la nascita degli impresari che producevano e portavano nei teatri la proposta di opera e musica. Adesso dovrebbe esserci una maggiore facilità anche economica attraverso lo Stato e con un rapporto pubblico/privato. 

A parte ovviamente andare ai teatri e ai concerti, come fare per supportare le attività culturali?

Credo che il solo modo sia l’interesse. Se c’è un gruppo di persone associate per altri versi, un’azienda ad esempio, potrebbero promuovere incontri e seminari che diano le prime basi, e creare il primo contatto con teatri e musica; ma anche la scuola, che prima di affrontare una riforma delle materie insegnate, dovrebbe muoversi per accompagnare gli studenti ai concerti, organizzare seminari; sono tanti i modi per rivitalizzare l’interesse per la cultura.

Mimma Guastoni

Mimma Guastoni

Presidente dell’associazione Teatri per Milano; consigliere del Piccolo Teatro, della Fondazione Paolo Grassi, della Fondazione Archivio Luigi Nono; presidente dell’Associazione Musica al Tempio e Vicepresidente del Festival Milano Musica e di Vidas

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