di Paolo Naso. Docente di Scienza politica all’Università Sapienza di Roma, Coordinatore di Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei).
Enrico Letta non ha nessuna ragione per stare sereno. Cammina in un sentiero stretto e scosceso: da una parte il rischio di sparire nel magma indistinto di un governo che mette insieme populisti e riformisti, tecnocrati e movimentisti. Dall’altra, prende in mano un partito diviso, lacerato da correnti e personalismi che non sono affatto venuti meno dopo il passo indietro di Nicola Zingaretti. Per giunta, il nuovo segretario del Pd arriva quando la luna di miele del Paese con il Governo Draghi sembra già conclusa. In pochi giorni chi aspettava il messia salvifico, ma ha rapidamente capito che la situazione resta difficile.
Il Covid complica tutto, certo, e impone scelte difficili e impopolari. I fondi europei in arrivo sono anche la più grande opportunità economico finanziaria che l’Italia ha dal dopoguerra. Ad oggi, non esiste un progetto articolato ma solo la scontata lista di parole attraenti come “innovazione”, “digitale”, “futuro”, “ecologia”. Enrico ha le sue idee e le sue priorità ma dovrà aver a che fare con la logica politica di un coacervo politico che mette insieme LeU e Lega, Pd e Forza Italia; come si diceva un tempo “il diavolo e l’acqua santa”. Da una parte dovrà mantenere la postura di partito “responsabile” che antepone gli interessi nazionali a quelli propri ma, dall’altra, sa bene che in una Grosse Koalition così scombiccherata come quella attuale rischia di perdere la sua anima.
Letta ha iniziato la sua nuova avventura politica con una visita al ghetto di Roma: scelta densa di significati. Iniziare da dove nel 1943 si è consumato uno dei peggiori drammi nazionali con la deportazione degli ebrei romani, significa affermare che antisemitismo e razzismo crescono ancora nel giardino di casa nostra, magari nelle ali estremi di formazioni con le quali alcune componenti del Governo Draghi hanno flirtato ancora nel recente passato: la liaison di Salvini con i fascisti di Casa Pound, ora dimenticata, è acclarata. Partire dal ghetto, se non è solo una trovata alla Casalino, è un impegno serio. Vedremo.
ENRICO LETTA HA LE SUE IDEE E LE SUE PRIORITÀ MA DOVRÀ AVER A CHE FARE CON LA LOGICA POLITICA DI UN COACERVO POLITICO CHE METTE INSIEME LEU E LEGA, PD E FORZA ITALIA. “IL DIAVOLO E L’ACQUA SANTA”.
Ha lanciato il tema dello ius soli, mestamente e irresponsabilmente accantonato dal suo stesso partito alla fine della precedente legislatura. Non aveva finito di parlare che già Matteo I (il Padano) gli dava sulla voce decretando che “iniziava male”. Sul fronte opposto, la sinistra del “ci vuole ben altro” lo ha criticato perché è evidente che la proposta ha pochissime chance di andare alla discussione e al voto. Enrico l’ingenuo? Non crediamo.
È un riposizionamento, o quantomeno un tentativo di riposizionarsi per provare a dire “qualcosa di sinistra” in un governo che, complici il personalismo imbizzarrito di Matteo II (il Magnifico), è oggettivamente più a destra del Conte II. Apprezziamo, quindi, la proposta di rilanciare il tema della cittadinanza degli immigrati da più tempo in Italia, ma solo a condizione che se si crede nello ius soli bisogna lavorare per ottenerlo, occorre spiegare che è giusto e utile e che, alla fine, è nell’interesse nazionale. Lasci stare Matteo I e II e parli con i giovani immigrati, con l’associazionismo, con il mondo cattolico e con quanti altri – comprese le Chiese protestanti – non hanno mai smesso di difendere questo provvedimento di civiltà e giustizia.
Enrico ha lanciato l’idea del voto ai sedicenni. Qualcuno gli ha dato del matto e in molti non hanno capito. Insieme agli anziani, i più giovani sono le grandi vittime di questo tempo segnato dal Covid. Studiano male, devono mascherare le loro uscite pubbliche, sono costretti in casa nell’età in cui è più importante starne fuori. Dargli il voto è una provocazione, un invito a (ri)entrare nel patto sociale.
Enrico ha lanciato l’idea del voto ai sedicenni. Qualcuno gli ha dato del matto e in molti non hanno capito. Insieme agli anziani, i più giovani sono le grandi vittime di questo tempo segnato dal Covid. Studiano male, devono mascherare le loro uscite pubbliche, sono costretti in casa nell’età in cui è più importante starne fuori. Dargli il voto è una provocazione, un invito a (ri)entrare nel patto sociale.
Un omaggio alla memoria e due proposte politiche non sono un programma né dice come intenda reagire alla frammentazione di quella che un tempo chiamavamo “sinistra” e agli assalti populo-sovranisti che segneranno il cammino di una legislatura che, rassicurazioni a parte, potrebbe concludersi il giorno dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, e cioè tra meno di un anno. I primi passi di Enrico ci danno però qualche segnale e indicano le direzione del sentiero intrapreso. Stretto, scosceso e affollato di predoni.
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Paolo Naso
Docente di Scienza politica all’Università Sapienza di Roma,
Coordinatore di Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei).