di Luciana Borsatti. Giornalista e scrittrice
Qualcosa sta cambiando in Iran. Non tanto sulla scena politica interna ma nella società civile, dove le spinte verso nuovi atteggiamenti culturali hanno l’energia delle giovani generazioni, figlie di internet. E dove una parte del mondo del cinema e dell’arte si è assunta una responsabilità sociale: nel favorire la solidarietà verso le realtà più disagiate, ma anche, ed è la storia che qui si vuole raccontare, nell’attivarsi per persuadere i familiari delle vittime di omicidio a rinunciare all’esecuzione del colpevole e a chiedere invece un risarcimento, il cosiddetto “prezzo del sangue”, previsto dalla legge in caso di perdono.
In Iran il codice penale è improntato al diritto islamico e, in caso di omicidio, al principio del “qesas”, la legge del taglione. In un Paese molto avanzato dal punto di vista della scolarizzazione di massa e della diffusione di un’istruzione universitaria, e dove lo sviluppo economico si accompagna a tecnologie d’avanguardia, la giustizia penale resta ancorata al principio della “vendetta”, e non della pena come espiazione ma anche come strumento di recupero sociale. Questo frequentemente implica la condanna all’impiccagione per il colpevole di un omicidio. Ma le legge del qesas prevede appunto che la vita, come la lesione fisica, possano anche essere compensati con un risarcimento in denaro, se la parte lesa o i familiari della vittima lo accettano. In tal caso, il giudice potrà poi fissare una pena detentiva per il colpevole, da tre a 15 anni, definendo così l’aspetto pubblico della condanna. Ma la parte “privata” della sentenza è una forma di giustizia retributiva che può essere crudele anche per chi ha subito la perdita di un congiunto: chi ha già subito un danno doloroso, infatti, si trova ad avere la responsabilità della sorte del colpevole, a dover decidere sulla sua vita o sulla sua morte. Il giudice non ha così l’ultima parola come nei nostri tribunali: dopo la condanna a morte è infatti la parte lesa a decidere se fare andare avanti l’iter per l’esecuzione o scegliere il perdono. Una possibilità che grava sulla coscienza di chi ha già subito il delitto.
Anche se sono gli stessi uffici giudiziari a muoversi per favorire il perdono – vi sono infatti funzionari il cui compito è attivarsi in tal senso con le famiglie – il mondo della cultura in Iran si è da tempo mobilitato: sono diversi infatti gli attori, i registi e altri personaggi famosi che si fanno carico di quest’opera di convincimento andando in visita dai parenti, e facendo leva sul proprio carisma e la propria popolarità.
Il risarcimento per un omicidio destinato a una scuola, il crowdfunding delle Pietre pazienti in Italia
È accaduto di recente anche nel caso di un ristoratore di Teheran che ha ucciso una persona dopo aver perso il controllo di sé: l’uomo è noto negli ambienti degli artisti e degli studenti perché molti ne frequentavano il piccolo locale tradizionale, e proprio con l’intervento di un attore amato dal pubblico iraniano, Hamed Behdad, si è riusciti a convincere i familiari della vittima al perdono. Ma questi sono andati anche oltre: il “prezzo del sangue” sarà devoluto alla costruzione di una scuola per i bambini nel Sistan Baluchistan, una regione disagiata nel sud-est dell’Iran, affacciata sul Golfo Persico e confinante con il Pakistan. È così partita una raccolta fondi per aiutare la famiglia dell’omicida a pagare il risarcimento: una raccolta avviata anche in Italia da un gruppo di amici italiani e iraniani sensibili a questi temi. Da questo caso è nato infatti il comitato Pietre Pazienti, la cui prima iniziativa è stata lanciare una campagna di crowdfunding con l’obiettivo di raccogliere 7mila euro, solo una parte del risarcimento, entro il 30 aprile.
“L’espressione pietra paziente, nella cultura popolare iraniana, viene attribuita a chi ascolta pazientemente e condivide il dolore del prossimo”, scrivono i promotori del comitato: la mediatrice culturale Parisa Nazari, il traduttore Michele Marelli, la storica dell’arte Helia Hamedani e l’architetta di moda Shamira Shadpour. “Oggi, con la tragedia pandemica in corso – proseguono – abbiamo imparato a comprendere che la sofferenza di ciascun essere umano non è individuale bensì, come recita il celebre verso del poeta persiano Saadi, è indice di un male comune […]. Pertanto usiamo l’espressione persiana al plurale per indicare come piccole pietre, insieme, possano acquisire sempre più forza fino a divenire una roccia indistruttibile. Il nostro comitato, denominato Pietre Pazienti. Comitato per l’educazione e l’infanzia in Iran, intende promuovere l’istruzione e l’educazione allo scopo di tutelare i diritti dell’infanzia in Iran, collaborando con le realtà associative e le Ong” locali. Ispirandosi, in quest’assunzione di responsabilità sociale, “agli artisti e ai cineasti iraniani da anni in prima linea nella produzione culturale nella società civile”.
Fra loro vi sono esponenti dell’associazione culturale italo-iraniana Alefba, che hanno già collaborato con artisti e cineasti iraniani: per esempio con l’associazione Ma dard-e moshtarakim (“Noi siamo dolore condiviso”), fondata dall’attivista Farkhondeh Jabbarzadegan e a cui partecipano la nota regista Rakhshan Bani-Etemad e la gallerista Rosita Shar-raf Jahan. Grazie a quest’ultima, vari artisti hanno accettato di mettere all’asta le loro opere per contribuire a queste raccolte di denaro. Anche la campagna delle Pietre pazienti prevede la vendita di 100 copie di un disegno di Saleh Kazemi, una veduta dell’antico villaggio di Abyaneh, donate dall’artista e offerte al prezzo minimo simbolico di 25 euro.
“Yalda”, la vita affidata a un reality show. In un film il dramma della scelta tra patibolo e perdono
Ma è in particolare il cinema ad avere da tempo avviato una riflessione sul tema della condanna e del perdono, con film che negli anni hanno indagato su realtà sociali e sentimenti come solo certi cineasti iraniani sanno fare: da Shahr-e ziba (The Beautiful City, 2004) del due volte premio Oscar Ashgar Fahradi a Shift-e shab (Turno di notte, 2015) di Niki Karimi. Ma si annuncia come un’opera da non perdere Yalda di Massoud Bakhshi, che nel 2020 ha ricevuto il Gran premio della Giuria al Sundance Festival, il più alto riconoscimento per un film non statunitense, ed è passato al Festival di Berlino: a distribuirlo in Italia è Teodora, dove dicono che – dopo la lunga pausa forzata della pandemia – il film potrebbe uscire nelle sale nel prossimo autunno. Yalda. A Night for Forgiveness (qui il link per il promo su Youtube) racconta una vicenda basata su fatti reali: protagonista è la giovane Maryam, accusata ingiustamente dell’omicidio dell’uomo con cui aveva contratto un matrimonio temporaneo, istituzione tuttora in uso in Iran. L’unico modo per evitare la pena di morte sarà ottenere il perdono dalla famiglia della vittima, ma dovrà farlo in diretta televisiva nel più popolare reality show del Paese.
Anche gli incassi del film in Iran sono stati devoluti per il “prezzo del sangue” e per salvare una persona dal patibolo. Sviluppato anche grazie al TorinoFilmLab, Yalda ha fra gli interpreti Babak Karimi, attore italo-iraniano che continua a fare la spola fra le sue due patrie. «Il cinema sociale rientra nel filone cinematografico più innovativo in Iran – ha detto Karimi in un recente incontro online ospitato dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), che ha dato il suo sostegno ufficiale alla campagna –, per certi aspetti paragonabile al neorealismo italiano. E segnala anche un passaggio dall’individualismo della cultura iraniana al piacere di fare squadra». In questo quadro si inserisce, ha aggiunto, «l’impegno dei cineasti nel tentare di convincere che mandare a morte un reo di omicidio è inutile, e che bisogna far prevalere la ragione: il 90% dei condannati si erano svegliati la mattina senza sapere che entro la sera sarebbero stati degli assassini».
Ma questo impegno si rivolge ad una società che ha già in sé il germe del cambiamento. Secondo Worldometers l’età media degli oltre 84 milioni di iraniani è di 32 anni, e non si tratta solo di dati anagrafici. «Questi trentenni sono i figli di internet – dice Karimi – e stanno compiendo una vera rivoluzione culturale, che coinvolge anche le loro famiglie e le realtà sociali in cui vivono. E in questo le ragazze hanno un ruolo trainante: per esempio, 15-20 anni fa una ragazza che si trasferiva a Teheran per studiare faticava a trovare casa e veniva guardata male dal vicinato. Ora i proprietari sono orgogliosi di ospitare studentesse e le favoriscono». Quanto all’impegno dei cineasti nelle cause sociali, «si rischia di venire accusati di farlo solo per pubblicità – ha concluso – per questo molti lo fanno senza che si sappia, per non prestare il fianco alle critiche». Ma anche così contribuiscono alla grande e silenziosa trasformazione in corso.
Ph. Yalda © Teodora film
Luciana Borsatti
Giornalista e scrittrice