di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
Uno dei capolavori della nostra letteratura, inno alla vita e alla gioventù, il Decameron, è nato, come Boccaccio racconta, dalla forzata e lunga residenza di una banda di amici in una villa, lontani dalla peste. L’isolamento forzato produce talora capolavori, ma in un tempo in cui pochi sapevano leggere e scrivere, pochissimi avevano la vocazione di scrittore.
Oggi che tutti o quasi in Italia sappiamo leggere e scrivere, e che l’attività dello scrittore appare tra le più frequentabili per persone che hanno un computer e tempo da perdere e credono di liberarsi ed esprimersi scrivendo e pubblicando mossi dal narcisismo offeso dalle circostanze sociali e sanitarie, oggi che la difficoltà di muoversi dentro le proprie città e verso altre città e regioni condanna a lunghe ore di solitudine o di convivenze forzate – oggi è diventato un passatempo di tanti quello di scrivere.
E ci sono editori che non aspettano altro che di pubblicare le invenzioni e le pensate di tutti coloro che hanno un computer, perché pubblicare non è più vendere, cercar lettori, ma è solo uno dei meccanismi delle trasformazioni portate dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell’economia, dalla scolarizzazione di massa, dalla “comunicazione” via internet, e in definitiva, in fatto di cultura e di arte, da quella che Fruttero e Lucentini chiamarono “la prevalenza del cretino”, e Sciascia, in modo ancora più adeguato, “l’epoca dei cretini intelligenti”. Dove “intelligenti” sta per laureati e diplomati; tutti “colti” o che credono di esserlo per il famoso “pezzo di carta” che li autorizza a sentirsi intelligenti, in grado di scrivere e non solo di leggere. E tutti frustrati dal fatto di non contare più niente, dentro società sempre più massificate e conformi. E per di più condizionati dal Coronavirus!
Seguendo la produzione letteraria (ormai più per dovere che per piacere, anche se di inattesi miracoli ne succedono! e inattese scoperte se ne fanno ancora, ché tra gli scriventi qualche vero scrittore pur spunta, qualcuno che sa ancora pensare vedere capire analizzare descrivere raccontare qualcosa che serve a tutti, che può appassionare o consolare tutti!) mi hanno particolarmente irritato, in questi ultimi tempi, libri in cui “si mena il can per l’aia” per pagine e pagine, narrando noiose esplorazioni di case vuote, di biblioteche desuete, di ricordi flaccidi o morbosi. E non parlo solo degli italiani!
Nel giro di pochi giorni, uno pseudo-romanzo su una casa in cui c’è ben poco da scoprire, un racconto in cui l’autore si incontra in una casa vuota con Achab e Bartleby eroi melvilliani e osa vedersi come il terzo di una triade, e la catalogazione di 300 vite “rubate”, e ben più vive della sua, eccetera. Il Coronavirus aggiunge qualcosa di nuovo all’umana stupidità, e ben poco all’umana intelligenza. Meglio rifugiarsi nei classici, allora, anche nel Decameron, nei Promessi sposi, nell’Anno della peste di Defoe, ma non solo in altri e tanti resoconti di altri disastri, anche nel ricordo di tempi più più “veri”. Vengono dalla nostra incapacità di guardare alla propria mediocrità e alle proprie colpe, i nostri disastri?
Ph. © I novellieri del Decamerone (Antonio Simonazzi, 1863) Museo Civico di Modena /CopyLeft
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini