di Frosini/Timpano - Elvira Frosini e Daniele Timpano autori/ registi/ attori
(Intervista a cura di Valeria Brucoli)
Il 26 aprile 2021, dopo un anno di blocco degli spettacoli, è stata ufficialmente annunciata la riapertura di teatri, cinema, musei ed eventi all’aperto. Tuttavia sono ancora tanti i dubbi e le incertezze dei lavoratori dello spettacolo, non solo per quanto riguarda le modalità in cui potranno svolgersi gli spettacoli, rispettando le norme anti-Covid e le restrizioni ancora in vigore, ma soprattutto per la mancanza di una tutela per chi svolge un lavoro spesso precario e intermittente, emersa in particolar modo durante la sospensione delle attività dovuta alla pandemia. I lavoratori dello spettacolo hanno risposto a questo momento di crisi con la richiesta di una riforma del settore, avanzata anche durante le manifestazioni che si sono svolte a Roma nel mese di aprire, ma anche con la proposta di nuove forme creative per tenere in vita lo spettacolo in tutte le sue forme e raggiungere gli spettatori anche a distanza.
Noi di Confronti abbiamo intervistato Evira Frosini e Daniele Timpano, autori, registi e attori di Acqua di colonia, Aldo morto, Zombitudine e di Ottantanove, atteso presto sulle scene, nonché vincitori in ex aequo plurale dell’edizione 9 ¾ del Premio Rete Critica 2020 con il progetto In Differita, per aver saputo rappresentare e incarnare il cambiamento, portando il teatro italiano contemporaneo su YouTube durante la pandemia, quando i teatri italiani erano chiusi.
Il 26 aprile si riaprono i teatri in Italia. Ma quali sono le prospettive per i lavoratori dello spettacolo?
F: È vero che ufficialmente si possono riaprire i teatri, anche se con molte limitazioni, ma questo non significa che le cose funzioneranno bene e che si possa lavorare come si lavorava prima della pandemia. E già prima la situazione non era ideale, visto che nel nostro settore ci sono tante cose da risolvere. Quindi da una parte c’è la speranza di poter lavorare, dall’altra il timore che se le la situazione dovesse peggiorare, saremmo i primi a chiudere visto che, insieme ad altre categorie, siamo i primi su cui ricade il fardello comune.
T: Gli operatori stanno lavorando alla programmazione per l’estate, soprattutto negli spazi all’aperto ma sentiamo una grande incertezza. E se è vero che negli ultimi mesi si stanno delineando diversi lavori per i prossimi mesi, si stenta a prendere accordi definitivi, perché non è ancora chiaro in che orari andranno in scena gli spettacoli e in quali spazi.
F: Tra tante incertezze una cosa importante però è che con questa sorta di riapertura dovremmo riuscire a debuttare con il nostro nuovo spettacolo, Ottantanove, che doveva debuttare a ridosso del Dpcm del 25 ottobre, che ha sancito la chiusura di cinema e teatri. Questa è la situazione che ci accomuna a diversi colleghi, sia attori e attrici, ma anche tecnici, maestranze e compagnie indipendenti che non sono tutelate dal sistema.
Che impatto ha avuto la pandemia sui lavoratori dello spettacolo e quali falle del sistema sono emerse?
T: Noi siamo una compagnia indipendente che a volte è prodotta o co-prodotta o sostenuta da realtà istituzionali, come Scarti che gestisce con noi i nostri lavori di repertorio. Il nostro ultimo spettacolo, Ottantanove, è prodotto dal Teatro Metastasio di Prato, che è un teatro pubblico. Essere prodotti nel teatro vuol dire avere le prove e le giornate di lavori pagate ma, non essendo quadri di strutture istituzionali, in questi mesi in cui non abbiamo lavorato non abbiamo percepito alcuno stipendio o cassa integrazione.
F: Abbiamo ricevuto i piccoli sostegni che sono stati dati ai lavoratori dello spettacolo, che però sono insufficienti. Ci sono state molte assemblee e occupazioni simboliche dei teatri per chiedere una riforma seria di questo settore, in cui venga riconosciuta la natura particolare del nostro lavoro che è un lavoro intermittente. Questo significa che lavoriamo quando ci sono gli spettacoli o quando ci sono le prove, ma tutto il resto del tempo lavoriamo creativamente e quel tipo di lavoro deve essere tutelato e riconosciuto. La ricerca e il lavoro che facciamo prima di arrivare a uno spettacolo o a delle prove è ugualmente un lavoro. Siamo dei ricercatori e va riconosciuta la particolarità del nostro lavoro, e questo si stenta a farlo capire a chi dovrebbe fare queste riforme.
È possibile rispondere alla crisi del teatro in presenza con altre forme creative?
F: Secondo noi sì, infatti ci abbiamo provato con diversi progetti, alcuni dei quali erano sostenuti da economie e altri autoprodotti. Abbiamo cercato di creare un’alternativa in assenza dello spettacolo dal vivo, elaborando progetti coerenti col nostro percorso artistico ma utilizzando altri linguaggi, come per esempio l’audio. Abbiamo realizzato tre progetti di creazione audio che stiamo portando avanti. Tra questi abbiamo creato un progetto audio che proveremo ad installare in alcuni teatri già quest’estate, poi c’è un progetto audio molto grande, che è il radiodramma completo di una trilogia di Federico Zardi che riguarda tutto il periodo della Rivoluzione francese. Zardi è un drammaturgo che abbiamo incontrato studiando i materiali per lo spettacolo Ottantanove, che si occupa della Rivoluzione francese e di noi oggi, autore di molti sceneggiati per la RAI negli anni che negli anni Sessanta hanno avuto un grande successo.
T: Durante quest’anno abbiamo anche mandato messaggi audio teatrali su Whatsapp per restare in contatto con il pubblico, e si trattava di un’iniziativa completamente autoprodotta. Un primo ciclo di audio comprendeva brevi estratti dai nostri lavori tra i 3 e i 10 minuti, editi e inediti, di repertorio e non. Poi un secondo ciclo comprendeva una serie episodi collegati a Ottantanove. Abbiamo scelto dei testi settecenteschi rari, buffi, interessanti, che non avevano trovato spazio negli spettacoli e abbiamo creato brevi episodi sonori. Inizialmente questo progetto sonoro era collegato al debutto, ma quando è saltato per via del Dpcm abbiamo registrato nuovi episodi e li abbiamo condivisi.
F: La creazione audio ci interessa molto. Vorremmo svilupparla e tenerla in vita, se possibile, continuando a crearla parallelamente allo spettacolo dal vivo. Perché se c’è una cosa che ci ha fatto capire questo anno terribile è che, oltre allo spettacolo dal vivo, ci sono molte possibilità creative per attori e drammaturghi, però è necessario che siano progettate e finanziate. Anche se lo spettacolo dal vivo è insostituibile, c’è una progettazione che può raggiungere molte persone che magari non possono accedere agli spettacoli dal vivo e che parla lo stesso linguaggio, il linguaggio del teatro. Sarebbe importante se a livello istituzionale ci fosse la possibilità di prevedere questo tipo di lavoro di ricerca parallela allo spettacolo dal vivo e di finanziarla.
T: Quest’anno diversi teatri hanno provato a fare cose di questo tipo, ognuno con i propri mezzi, però è tutto ancora poco sistematizzato. In questo momento era l’unica possibilità di lavorare, ma bisogna valutare se queste esperienze possono essere ritenute idonee per i finanziamenti ministeriali e trovare un luogo dove collocarle. La speranza è che questi atti di presenza d’emergenza oltre agli spazi online creati da singoli teatri e compagnie, possano entrare in un mercato di prodotti audio che fino ad ora è entrato poco in contatto con il teatro. Lo spettacolo vive la sua vita sul palcoscenico, ma un radiodramma che speranza di vita ha?
Una delle strade percorse anche all’estero è quella del teatro al cinema, inteso non solo come teatro filmato, ma come opera cinematografica autoriale.
F: Il teatro filmato è un’altra direzione nella quale si può andare, però per riprendere un’opera teatrale per il cinema o la televisione è necessaria una regia, e per fare questo sono necessarie delle risorse. In questo senso si potrebbe mettere in parallelo lo spettacolo dal vivo con una produzione audiovisiva che abbia un’impronta autoriale, e creare così un’opera a sé stante. La semplice riproduzione in video dello spettacolo infatti, se può essere utile come materiale di studio e di ricerca, non può in alcun modo essere definita un’opera d’arte.
T: La caratteristica del teatro è quella di essere fatto e visto dal vivo. In questo si differenzia da tutte le altre forme d’arte che, non solo hanno fatto pace con il fatto di essere riproducibili tecnicamente, ma hanno fatto un valore del passaggio da opera d’arte a merce. La transmedialità delle opere è messa in conto nel fumetto, nel cinema e nella musica ed è un plus valore per l’industria culturale. Il teatro invece raramente è riuscito a sistematizzare esperienze come quelle che si stanno facendo in questo momento, ma sarebbe bello trasformare anche queste in un valore. Noi abbiamo pubblicato i testi degli spettacoli, girato i video promozionali degli spettacoli con autorialità, e realizzato adattamenti radiofonici, ma nonostante il loro valore queste esperienze non sono mai state sistematizzate e considerate opere a sé stanti. Il teatro non ha mai messo a valore altri media che potessero contribuire ad ampliare la platea, ma speriamo che l’esperienza di quest’anno, da cui sono nate nuove forme espressive, possa servire a mantenere e valorizzare nuove forme di fruizione dello spettacolo.
Elvira Frosini e Daniele Timpano
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