di Francesca Bellino. Giornalista e scrittrice
Chiusure e divieti causati dall’emergenza Covid-19 stanno impedendo le partenze di molti migranti di fede musulmana verso i paesi di origine spesso legate a feste e ritualità religiose come quella per la circoncisione per i figli maschi praticata nel mondo sia dalle comunità islamiche, sia ebraiche. Secondo le statistiche dell’Amsi (Associazione medici di origine straniera in Italia) e della Co-mai (Comunità del mondo arabo in Italia), a un anno dal primo lockdown si è registrato in Italia un aumento del 45% delle richieste di circoncisioni soprattutto da parte dei musulmani.
Pur trattandosi della stessa antica pratica, esistono numerose differenze tra le cerimonie organizzate dalla comunità islamica e da quella ebraica, sia nella prassi organizzativa, sia in parte del suo significato. La circoncisione per gli ebrei è una norma biblica obbligatoria. Si svolge l’ottavo giorno di vita del neonato in casa, in sinagoga o in sale pubbliche e viene praticata da medici o persone qualificate, i cosiddetti circoncisori (mohel). I fondamenti per la sua osservanza si trovano nella Torah, al capitolo 17 del libro della Genesi in cui si menziona il patto tra Abramo e i suoi discendenti. Per questo è chiamata brit milà, patto della circoncisione. Con tale cerimonia viene annunciato il nome del bambino che entra nella comunità religiosa. Vale anche per chi si converte.
Nel Corano, invece, non esistono riferimenti espliciti alla circoncisione, anche se è ormai una pratica consolidata, interpretata come atto di igiene e di purificazione oltre che come ingresso nella comunità religiosa. È presente nella Sunna, la tradizione del profeta Muhammad (anche lui circonciso in quanto successore spirituale di Abramo), ed è riconosciuta negli hadith, detti e azioni del Profeta. Non c’è limite di età per farla, ma si predilige l’arco temporale tra 4 e 8 anni.
La circoncisione rituale è compatibile con l’ordinamento della Repubblica Italiana, poiché non lede altri valori protetti costituzionalmente come la tutela dei minori, il diritto alla salute, la dignità umana, la legittima disposizione del proprio corpo e la libertà di professare le proprie convinzioni religiose, ma non viene praticata in strutture pubbliche a carico del Servizio Sanitario Nazionale perché rappresenta un intervento religioso e non terapeutico. Pertanto costituirebbe un aggravio non giustificato per la sanità pubblica. L’operazione viene solitamente fatta in cliniche private con costi spesso molti alti.
Disagi e complicanze nascono soprattutto nelle famiglie musulmane che sia per difficoltà economiche, sia per seguire usanze popolari, si affidano a santoni o marabut che non si sottraggono a operazioni clandestine, poco sicure e in locali non autorizzati mettendo a rischio la salute dei circoncisi. Negli ultimi due anni in Italia hanno perso la vita 5 bambini di età compresa tra 5 mesi e 6 anni, tutti di origine africana, nella maggior parte dei casi per complicazioni di tipo emorragico.
Secondo dati dell’Amsi, ogni anno si effettuano 11mila circoncisioni su bambini nati in famiglie straniere residenti in Italia, che comprendono infanti di origine araba, pakistana, bangladese, africana, dei paesi dell’Est, per lo più musulmani, con una minoranza di cristiani copti. Tra queste, prima dell’emergenza Covid-19, 6mila sono state praticate nei paesi di origine, mentre 5mila in Italia, tra cui il 35% con modalità clandestine e con il 20-22% di casi con complicanze.
I numeri sono molto diversi per la comunità ebraica. «La popolazione si è ridotta, si fanno meno figli: nascono solo un centinaio di maschi l’anno» spiega Riccardo Di Segni, medico e rabbino capo della comunità ebraica di Roma il quale sottolinea che «le famiglie si affidano a operatori specializzati; qualcuno lo fa gratuitamente, lo considera un merito ed è grato chi glielo chiedono, altri lo fanno per lavoro».
«Per noi la circoncisione – prosegue Di Segni – non è una procedura medicalizzata pur prevedendo un’anestesia locale. È vissuta come un evento festivo che non si consuma in un solo giorno. È accompagnato da controlli alla salute del bambino prima e dopo il rituale e la cerimonia è anticipata da una veglia a cui partecipa la famiglia. Non ci si pensa più, ma anche il primo gennaio, giorno della circoncisione di Gesù, è preceduto da una veglia, il Capodanno. Un tempo sui calendari nel primo giorno dell’anno c’era la scritta “Circoncisione di N. S.” che da qualche anno non compare più per motivi teologici cattolici che non conosco. Ma forse sarebbe utile riproporre quel ricordo».
La circoncisione – il cui termine viene dal latino circumcidere che significa “tagliare intorno” –, è la procedura chirurgica più antica del mondo. Consiste nella rimozione del prepuzio, il lembo di pelle scorrevole che riveste il glande, la parte terminale del pene. È circonciso circa un terzo degli uomini di tutto il mondo. Per le circoncisioni ebraiche la prassi vuole che «il circoncisore arrivi di buon ora – racconta Di Segni –, predisponga una sedia lasciata vuota per il Profeta Elia, nomini un compare che ha l’onore di tenere stretto il bambino nel momento del taglio, mentre la madre se ne sta in disparte, pronta ad allattare il pupo».
Nelle comunità islamiche, invece, la cerimonia è spesso organizzata in concomitanza con altre festività, l’Aid ilfiter, la festa per la fine del Ramadan o l’Aid ilidha, la festa del sacrificio che commemora l’atto di Abramo di sacrificare il figlio Ismaele per ordine divino. «Si organizzano circoncisioni anche la 27esima notte di mese di Ramadan. È il giorno in cui avvengono le cose più sacre» racconta Basma, tunisina residente a Roma, mamma di due figlie femmine che aiuta sempre le altre madri che hanno figli maschi da circoncidere. «I bambini – aggiunge Basma – vengono vestiti con l’abito tradizionale, di solito una jebba, gli si fa l’henne alle mani, si mangia e si canta insieme».
«Il problema sono le circoncisioni clandestine e il mercato nero – spiega Foad Aodi, fondatore dell’Amsi, consigliere dell’Ordine dei medici di Roma e presidente della Co-mai –. Ci siamo appellati al governo italiano per chiedere l’estensione dell’autorizzazione delle circoncisioni che io chiamo “preventive” a livello nazionale inserendola nel SSN presso strutture autorizzate come i Lea, i Livelli essenziali di assistenza, o garantendo prezzi accessibili attraverso un ticket. Nelle strutture private i costi sono troppo alti; si può arrivare a spendere 5mila euro».
«Abbiamo istituito un tavolo tecnico su Sanità e Immigrazione per sensibilizzare le Regioni italiane ad autorizzare la circoncisione – prosegue Aodi, palestinese dal 1982 in Italia –. Finora hanno risposto il Lazio che permette di effettuare l’operazione in strutture private con un ticket a carico della famiglia (200 circa) con limite dell’età superiore a 4 anni e senza impegnativa del pediatra; Toscana e Marche che l’hanno inserita nei Lea con l’obbligo di impegnativa e il pagamento di un ticket minimo. A Civitavecchia è stato dedicato alle circoncisioni un ambulatorio solo per adulti».
Per aiutare le famiglie l’Amsi ha messo a disposizione lo sportello on line sul sito www.amsimed.org. Negli ultimi sette mesi le richieste di informazioni di posti sicuri e con prezzi accessibili sono aumentate del 45% .
A Roma intanto il dottor Monir al Mansour, palestinese in Italia dal 1973, chirurgo del Policlinico Umberto I in pensione e ricercatore all’Università La Sapienza, aspetta che venga commercializzato il suo brevetto di un dispositivo di circoncisione con parti rimovibili, il MonirCut. «La procedura di acquisto da parte di un’azienda di Padova è stata rallentata a causa del Covid-19 – spiega il medico –, ma il prototipo è pronto e permetterà circoncisioni più rapide e in sicurezza. Il dispositivo, utile solo per i bambini, è predisposto per tagliare e cucire in un unico momento, anziché in più fasi, e permette al medico di evitare il sanguinamento senza neanche mettere i punti grazie a una compressione sotto il taglio».
Il dottor al Mansour viene spesso chiamato in cliniche private per effettuare circoncisioni, anche a figli di rifugiati aiutati a sostenere le spese da cooperative o associazioni. «In Italia ci sarebbe bisogno di un maggior supporto da parte del SSN perché una pratica fatta male ritorna allo stesso SSN come un difetto – spiega il dottor al Mansour –. Quando lavoravo in ospedale, molte famiglie tornavano dopo circoncisioni fatte male con complicanze e dovevo rioperare, a volte per fare la plastica. Ma molti problemi restano a vita». Per il dottor al Mansour non va sottovalutata neanche la preparazione psicologica del bambino. «La mia circoncisione non me la ricordo – afferma – ma i miei amici mi hanno raccontato che mi fu tesa una trappola. Non fui preparato adeguatamente e il dolore fu una brutta sorpresa».
Il dottor Adel Chehida, anestesista rianimatore, tunisino residente nelle Marche, per preparare il figlio ha scelto parole semplici. «Bambino mio, ti tagliamo un pezzettino di pelle che non serve. Lo fanno tutti. L’ho fatto io, il nonno, lo zio, i cugini. Sentirai un po’ di dolore, ma dopo qualche giorno passa tutto e riceverai tanti regali».
«Quando toccò a me la circoncisione – ricorda Chehida – mi diedero una tazzina di sciroppo per la tosse Toplexil come sedativo per calmarmi, ma non funzionò. Al momento del taglio cercavo il conforto di mia madre, ma si era nascosta per non vedermi piangere. Ormai ero steso sul lettino. Non potevo più sfuggire al mio destino. Mi concentrai sul pensiero dei dinari e dei baci che avrei raccolto mentre sentivo le forbici fare un rumore che non dimenticherò mai. Poi il dolore e il bruciore».
Francesca Bellino
Giornalista e scrittrice