di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
Si chiama L’altra Firenze la ricca antologia (con precise informazioni, con i misurati commenti, e con foto e ritratti significativi) che Moreno Biagioni ha curato per le edizioni di una rivista, Il Grandevetro che da anni opera in Toscana legando persone ed esperienze, e tenendo soprattutto viva una tensione civile e “aperta” che poche riviste “locali” sanno far crescere, non consolandosi i loro redattori di sentirsi cittadini più intelligenti, migliori.
Una antologia, questa di Biagioni, e non un saggio, ma capitolo per capitolo l’autore vi è presente con introduzioni e spiegazioni precise, utili, di fondo, di cui gli si è davvero grati e io gliene sono tantissimo, che non sono toscano e tanto meno fiorentino ma che con Firenze e lo Toscana ho un’antica frequentazione, e sono di quelli che ancora di frequente vi torna e sempre ama raggiungere la via del Corno, in realtà uno stretto vicolo alle spalle di piazza della Signoria, in direzione di Santa Croce, perché vi è ambientato il romanzo di Vasco Pratolini Cronache di poveri amanti, che leggemmo avidamente nella vecchia edizione Vallecchi, negli anni della ricostruzione, nei primi anni della democrazia.
Per me e per i coetanei adolescenti a cui riuscii a comunicare il mio entusiasmo, quella era l’immagine vera di Firenze, ché quella era in qualche modo anche la storia dei nostri genitori proletari, e del nostro paese sotto il fascismo. Fu inseguendo quella storia e quella cultura che scoprimmo tutto il resto, anche il nostro presente.
Ho frequentato nella seconda metà del Novecento molto assiduamente Firenze, quella “pedagogica” prima di tutto: Scuola-città Pestalozzi, un’esperienza voluta dai Codignola che, con la loro casa editrice La Nuova Italia, fecero la più bella collana di pedagogia che ci sia mai stata in Europa, oggi – ahinoi! – dimenticata dai piccoli boss universitari del settore; e il Movimento di cooperazione educativa e i suoi “cugini” dei Cemea, i Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva, di derivazione francese e freinetiana. Un contesto concreto, animato da personaggi formidabili come Aldo Pettini, Marcello Trentanove, Idana Pescioli e tanti altri maestri di base fiorentini che riuscirono, nel loro forte dialogo con l’istituzione scolastica, a cambiare la scuola italiana da fuori e dal basso attirando e conquistando maestri di tutte le regioni.
Tra i maestri dei maestri, come non ricordare Lamberto Borghi, mio grande “fratello maggiore”, ebreo livornese che, esule in America, era stato vicino a Dewey ed era vicino a Chiaromonte?
Oltre ai maestri, furono importanti i preti, e non solo don Milani fuori Firenze, a Barbiana, ma fortemente dentro Firenze e in contrasto con un vescovo ottuso; e don Mazzi nel ’68 all’Isolotto, e Facibene, troppo dimenticato, e Balducci, e Rosadoni, e Borghi e altri animosi cattolici di quelli che il “libero religioso” Capitini chiamava i “persuasi”.
Due minoranze furono a fianco di quella cattolica particolarmente attive, e in costante apertura di dialogo, quella valdese e protestante, legate al ricordo del pastore Tullio Vinay (da queste, anche, e da Danilo Dolci, nacquero le esperienze nonviolente legate soprattutto al nome di Alberto L’Abate).
I cattolici fiorentini avevano anche due poeti di grandissimo valore, Carlo Betocchi e Mario Luzi, e riviste, e gruppi… Ed ebbero, dopo il grande comunista della Liberazione Mario Fabiani, un sindaco come Giorgio La Pira, odiato dalle destre, che osò aprire Firenze al mondo, e che di Firenze difese a oltranza i proletari, in fabbrica e oltre. E c’era Piero Calamandrei con Il ponte, una rivista esemplare per dirittura civile, e c’era addirittura un quotidiano, Il nuovo corriere diretto da Romano Bilenchi, un grande scrittore oggi trascurato dai soliti prof., un giornale che fu parzialmente finanziato dal Pci, da Roma, ma che il Pci fece chiudere in tronco quando Bilenchi si schierò dalla parte degli operai polacchi in sciopero e della rivoluzione ungherese.
Nel libro di Biagioni si parla ovviamente di grandi momenti della storia della città quali la Resistenza (anche attraverso un bellissimo inserto con i fumetti che la raccontarono!) e l’alluvione, ma ad attrarre sono gli aspetti meno conosciuti di questa vicenda collettiva, o meglio: comunitaria. Una città straordinariamente viva, Firenze, che negli anni del dopoguerra meritò il nome che qualcuno le dette di una “nuova, piccola Atene”. E dimentico, per ragioni di spazio, anche cose che l’ottimo Biagioni un po’ trascura, come per esempio l’apporto di Firenze alla storia della canzonetta (con i suoi tenorini dalla voce d’oro, alla Carlo Buti e alla Narciso Parigi. E le notevolissime esperienze di gruppi teatrali recenti e, prima, San Miniato… E i miei carissimi amici Guaita, partigiani e Gianni diventato per un tempo “siciliano” con una meravigliosa moglie siciliana vera, Orietta. E tanti altri nomi, tante altre esperienze ritrovo nella brulicante e saldissima antologia di Biagioni, che susciterebbero altri ricordi e meriterebbero altri discorsi, altre riflessioni… Una grande storia, una grande città, una grande società.
Ma purtroppo, parliamo di una città di ieri, di una città che dà oggi, oltre Il Grandevetro, molto poco ai bisogni di società e di cultura del paese tutto, e che sembra aver dimenticato del tutto, da Pieraccioni a Renzi, la sua immensa, anche abbastanza recente tradizione artistica e civile.
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini