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Misurare la pace

by Raul Caruso

di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

Un’impostazione di partenza ragionevole è quella economica poiché le crisi e le difficoltà economiche sono da sempre associate alla violenza e ai conflitti armati. In questa prospettiva, la pace è uno scenario in cui le attività produttive eccedono in maniera sostanziale le attività improduttive e quelle distruttive, vale a dire le rendite e in particolare quelle ottenute per mezzo di violenza che consentono di realizzare solamente guadagni privati.

La pace è quindi definibile come quell’assetto istituzionale che favorisce il consolidarsi delle attività produttive nel lungo periodo limitando nel contempo il peso delle attività improduttive, in particolare quelle distruttive. La pace è quindi un bene pubblico poiché produce benefici collettivi mentre negli scenari informati dalla violenza si realizzano esclusivamente guadagni privati.

Come la storia ha molte volte dimostrato il benessere di società pacifiche è decisamente superiore alla sommatoria di benefici privati realizzati in contesti di violenza. Per misurare la pace, dal 2008 è disponibile il Global Peace Index (Gpi) dell’Institute for Economics and Peace realizzato considerando ventidue misure di violenza e di altre attività distruttive classifficabili secondo tre aree: 1) militarizzazione; 2) sicurezza interna e 3) partecipazione a conflitti esterni. Minore è il peso di queste manifestazioni di violenza più elevati saranno i livelli di pace.

Il Gpi può essere interpretato come una “dotazione di pace” in un dato momento nel tempo. I Paesi dilaniati da conflitti armati hanno chiaramente livelli di pace molto bassi, laddove quelli a reddito più elevato non coinvolti in conflitti armati hanno livelli di pace più elevati. Negli ultimi anni i Paesi più pacifici sono risultati stabilmente Islanda e Nuova Zelanda, mentre i meno pacifici Somalia e Sud Sudan. Come detto, però, per elaborare politiche e istituzioni edificatrici di pace, abbiamo comunque anche la necessità di una misurazione prospettica, vale a dire di una misura che sia in grado di suggerirci a partire da oggi i probabili livelli futuri di pace. Un primo indicatore che possiamo utilizzare è il rapporto tra l’investimento in educazione e la spesa militare (educazione/spesa militare).

Gli investimenti in educazione sono largamente tra i più desiderabili in un’ottica di lungo periodo poiché essi aumentano il capitale umano di una società e quindi la sua produttività futura. Il rapporto (educazione/spesa militare) evidenzierà quindi il rapporto tra l’investimento pubblico in futuro capitale umano e in una politica di spesa improduttiva come quella militare.

Dai molti studi disponibili oramai sappiamo che la spesa militare è foriera di declino economico per una varietà di motivi. Ridurla è desiderabile in un’ottica di sviluppo economico. La spesa militare, tuttavia, non dipende esclusivamente dalle preferenze dei governi, ma risente anche di obbligazioni internazionali e quindi ridurre la spesa militare potrebbe non essere realizzabile, quantomeno nel breve periodo.

Adottando la misura proposta, se un governo non potesse diminuire le spese militare potrebbe comunque impegnarsi ad aumentare gli investimenti in educazione in modo da generare un “antidoto” alla futura mancata crescita economica attribuibile al military burden (il peso della spesa militare rispetto al Pil).

In pratica, nel momento in cui consideriamo il rapporto tra l’investimento in educazione e la spesa militare, possiamo dire che tale misura evidenzia il peso attribuito alla prosperità futura rispetto alle esigenze strategiche correnti. Paesi con conflitti permanenti (es. Israele) presentano un rapporto basso e così anche le grandi potenze che sono presenti in molti conflitti in corso.

Negli Stati Uniti d’America ad esempio, questo rapporto nel 2017 era pari a 1,18 indicando che per ogni dollaro speso in ambito militare vi era solo 1 dollaro e 18 centesimi di impegno pubblico per l’educazione. In Russia, nel 2017 tale rapporto era pari a 1,11. In Paesi con un minore coinvolgimento in conflitti armati e a livelli di benessere elevati mostrano valori decisamente più elevati: la Germania presentava un rapporto pari a 4,2 mentre l’Italia era a poco meno di 3.

Ai nostri fini possiamo scegliere un livello passato di tale indicatore e un livello corrente di una o più variabili obiettivo di riferimento per inferire se aumentare tale rapporto sia foriero nel futuro di obiettivi desiderabili. Ad esempio in un semplice esercizio è facile verificare che i livelli del rapporto (educazione/spesa militare) del 2000 sono positivamente correlati con più elevati livelli di produttività e Pil procapite misurati nel 2019.

Allo stesso tempo, ancora più di interesse in questo nostro ragionamento, è la correlazione il valore del rapporto tra la nostra misura e il livello di pace negli anni successivi. Anche in questo caso, per mezzo di un semplice esercizio è possibile verificare che a livelli elevati del rapporto (educazione/spesa militare) del 2000 sono correlati più ampie “dotazioni di pace” misurate attraverso il Gpi nel 2019.

Raul Caruso

Raul Caruso

Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

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