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Pratolini, Metello

by Goffredo Fofi

di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.

Rileggo Metello di Vasco Pratolini nell’edizione BUR del 2018, lo lessi facendomelo prontamente arrivare da una cartoleria-libreria del mio paese (con soldi guadagnati aiutando mio padre ad aggiustar biciclette nella sua officinetta) nell’edizione di Vallecchi del 1955, a 18 anni compiuti da poco.

Leggevo molto, soprattutto curioso degli scrittori italiani del dopoguerra, che parlavano di un mondo e di una storia che direttamente o indirettamente conoscevo e che sapevo mi riguardavano.  Cronache di poveri amanti, letto due o tre anni prima, mi portò, tra l’altro, a una sorta di reiterato pellegrinaggio, quando mi capita di recarmi a Firenze, in via del Corno, un vicolo subito alle spalle della Signoria dove il romanzo si svolgeva (sugli anni del trionfo fascista, ma in ambiente di saldo socialismo). 

Di Pratolini divenni più tardi amico frequentandolo a Roma quando pochi si ricordavano di lui – tanto si era ritirato dalla vita pubblica, credo anche per le reazioni al suo Metello. Mi raccontò un giorno di essersi recato all’Università per la commemorazione di un illustre accademico, seduto tra il pubblico vicino ad Alberto Arbasino, e né quello né altri lo avevano riconosciuto… E sì che era stato un nome di punta nel dibattito letterario del dopoguerra.

Metello scatenò discussioni oggi impensabili e perfino furiose, soprattutto a sinistra, perché in quegli anni la cultura era il luogo di un interesse e di un contrasto, tra cattolici e sinistra, ma anche dentro la sinistra, e i politici leggevano, discutevano, litigavano anche a partire da un romanzo, da un film. 

Metello, storia dell’adolescenza e della maturità di un giovane proletario fiorentino negli anni di fine Ottocento che videro fortissimi scontri sociali, avvicinava il lettore non proletario e non militante, o semplicemente ignorante, a una storia di cui qualcosa aveva sentito o intuito, e Pratolini vi seguiva l’aureo (e oggi vituperato) percorso del romanzo di formazione che porta a una “presa di coscienza” del bello e del brutto della vita e della società. A trovare il proprio posto sapendo sceglierselo.

Era una storia perfettamente credibile, ché Pratolini, autodidatta e buon conoscitore della letteratura del secondo Ottocento (anche traduttore, per esempio del dimenticato Bubù di Montparnasse di Charles-Louis Philippe, sulla giovane mala proletaria e parigina di fine Ottocento e primi Novecento, e delle bellissime Cose viste di Victor Hugo), era anche frequentatore di proletari giovani e vecchi, in mezzo ai quali era cresciuto e dai quali molto ha avuto da imparare (non solo a Firenze, anche a Roma al tempo della Resistenza come raccontò in Il mio cuore a Ponte Milvio). 

In definitiva, Metello non ha pecche storiche, e tantomeno morali e politiche. Ma partendo da uno scrupolo di “vita vera” e di salda morale politica, urtò la suscettibilità di quanti, a destra, non amavano certo le storie di un proletariato cosciente e battagliero, e, a sinistra, avrebbero voluto, gli uni, la solita solfa del “realismo socialista” di matrice sovietica e, gli altri, una sorta di sperimentalismo letterario che più di dieci anni dopo arrivò con i borghesissimi neocapitalisti e neoavanguardisti del Gruppo 63, oggi fin troppo ridimensionato ché qualche pregio tuttavia lo ebbe (con il citato Arbasino, con il grande Manganelli, con molte poesie di Sanguineti e perfino con qualcosa del  Balestrini più “estremista”). Insomma, sul povero Metello si scatenò una diatriba ideologico-politica quasi unica nella storia delle nostre lettere, ma ripetuta anni dopo, in altro contesto, dal caso del Gattopardo. 

La prefazione dell’edizione di Metello della BUR l’ha scritta (ottima scelta) Antonio Pennacchi, scrittore di suo e di origini e storia “di classe” con qualcosa in comune con quelle di Pratolini. Egli vi affronta con decisione e con rabbia le discussioni del tempo, schierandosi tutto dalla parte di Pratolini, e rivendicando il rigore e la bellezza letteraria del romanzo, in modi partigiani e appassionati. Bravo! Non misurando le parole dice quel che  meritano agli ipocriti letterati che cercarono di demolirlo, in particolare a quelli una sinistra da guerra fredda, e a quelli di bocca così delicata da pretendere un marxismo perfetto ma rifiutando il pathos sociale e affettivo, di fatto la sua perfetta credibilità, nella scelta di parte. È un piacere rileggere Metello. Non so dire se è il miglior libro di Pratolini (il mio preferito è Il quartiere!), ma è certamente uno dei migliori ed è un romanzo che riesce a rimaner vivo di quegli anni di svolta. Vivo e istruttivo!

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi

Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini

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