di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.
L’assedio della città di Palma (nella provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico) ha fatto drammaticamente irruzione nel mainstream informativo il 24 marzo scorso, quando 180 dipendenti di Total, ExxonMobil ed Eni hanno trovato rifugio in un hotel per sfuggire alla furia dei terroristi islamisti che dal 2017 imperversano nell’area.
L’assedio della città di Palma (nella provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico) ha fatto drammaticamente irruzione nel mainstream informativo il 24 marzo scorso.
A rendere negoziabile la notizia è stata la presenza nell’ex villaggio di pescatori affacciato sull’Oceano Indiano di alcune centinaia di tecnici stranieri dipendenti di Total, ExxonMobil ed Eni, tra le più grandi compagnie petrolifere e di energia. 180 di loro hanno trovato rifugio in un hotel per sfuggire alla furia dei terroristi islamisti che dal 2017 imperversano nell’area.
Le notizie erano concentrate più sulla sorte di questi lavoratori che sul destino dei 50 mila abitanti, costretti in maggioranza a scappare nella vicina foresta mentre solo 10 mila sono riusciti avventurosamente ad essere sfollati a Pemba a bordo di navi ed altri mezzi di fortuna.
Intorno a loro solo spettrali macerie fumanti e cadaveri con teste mozzate. Eppure già da un mese a Palma gli approvvigionamenti arrivavano solo via mare perché le strade erano state bloccate dai terroristi che da agosto controllavano anche un’altra città. Insomma sul cattolico Mozambico da 4 anni soffia la bufera della jihad che in questa area ha già mietuto 2.600 vittime tra i civili e causano 700 mila sfollati.
Ma a spingere verso la violenza cieca (più che l’obiettivo di imporre la legge islamica) è la povertà diffusa, il senso di abbandono da parte dello stato centrale, la corruzione e la cupidigia dei suoi vertici interessati solo ad arricchirsi. In questa area la Total ha fatto uno dei più grandi investimenti al mondo in un progetto di estrazione di idrocarburi, di cui il sottosuolo è ricchissimo. Ma nelle mani di quanti ci vivono non resta nulla, anzi la disoccupazione è stellare.
I militanti islamisti hanno così gioco facile a reclutare giovani senza lavoro e senza futuro, che tra l’altro non sono nemmeno particolarmente ligi ai dettami religiosi perché bevono alcool e si presentano a pregare in moschea in pantaloncini corti e senza togliersi le scarpe.
Il governo di Maputo da parte sua risponde con la militarizzazione prevaricatrice della zona, con l’unico effetto di spingere sempre più giovani tra le fila degli Shabaab, che non hanno nulla in comune con l’omonimo gruppo somalo ma ne hanno assunto il nome. Per Amnesty International si tratta di un gruppo armato locale, concentrato su questioni locali, figlio della ribellione innescata dai mancati investimenti statali in una provincia a maggioranza musulmana.
Gli Shabaab utilizzano in realtà l’ideologia jahidista come strumento essenzialmente organizzativo. Non è casuale che siano rapidamente cresciuti proprio con l’arrivo delle aziende estrattive straniere che hanno impoverito ulteriormente la comunità. Ricorrono alle più efferate atrocità per diffondere il terrore ma l’esercito governativo non è da meno: esecuzioni sommarie, violenze sessuali, detenuti massacrati sono stati documentati da Amnesty International che accusa i militari di crimini di guerra.
Il Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico) è il partito di ispirazione socialista che guida il paese sin dalla “ne della guerra di indipendenza contro il Portogallo, e che ha attraversato indenne anche il conflitto civile che lo oppose alla Renamo. Oggi la sua leadership spinge l’acceleratore sulla necessità di fermare il terrorismo islamista con l’obiettivo di incassare il sostegno militare dei paesi stranieri ed allontanare da sé le accuse di corruzione e di aver favorito l’emarginazione di queste aree.
Non è casuale che il Frelimo sia contrario al coinvolgimento di organizzazioni come la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe, l’Unione europea e le Nazioni unite che potrebbero evidenziare l’origine della insurrezione nel nord. Inoltre il partito di governo chiede aiuti umanitari ma da dirigere in prima persona, senza deleghe, per continuare una gestione ispirata ai favoritismi. I marines statunitensi sono arrivati in Mozambico per addestrare i loro cugini ed aiuti militari sono stati anche promessi da Portogallo e Sudafrica.
Insomma la parola d’ordine è combattere il nuovo nemico globale, ovvero l’Isis in Africa, come ha ribadito John T. Godfrey del Dipartimento di Stato Usa. Una buona ragione per difendere le estrazioni della statunitense ExxonMobil e senza temere che il conflitto nel nord del Mozambico possa diventare endemico come quello che inffiamma da anni l’area del Delta del Niger in Nigeria che vive analoghe condizioni di diseguaglianze.
Ph © Steve Evans
Enzo Nucci
Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.