di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
Molti anni fa, nell’estate del 1986, quelli del manifesto, tra di loro un amico come Severino Cesari, chiesero a venti-trenta collaboratori di raccontare, uno alla volta, un “classico” della letteratura che essi avevano molto amato. I testi così raccolti formarono un libro della Sellerio che ebbe un titolo, Un tocco di classico, che mi sembrò inadeguato, anche un po’ frivolo.
Toccò anche a me, che scrissi – lo confesso –, un po’ provocatoriamente nei confronti dei super-marxisti del giornale, di tre racconti di Tolstoj, racconti e non romanzi: Padre Sergio storia di una conversione, di un cambiamento radicale di vita, della rinuncia alla società costituita e ai suoi valori, della scelta, di fatto, di una ricerca della santità; Dopo il ballo, stupenda descrizione di una notte di ballo in casa del capo di un avamposto militare che ha una figlia deliziosa, vissuta e narrata da un soldato che avrebbe ben potuto essere il giovane Tolstoj, affascinato da tanta signorilità e da tanta bellezza, ma che all’alba, tornando alla guarnigione, incrocia un gruppo di soldati, guidati dal generale di cui è stato ospite, che fustigano spietatamente un tartaro ribelle, e ne ha la rivelazione di quel che si nasconde dietro la civiltà e la bellezza dei ricchi e dei potenti, una rivelazione che cambierà la vita del giovane; e infine Tre morti, uno dei più puri e più perfetti racconti che siano mai stati scritti. È del Tolstoj degli inizi, che ci appare già grande come il Tolstoj di Guerra e pace e di Anna Karenina.
Tre morti si svolge dentro o intorno a una stazione di posta e racconta in parallelo le ultime ore di una ricca condannata dal male, una donna che ha avuto una lunga vita vissuta bensì da egoista, e che adesso sa di dover morire e non accetta questo destino, una morte peggio che solitaria; di un vecchio postiglione accolto nella locanda-osteria, sistemato sopra la grande stufa, che aspetta serenamente la morte ascoltando la vita che continua a fervere intorno a lui; e infine la terza morte, quella di un grande albero alla fine delle sue tante stagioni. Dentro la vita della natura, che prevede per tutti anche una fine, anche per un albero secolare che ha accolto sui suoi rami migliaia di uccelli, e sotto la sua ombra tante e tante persone, è forse questa terza morte a colpirci oggi di più, per la sua valenza, diciamo così, ecologica, per la sua comprensione e il suo rispetto della natura, della potenza e delle leggi della natura.
La morte è vista come un dato naturale, che fa parte del destino di tutti, vegetali animali umani, e che tra gli umani non riguarda ugualmente i ricchi che i poveri. E viene in mente, è ovvio, l’altro grande racconto, quasi un romanzo, di Tolstoj, La morte di Ivan Illich, e per contrasto l’altra e sublime morte del principe Andrej in Guerra e pace, a confronto con quella disperata di Anna Karenina. Che differenza, tra il coro umano della locanda e quello animale e vegetale che circonda il vecchio albero, e l’acre solitudine della vecchia nobildonna!
Tre morti ci parla di quando accettazione e solidarietà avevano un significato, erano una presenza possibile nel destino di ognuno, e di quando si parlava di “rivoluzioni” proprio in rapporto al “sogno di una cosa”, alla possibilità di una vita vissuta bene, pienamente, in comunità, e aspirando a un riscatto collettivo dalla morte. Oggi che non più solo di guerre è piena la storia, ma dell’ipotesi – impensabile al tempo di Tolstoj – della morte innaturale della natura, provocata dall’uomo, e questo racconto ci appare dunque, allo stesso tempo, sia lontanissimo che vicino, quanto Padre Sergio per la necessità del “cambiar vita” e far della nostra vita qualcosa di degno, e quanto Dopo il ballo per la rivelazione di cosa si nasconde dietro il fascino e la bellezza che i ricchi possono ostentare, che chi ha il potere si può permettere.
In conclusione: perché perder tempo appresso alle mille novità di una letteratura abulica e asfittica (quella per intenderci, al 95 per cento, dei premi Strega) e non rileggere i grandi di ieri (e i rari di oggi) che sanno ancora parlarci di quel che davvero è fondamentale, e lo è per tutti?
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini