di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.
La Corte costituzionale dell’Ecuador ha aperto la possibilità dell’interruzione volontaria della gravidanza nei casi in cui è provato lo stupro. Ma per la Coalizione nazionale delle donne questa vittoria è solo il primo passo verso la lotta al fenomeno delle gravidanze forzate delle bambine sotto i quattordici anni vittime di violenza sessuale.
A fine aprile la Corte costituzionale dell’Ecuador ha depenalizzato l’aborto in caso di stupro con una sentenza che i movimenti femministi del Paese andino hanno definito storica. La Corte ha dichiarato incostituzionali due clausole del Codice penale e ha aperto la possibilità dell’interruzione volontaria della gravidanza nei casi in cui è provato lo stupro.
Una decisione fondamentale perché in Ecuador l’aborto era punibile con il carcere, con l’unica eccezione legata al rischio per la salute e la vita della donna o quando la gravidanza era frutto di una violenza ai danni di una donna mentalmente disabile. I magistrati della Corte suprema hanno ordinato la cancellazione delle parole “disabile mentale” dal Comma 2 dell’Articolo 150 del Codice penale, in modo che la possibilità di abortire per stupro sia aperta a tutte le donne.
«Ora dobbiamo ottenere che il sistema sanitario lo renda operativo, e continuare a lavorare per depenalizzare completamente l’aborto», ha detto Virginia Gómez, direttrice della Fondazione Desafío, che fa parte della Coalizione nazionale delle donne dell’Ecuador, una delle associazioni che hanno portato avanti il ricorso di incostituzionalità.
Malgrado questa decisiva vittoria la Coalizione crede che la Corte non abbia soddisfatto pienamente le loro richieste.
«È una lotta storica che le donne del Paese stanno portando avanti», ha dichiarato Gómez, mentre la Coalizione nazionale delle donne ha detto che è «un progresso necessario, anche se incompleto» e ha assicurato che «le donne ecuadoriane continueranno a lottare per esercitare il loro diritto ad essere libere di disporre, difendere e proteggere i loro corpi e la loro salute». In America Latina sono solo quattro i Paesi in cui l’aborto è legale e senza restrizioni: Cuba, Porto Rico, Uruguay e Argentina. La pratica è stata legalizzata anche a Città del Messico e Oaxaca.
Il tema della violenza sessuale è drammaticamente presente in Ecuador dove, ai casi registrati nei confronti di donne adulte, si affianca la vicenda, particolarmente odiosa, delle bambine vittime di stupro che rimangono incinta e sono “forzate” a proseguire la gravidanza.
Le storie di queste piccole è stata raccontata dalla rivista Wambra nel reportage Niñas invisibles che fa emergere l’entità del fenomeno delle gravidanze forzate di bambine sotto i quattordici anni come conseguenza di una violenza sessuale, nella maggior parte dei casi da parte di persone della ristretta cerchia familiare. Nell’inchiesta di Wambra si parla di Rachel e Juana, che hanno partorito a quattordici anni, di Violeta e Carmen, ancora più piccole.
Lo studio, che ha suscitato molto scalpore, rivela che gli abusi sessuali che hanno determinato queste gravidanze non sono censiti dallo Stato in quanto il sistema sanitario non registra le giovanissime pazienti incinta come vittime di violenza, poiché la motivazione del loro ricorso al sistema di salute pubblica è stata la gravidanza e non lo stupro.
Queste bambine sono inserite nelle statistiche nazionali come madri e ricevono le stesse cure delle oltre 280.633 donne adulte che partoriscono ogni anno in Ecuador. L’unica traccia di loro che lo Stato conserva è nelle statistiche per età delle madri che hanno partorito bambini vivi: 17.448 ragazze sotto i quattordici anni hanno partorito tra il 2009 e il 2016, il che equivale a 2181 bambine costrette alla maternità ogni anno, tutte vittime, dal punto di vista legale, di una violenza sessuale che viene taciuta.
Le testimonianze di chi cerca di prendersi cura di queste bimbe raccontano di una condizione di marginalità e vulnerabilità sociale, di conseguenze mediche gravi in seguito a gravidanze così precoci, di abbandono scolastico, di difficoltà ad accettare la maternità, di problemi di salute mentale, di stigmatizzazione da parte della società e quindi solitudine e povertà.
Bambine invisibili dunque, vittime e rivittimizzate da una cultura segnata dalla violenza, dalla dominazione, dall’ingiustizia. La sentenza di aprile introduce un nuovo strumento per tutelarle da gravidanze indesiderate, ma riuscirà a proteggerle dalla violenza del patriarcato?
Ph. © helen@littlethorpe
Nadia Angelucci
Giornalista e scrittrice