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Senza conflitti

by Stefano Allievi

di Stefano Allievi. Sociologo, Professore di Sociologia presso l’Università degli studi di Padova.

Il conflitto non solo è inevitabile nella vita dell’individuo, nel suo processo di crescita, nella vita familiare, e nei rapporti di coppia, ma è anche positivo perché ci arricchisce delle posizioni altre e ci rafforza. Eppure qualcuno sogna ancora una società senza conflitti.Ma come sarebbe il mondo se…

Qualcuno la sogna, la società senza conflitti. Alcune utopie del passato la ipotizzano come orizzonte benefico, da costruire. La cultura cui apparteniamo sembra considerare la parola stessa“conflitto” come impronunciabile: un tabù, che è meglio evitare di nominare. Come se ne andasse della felicità personale: il mondo ideale come mondo aconflittuale.

La vita dell’individuo, il suo processo di crescita, la vita familiare, i rapporti di coppia, tutto ci insegna, o dovrebbe insegnarci, che non solo il conflitto è inevitabile, per maturare, per crescere, ma che esso è positivo: ci arricchisce delle posizioni altre (è combattendole che le conosciamo, e talvolta le incorporiamo), ci rafforza. «Il conflitto è il senso originale dell’essere-per-altri», ha scritto Sartre, molti anni fa.

C’è pure un’estetica del conflitto, una tensione conflittuale verso l’altro, che può essere una proiezione del meglio dei nostri sentimenti, senza il quale non ci sarebbe molta consapevolezza, molta arte, forse persino molto amore.

Già, perché anche l’amore è un sentimento conflittuale: per costruirsi si mette contro ciò che è non amore, a cominciare dagli ostacoli che si frappongono ad esso.

Dopo tutto c’è un conflitto tra il bene e il male, uno sforzo, che è dentro di noi, ma anche fuori, che è il senso proprio e profondo della vita e del combattimento spirituale, come della parola jihad: al quale dobbiamo il meglio della capacità dell’uomo di elevarsi al di sopra della condizione animale, in cui il conflitto è solo lotta per la sopravvivenza.

È anche il motivo vero per cui amiamo il genere fantasy e i supereroi, Il signore degli anelli, Harry Potter e Star Wars, i film western e quelli di guerra, e i polizieschi, almeno finché vincevano i buoni: Sherlock Holmes o La signora in giallo, il tenente Colombo o Hercule Poirot. In cui, a costo naturalmente di forzare la realtà, il bene e il male sono chiaramente definiti, e combattono tra loro. E, di solito, nel nostro immaginario vince il bene.

Anche l’equilibrio sociale è conflittuale. La sociologia ci insegna che le teorie del conflitto, da Marx, passando per Max Weber, fino a Simmel, costituiscono uno dei modi fondamentali per interpretare le società umane, per comprenderne l’evoluzione e lo sviluppo. La spinta a fare politica ha la stessa origine: un combattimento tra visioni diverse del bene comune (o nei casi peggiori del bene proprio). Che è al contempo l’innesco delle nostre migliori energie e la sentina dei vizi peggiori: ma non è, il conflitto, il problema. Il problema è l’incapacità di passarci attraverso.

Il conflitto è persino etico, fondativo,ineliminabile: «occorre sapere chela giustizia è conflitto», dice un frammento di Eraclito. La democrazia stessa è conflittuale, e dunque anche instabile, per definizione. Sia la democrazia parlamentare che la democrazia industriale sono precisamente modi di gestire il conflitto senza che degenerino fino alle estreme conseguenze: per limitarlo, dunque – attraverso il gioco conflittuale dei partiti e delle rappresentanze sindacali. In questi casi il conflitto non è la prima fase di una escalation il cui esito è la guerra, ma l’unico modo di evitarla: riconoscendolo, e quindi gestendolo, non negandolo, non reprimendolo.

Come ci ha insegnato Gandhi, che il conflitto sociale lo porta a galla, lo va persino a cercare, lo crea, lo inventa, sfidando niente meno che un impero – l’Inghilterra – , in maniera nonviolenta. Il problema è dunque semmai di trovare i metodi (tra cui vanno incluse le istituzioni) per risolverli, i conflitti. Per rimanere a Gandhi: «il fine sta nei mezzi come l’albero nel seme». Anche il padre e la madre dobbiamo ucciderli, per emanciparci da loro e diventare adulti consapevoli:ma non significa farlo in senso letterale…

Non spariranno, dunque, i conflitti. E non ha senso sognare che accada: sarebbe controproducente. Semmai, ne vivremo più spesso. Anche perché dovuti a sempre più frequenti dissonanze culturali e divergenze nell’allocazione delle risorse materiali. Ma risolverli diventerà un’abitudine sociale e culturale. Proprio perché più frequenti, saranno meno distruttivi. Un po’ come già oggi accade con le separazioni e i divorzi. Sempre conflitti sono, ma se impariamo a gestirli fanno meno male. Lasceranno meno cicatrici. Anche se resteremo perennemente insoddisfatti, perché ci saremo sempre in mezzo.

Stefano Allievi

Stefano Allievi

Sociologo, Professore di Sociologia presso l’Università degli studi di Padova

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