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A proposito di Marx

by Fulvio Ferrario

di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia sistematica e Decano della Facoltà valdese di teologia di Roma.

La lettera di dimissioni del cardinale Reinhard Marx dalla carica di arcivescovo cattolico di Monaco ha generato molte e diverse interpretazioni. La risposta di papa Francesco, in particolare, induce a una riflessione sull’idea di “riforma”.

La lettera di dimissioni del cardinale Reinhard Marx dalla carica di arcivescovo cattolico di Monaco mi aveva colpito anzitutto dal punto di vista spirituale: il testo, cioè, mi sembrava andare oltre il piano dell’analisi (della crisi del cristianesimo, dell’emergenza pedofilia, delle resistenze ai meccanismi di trasparenza), per introdurre una categoria strettamente teologica: quella di colpa, con la connessa esigenza di conversione.

Il punto originale, rispetto a centinaia di prediche, comprese le mie, era che tale appello non fosse rivolto anzitutto ad altri: io ho fallito, diceva in sostanza Marx, io mi dimetto.

La stragrande maggioranza delle interpretazioni, per contro, si è collocata direttamente sul piano della politica ecclesiastica.

Alcuni hanno colto nel gesto una polemica, nemmeno troppo indiretta, con il cardinale di Colonia Rainer Maria Wölki, considerato un baluardo dei cosiddetti conservatori (cosiddetti perché non è chiarissimo chi siano mai i “progressisti”): mentre scrivo, la diocesi di Colonia è oggetto di una “visita”, cioè di un’ispezione, per verificare comportamenti e reazioni specie sulla questione degli abusi sessuali: Wölki, però, di fare un passo indietro non ne ha voluto sapere.

Più in generale, molti analisti hanno letto le dimissioni del presule all’interno del cammino “sinodale” della Chiesa cattolica tedesca, che vede spinte abbastanza decise su aspetti che Francesco stesso guarda con non celata preoccupazione, ad esempio nella pastorale delle persone omoaffettive e, dall’altra parte, un certo ricompattamento del fronte avversario.

Infine, c’è chi, semplicemente, ha pensato a un gioco delle parti: il cardinale «franceschista» offre le dimissioni, il papa le respinge e si ricomincia come prima, solo con la figura di Marx rafforzata da una nuova investitura romana. Il fatto che, effettivamente e in tempi strettissimi, Francesco abbia respinto la richiesta, invitando l’arcivescovo a rimanere al proprio posto, ha rafforzato questa lettura.

Sia come sia, il linguaggio della Chiesa (cattolica, in questo caso) viene immediatamente ricondotto al registro della politica: il tentativo del cardinale (ammesso che di questo si sia davvero trattato) di collocarsi su di un piano diverso e di porre questioni diverse rispetto allo scontro tra fazioni e al minuetto un po’ frusto tra gli amici veri o presunti di Francesco e i suoi avversari, non ha trovato udienza.

La lettera con la quale il papa respinge le dimissioni è, a sua volta, un documento interessante. Alcuni osservano che Il Nuovo Testamento è citato in modo un po’ “garibaldino”, in particolare accostando passi provenienti da diversi dialoghi tra Gesù e Pietro.

Il punto più interessante, però, riguarda l’interpretazione del termine “riforma”, che in un’occasione è posto tra virgolette e corredato da un «mi si permetta l’espressione», come se fosse sconveniente.

La tesi del papa è che la “vera riforma” non è un progetto di ristrutturazione della Chiesa, bensì il fatto che Gesù mette in gioco sé stesso sulla croce, e la fede è chiamata a corrispondergli mediante la conversione.

Alcuni commentatori protestanti hanno osservato che, in tal modo, il papa lancia una frecciata sia alle Chiese della Riforma, sia al Cattolicesimo del cambiamento. Può essere e non mi stupirei: Papato e Riforma non sono mai stati amici.

La contrapposizione tra la conversione personale e il cambiamento delle strutture, specie quando invocata da chi si colloca al vertice della più potente di tali strutture, non può non suscitare perplessità.

Volendo, però, si potrebbe anche leggere il testo papale in bonam partem, cioè nello stesso senso dell’esigenza espressa da Marx: la comunità cristiana deve resistere alla tentazione di pensare il cambiamento soltanto mediante categorie sociologiche: decisiva è la conversione.

Solo che, ed è questo che Roma non vuol sentirsi dire, la conversione delle singole persone e quella delle strutture vanno insieme.

Limitarsi a parlare di strutture è un alibi, questo è vero; ma rimuovere il tema del loro cambiamento, rifugiandosi nella dimensione puramente individuale, è moralistico.

La Riforma protestante lo ha capito e per questo ha cambiato la Chiesa.

Fulvio Ferrario

Fulvio Ferrario

Professore di Teologia sistematica e Decano della Facoltà valdese di teologia di Roma

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