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Con Raisi, le sfide dell’Iran che verrà

by Luciana Borsatti

di Luciana Borsatti. Giornalista e scrittrice.

Non è stata un’elezione a sorpresa, quella del 18 giugno in Iran, e probabilmente non lo sarà neppure quanto accadrà dopo il 3 agosto – il passaggio di consegne da parte del moderato Hassan Rouhani – che investirà Ebrahim Raisi in qualità di nuovo Presidente. Un conservatore tradizionalista come chi lo ha di fatto designato nell’incarico, l’ayatollah Ali Khamenei, che a 82 anni forse vede in Raisi il proprio erede.

Nel frattempo altri urgenti problemi sfidano i vertici della Repubblica Islamica – non troppo preoccupati dal fatto che la bassa affluenza elettorale registrata (il 48,8%, con il 13% di schede bianche o nulle) possa avere minato la legittimità di un sistema che si compone di elementi teocratici e organi non eletti da una parte, e di eletti a suffragio universale (il presidente e il Parlamento) dall’altra. L’ala conservatrice, che comprende i forti potentati militari, politici ed economici rappresentati dai Guardiani della rivoluzione, ha visto però confermato uno zoccolo duro di consenso tra gli strati popolari più rispettosi dell’autorità della Guida, ma anche più bisognosi – tanto più in questi anni di pesante crisi economica coincisa con le mille sanzioni di Trump – di sostegni e sussidi. E che il sistema abbia ancora un suo consenso sociale – anche tra quei ricchi che accumulano fortune nonostante le sanzioni – non va dimenticato.

Il problema più urgente è dunque quello della crisi economica che in questi tre anni ha visto l’inflazione toccare il 46%, il valore del rial precipitare verso abissi mai visti e molti posti di lavoro svanire. Su come venirne fuori, affrontando anche nodi strutturali interni, si sono confrontati i pochi candidati salvati dalla selezione del Consiglio dei Guardiani (che ne ha ammessi solo 7, escludendo anche figure di spicco tra i moderati). E nelle sue prime dichiarazioni da presidente Raisi ha promesso competenza, “spirito rivoluzionario” e lotta alla corruzione – la battaglia che lo distingue, insieme a una triste fama nel campo dei diritti umani per il presunto ruolo svolto nelle esecuzioni di massa di migliaia di oppositori in carcere nel 1988 e per aver guidato un potere giudiziario accanito contro il dissenso.

Quello delle violazioni dei diritti umani – che Raisi ha detto invece di avere sempre difeso, rivolgendo ai suoi critici l’accusa di averli violati in altre parti del mondo – sarà ora ancor più un tema ricorrente.

Ma la questione che non si può evadere è il ritorno degli Usa all’accordo sul nucleare tradito da Trump nel 2018 e del conseguente rientro di Teheran nel rispetto del limiti che aveva accettato nel 2015, ma che dal 2019 ha superato, in una sempre più allarmante escalation, proprio per reazione alle scelte degli Usa e agli assassini extragiudiziali del generale Qassem Soleimani e del fisico nucleare Mohsen Fakhrizadeh.

I negoziati indiretti di Vienna sono inciampati in molti ostacoli, ma è interesse sia di Washington che di Teheran che arrivino al più presto a buon fine. Di Washington perché l’amministrazione Biden potrà così affrontare gli altri due temi sui quali sente il fiato sul collo sia negli Usa che tra i suoi alleati in Medio Oriente: i missili balistici e le milizie filo-iraniane nella regione, i due pilastri delle politiche di difesa di Teheran in un’area fortemente militarizzata dalle basi Usa e dagli arsenali foraggiati dagli Usa. Di Teheran perché la sua economia non potrà ripartire sotto il giogo delle sanzioni, ma solo tirare avanti, come ha fatto finora con grande smacco di Trump, con la sua autarchica “resistenza” e spingendosi ancor più tra le braccia di Pechino e Mosca.

Raisi ha detto che la sua politica estera non si esaurirà con il Piano d’azione congiunto globale sul nucleare iraniano (Jcpoa) e ha ribadito che i missili balistici non sono negoziabili. Ma, per l’Europa e l’Occidente e a dispetto di Israele, non vi sono alternative al confronto con Raisi: per disinnescare il rischio di una proliferazione nucleare nella regione, per allentare le tensioni internazionali e in”ne per gli stessi iraniani.

Un’ulteriore pressione sulla Repubblica Islamica, infatti, non solo le farà rinserrare i ranghi e inasprire le politiche repressive, ma indebolirà ulteriormente i giovani e le classi medie, i primi agenti di un possibile cambiamento.

Luciana Borsatti

Luciana Borsatti

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