Padre Paolo Dall’Oglio, otto anni di silenzio - Confronti
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Padre Paolo Dall’Oglio, otto anni di silenzio

by Asmae Dachan

di Asmae Dachan. Giornalista e scrittrice.

Il 29 luglio segna per la Siria e per l’Italia una triste ricorrenza. In quel giorno del 2013, a Raqqa, città che di lì a poco sarebbe diventata capitale siriana dell’autoproclamato califfato dell’Isis, veniva sequestrato Padre Paolo Dall’Oglio. In questi otto anni si sono rincorse molte voci, ma a oggi non c’è ancora una verità sul destino del gesuita, che viveva in Siria ormai da una quarantina d’anni. In Siria Padre Paolo aveva fondato la comunità monastica di Deir Mar Mousa, diventata nel tempo luogo di incontro e dialogo, meta per turisti e persone alla ricerca di una spiritualità.

Nel 2012 Abuna (nostro padre), come lo chiamano i siriani, era stato espulso dal regime di Bashar al Assad e rimandato forzatamente in Italia per via dei suoi articoli e delle sue denunce su quanto stava accadendo in Siria, sugli abusi contro i civili e sui rischi di una possibile deriva settaria. Padre Paolo aveva apertamente sposato e sostenuto le istanze dell’opposizione pacifica, laica, giovane e inclusiva che scendeva nelle piazze per chiedere riforme, diritti umani, libertà, fino a invocare la fine del dominio degli Assad. All’inizio i rivoluzionari dicevano:
«ciò che non si può ottenere con la nonviolenza, non vale la pena di ottenerlo». Al tempo stesso, aveva messo in guardia dall’avanzata dei gruppi più radicali, che avrebbero minacciato non solo l’esito del movimento rivoluzionario, ma anche il futuro stesso delle comunità cristiane.

Padre Paolo Dall’Oglio si era esposto e aveva preso una netta posizione, tanto da divenire ormai consapevole di essere in pericolo. Per questo scrisse una sorta di testamento, contenuto nel suo ultimo libro
Collera e Luce. Un prete nella rivoluzione siriana (Emi, 2013): «Scrivere un testamento, quando il rischio di morte è eccezionalmente grande, è senza dubbio un estremo lusso. La grande maggioranza dei miei compatrioti siriani uccisi dagli Scud di fabbricazione russa, o da barili di esplosivo di fabbricazione casalinga, dilaniati dai bombardamenti di artiglieria o dai tiri dei cecchini, massacrati a pugnalate, o spirati sotto le torture, comprese quelle sessuali, donne e uomini, non hanno avuto quest’ultimo privilegio. Può darsi che non avrò l’onore di far parte della loro schiera, e questo testamento ha il valore di una semplice testimonianza del mio stato d’animo (…)»

Il religioso di origine romana conosceva gli equilibri interni alla Siria, i rapporti tra le diverse comunità, così come conosceva la delicatezza di certe dinamiche interne al mondo della stessa Chiesa. Sapeva che, avendo apertamente sostenuto il diritto dei siriani a difendersi e lottare anche con le armi contro l’oppressione e gli abusi, era diventato un obiettivo sia da parte del regime, che infatti aveva deciso di espellerlo, sia da parte dei gruppi fondamentalisti. Il suo amore per la Siria e per i siriani, tuttavia, era superiore a ogni cosa e così, nonostante l’espulsione, era tornato clandestinamente nel Paese mediorientale per continuare a lavorare dal basso in favore del dialogo e della riconciliazione. 

«Si può rinunciare a vendicarsi di ciò che viene fatto contro il nostro corpo, ma è più difficile non chiedere conto di ciò che è stato inflitto ai nostri cari. Ed è proprio lì che misericordia e giustizia devono accordarsi e la disponibilità al perdono non può essere separata da una esigenza di verità e di persecuzione del crimine. Perché altrimenti questo mondo diverrebbe una giungla. È evidente che mi augurerei di morire per poter sostenere questa posizione di solidarietà e di intercessione fino in fondo. Però sarò prudente e non mi metterò in pericolo in modo irrazionale, poiché riconosco la signoria di Dio nella mia vita, Dio padrone della vita e della morte nella mia esistenza. Ma non voglio vivere una vita che sia altro da un dono radicale, a morte, a vita».

A distanza di otto anni, le parole del religioso risultano quantomeno profetiche e sembra incredibile la consapevolezza e la lucidità con cui il gesuita le ha aveva scritte. La drammatica evoluzione dei fatti in Siria, con l’opposizione pacifica decimata, milioni di profughi e sfollati interni, intere città rase al suolo e un livello di povertà ai massimi storici, dimostra che tutte le preoccupazioni del gesuita erano fondate. Anche quelle relative alla sua stessa incolumità.

Il silenzio che avvolge la sua vicenda è la triste conferma che il coraggio della verità dimostrato da Padre Paolo Dall’Oglio, oltre ad aver creato intorno a lui una rete di persone che lo amavano e credevano in lui, aveva anche creato una rete di detrattori su più fronti, interni ed esterni alla Siria, di diverse appartenenze religiose e politiche. Il gesuita, con il suo atteggiamento aperto, inclusivo, equilibrato, sinceramente critico, era da molti ascoltato come importante voce sulla Siria, come un
trait-d’union prezioso nel dialogo per la riconciliazione.

Tra le figure di spicco dell’opposizione siriana in molti vedevano in Padre Paolo un interlocutore prezioso, come il compianto Michael Kilo, scrittore cristiano morto in esilio a Parigi il 19 aprile 2021. La bara di Kilo è stata avvolta dalla bandiera siriana dell’indipendenza, come se quel sogno di libertà che lo aveva animato per tutta la vita, costatogli diversi arresti e costringendolo ad allontanarsi per sempre dalla Siria, lo avesse accompagnato fino alla fine. Anche Padre Paolo aveva sventolato quel vessillo. Le figure di Kilo e di Padre Paolo erano unite dall’amore per il Paese mediorientale e dal desiderio di veder nascere una Siria libera, democratica, inclusiva.

Quando il religioso romano venne sequestrato, Kilo si impegnò in prima persona per aiutare i familiari nella ricerca della verità, in particolare per far riavere loro la valigia del religioso, che nessuno si era premurato di riconsegnare. Kilo si era speso molto in nome dell’amicizia col gesuita e si era prodigato affinché i suoi congiunti potessero rientrarne in possesso. I familiari di Padre Paolo lo hanno ricordato con gratitudine, stima e affetto, riconoscendo la sua leale e forte vicinanza umana. Da siriano Kilo conosceva bene il dolore e l’incertezza di chi aspetta un parente inghiottito nei silenzi dei sequestri o delle prigioni in Siria. C’è un vecchio proverbio siriano che, infatti, dice:
«La madre del morto dorme piangendo, la madre dello scomparso non dorme mai».

La condizione di incertezza è un oscillare continuo tra disperazione e speranza, una condizione ben nota alle famiglie degli oltre 250mila desaparecidos siriani. La famiglia di Padre Paolo, che ha provato e continua a provare sulla sua pelle questa sofferenza, si è infatti unita nella richiesta di verità e giustizia per tutte le detenute e i detenuti politici siriani e per le persone scomparse nel nulla in quel buco nero dei diritti umani diventato la Siria. La regista palestinese Yasmine Fedda ha girato il film
Ayouni, letteralmente “I miei occchi”, dedicato proprio alle storie delle persone sequestrate in Siria. Un tentativo di rendere visibili le vicende di chi cerca notizie dei congiunti scomparsi nel limbo del Paese mediorientale. Il film dà voce a chi cerca notizie sui propri congiunti forzatamente scomparsi ormai da anni, includendo anche la vicenda di Padre Paolo e dando voce ai suoi familiari.

A Padre Paolo Dall’Oglio

Arroventato deserto
Nel meriggio 
Sembra prosciugare
L’anima,
percossa dal tumulto
dell’iniqua civiltà
che saccheggia grumi
d’umanità
su rive desolate.
Ma là.
Ai margini della memoria,
è coscienza
il sogno di una profezia
che unisce uomini e città
nel gusto di un convito
che reinventa
la genesi.

Paola Mancinelli

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Asmae Dachan

Giornalista e scrittrice

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