Non si allentano le tensioni in eSwatini (ex Swaziland). L’appello del pastore Zwanini Shabalala - Confronti
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Non si allentano le tensioni in eSwatini (ex Swaziland). L’appello del pastore Zwanini Shabalala

by Luca Attanasio

di Luca Attanasio, giornalista e scrittore

Sulla scena geopolitica internazionale lo Swaziland ha fatto parlare di sé sporadicamente. L’ultima monarchia assoluta d’Africa, complici anche le dimensioni geografiche davvero esigue e una gestione del potere repressiva e in grado di esercitare un forte controllo sulla popolazione, giace totalmente obliata: in pochi, ad esempio, si sono accorti del cambio del nome in eSwatini (“Terra degli Swazi”) nel 2018. Da un paio di mesi, in realtà, il piccolo Stato dalla forma ovoidale incastonato sul confine tra Sudafrica e Mozambico, si segnala per le grosse tensioni che lo hanno fatto precipitare in un tunnel da cui non riesce a uscire. I suoi poco più di un milione e 300mila abitanti, devono aggiungere per la prima volta alla lista dei tanti problemi socio-economici che li affliggono, la violenza estrema. A luglio il numero dei morti e dei feriti causato dagli scontri tra manifestanti e forze di polizia, ha portato l’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu, a dichiararsi “estremamente preoccupato”.

Il pretesto alle rivolte e alle imponenti manifestazioni di piazza del giugno scorso, lo ha fornito l’omicidio, il mese prima, di Thabani Nkomonye, uno studente di giurisprudenza, a opera della polizia. Prima del triste avvenimento, però, si è accumulata per mesi la rabbia di una popolazione allo stremo che, anche a causa della pandemia, ha visto diminuire assieme alle opportunità di lavoro, i diritti. eSwatini ricopre l’ultimo posto delle economie di tutta l’Africa australe, l’indice della malnutrizione è tra i più alti del continente, i due terzi della popolazione sono “cronicamente poveri” e un terzo dei bambini sotto i 5 anni soffre di blocco della crescita. Il tutto condito da una indifferenza sconcertante ostentata dal re Mswati III che continua a incrementare spese miliardarie quali l’acquisto di un Airbus A340-300 di uso personale o l’apertura di cantieri per un Convention Centre da 2 miliardi di dollari o per un mega hotel a 5 stelle, di cui la stragrande maggioranza della popolazione non potrà mai usufruire. La calma apparente che si vive dalla metà di luglio nel Paese, non sgombra i timori di un possibile scivolamento di eSwatini verso una soluzione marziale. 

Le Chiese cristiane, giocano un ruolo fondamentale nel richiamo ai diritti e la difesa della popolazione e sono riferimento per la società civile. Raggiunto al telefono, il pastore Zwanini Shabalala, Segretario Generale del Consiglio delle Chiese dello Swaziland, ha così commentato per Confronti il complicato momento del piccolo Stato dell’Africa meridionale.

«C’è molta preoccupazione sia per la tensione latente che per l’atteggiamento del re che sembra irridere piuttosto che accogliere le istanze della popolazione. Ciclicamente qui da noi si tiene la cosiddetta Sibaya, una sorta di riunione allargata e nazionale convocata dal re per parlare dei problemi del Paese e nominare il Primo ministro [la designazione è a opera esclusiva del re]. Non si teneva dal 2018 e, data l’emergenza, la gente riponeva molte speranze in questa convocazione. In realtà il re si è preso gioco  del popolo, intanto perché ha annunciato la nomina di Cleopas Sipho Dlamini quale nuovo Primo Ministro [il precedente era morto per Covid a dicembre 2020, e da inizio anno Themba Masuku aveva preso il suo posto ad interim] dimostrando di non prendere neanche lontanamente in considerazione le richieste della società civile che vuole almeno la nomina a suffragio del premier, e poi perché ha apostrofato le rivolte e le istanze, quali idiozie [“ispirate da Satana”]. Ha poi escluso ogni possibilità di dialogo adducendo come motivazione pretestuose misure preventive contro la pandemia – che purtroppo sta facendo nuove vittime in questa terza ondata –  per posticipare ogni confronto a data da destinarsi».

Dopo le rivolte e i saccheggi di fine giugno, la situazione è tornata alla calma nelle strade, ma l’aria che si respira continua a essere tesa? 

La continua presenza dell’esercito nelle strade desta grande preoccupazione anche se ora è stata allentata. Inoltre è in vigore il coprifuoco dalle 18.00 e continuano a giungerci notizie di persone brutalizzate e picchiate di notte, quando le strade sono vuote e non ci sono testimoni. Alcuni vengono torturati direttamente nelle loro case sulla base di sospetti che abbiano preso parte ai saccheggi della prima metà di luglio. Non ci sono gli scontri di un mese fa ma lo stato di tensione è percepibile. La gente viene arrestata sommariamente e il Comitato Giustizia e Pace e Riconciliazione delle Chiese dello Swaziland, sta cercando di aiutare le persone in carcere restando in contatto con loro. Il grosso problema è che da quello che si capisce dagli atteggiamenti della monarchia, non c’è alcuna intenzione di dialogare con la società civile e trovare soluzioni pacifiche.

Come sta reagendo la comunità internazionale?

Di recente c’è stata la visita della troika di turno (Sudafrica, Zimbabwe e Botswana) della Southern African Development Community (Sadc) e come Chiese abbiamo chiesto e ottenuto un incontro durante il quale abbiamo fatto presente la situazioni e posto una serie di raccomandazioni. Ma perché si attivi la Sadc, ci vorrà tempo e noi non ne abbiamo. Stiamo cercando di fare pressione attraverso la Fellowship of Christian Churches così come altri organismi ecumenici specialmente in vista del summit del Sadc ad agosto in Malawi. Saranno presenti i capi di Stato di tutte e 16 le nazioni che ne fanno parte e chiediamo che la questione eSwatini sia posta in cima all’agenda. Ma c’è bisogno di aumentare la visibilità e la pressione.  Per questo vogliamo lanciare un appello alle Chiese nel mondo, all’Unione europea, non dimenticateci, utilizzare le istituzioni per mettere più pressione su chi ha il potere in eSwatini, anche attraverso le ambasciate. Dal canto nostro, noi continuiamo a impegnarci con tutti gli interlocutori nazionali perché si apra la stagione del dialogo. Non sarà facile, però, perché il governo non sembra assolutamente intenzionato.

In foto: eSwatini traditional clothes design © Drianbcross / CopyLeft

Luca Attanasio

Luca Attanasio

Giornalista e scrittore

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