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Centootto. Il racconto di un film

by Michele Lipori

di Michele Lipori. Redazione Confronti

Il docufilm Centootto (prodotto da Fai Cisl e Confronti Kino), racconta il sequestro del peschereccio Medinea, avvenuto al largo della Libia e durato centootto giorni, dal punto di vista di alcuni membri dell’equipaggio e di chi, a terra, si è adoperato per il loro ritorno.

Separata dalla Tunisia da poco meno di duecento chilometri, Mazara del Vallo è una cittadina dell’estremo Occidente siciliano che conta poco più di 50 mila abitanti e la cui storia è indissolubilmente legata alla pesca. In particolare, quella al gambero rosso (Aristaeomorpha foliacea), che rappresenta il fiore all’occhiello della pesca industriale nel nostro Paese. Il gambero rosso, infatti, non può essere coltivato e viene pescato sui fondali marini a una profondità tra i 200 e i 1000 metri utilizzando il metodo della pesca a strascico, il cui picco di cattura si concentra nella tarda primavera-estate (da maggio a settembre). Prima dell’avvento della tecnologia che ha permesso ai pescherecci di dotarsi di adeguati impianti di refrigerazione, il gambero rosso era difficilmente commercializzabile a causa della rapida degradazione che subiva durante il trasporto. Ed è proprio a Mazara del Vallo che si sviluppano le tecniche di surgelazione a bordo e, a partire dagli inizi del Novecento, inizia la prestigiosa e remunerativa avventura commerciale della pesca al gambero rosso.

Durante gli “Anni d’oro” – quelli che vanno dalla fine degli anni Quaranta agli anni Novanta del secolo scorso – Mazara conta circa 1300 pescherecci dotati di tale tecnologia, specializzati nella pesca di altura di questo crostaceo. In quegli anni le imbarcazioni da pesca mazaresi percorrevano lunghi tratti di mare, arrivando anche a oltrepassare lo Stretto di Gibilterra.

Oggi, soprattutto a causa dell’incremento dei costi di gestione (prezzo del carburante, ecc.) ma anche dell’impoverimento dei fondali marini, di quei pescherecci ne rimangono circa sessanta e la pesca al gambero rosso avviene – in battute di pesca di circa quaranta giorni ciascuna – sempre più sui fondali profondi del mar Mediterraneo che si trovano in acque internazionali, spesso a ridosso delle coste libiche, tunisine, cipriote e turche.

In quegli anni le imbarcazioni da pesca mazaresi percorrevano lunghi tratti di mare, arrivando anche a oltrepassare lo Stretto di Gibilterra

LA GUERRA DEL GAMBERO ROSSO

Ma i rapporti di “buon vicinato” non sempre riescono a essere garantiti, soprattutto da quando la concorrenza degli altri Paesi del Mediterraneo è sfociata in una vera e propria “guerra al gambero rosso”. Per capire la portata che assume questa “concorrenza”, basti pensare al fatto che – secondo i dati rilasciati dal Distretto della pesca siciliano – negli ultimi 25 anni sono più di 50 i pescherecci sequestrati e altri due confiscati, con il relativo fermo di oltre 30 pescatori italiani. I sequestri, spesso effettuati al fine di ottenere un riscatto, sono operazioni non prive di rischio: sono decine, infatti, i marinai italiani che sono stati feriti in tali circostanze.

Una situazione che si è ulteriormente esacerbata a partire dal 2005, quando Muammar Gheddafi ha deciso unilateralmente di estendere le acque territoriali libiche da 12 miglia (il limite previsto dalle norme internazionali) a 74 miglia al largo della propria costa, al fine di rivendicare il diritto esclusivo allo sfruttamento delle risorse ittiche in quel tratto di mare.

Negli ultimi 25 anni sono più di 50 i pescherecci sequestrati e altri due confiscati, con il relativo fermo di oltre 30 pescatori italiani

Questa realtà, di per sé già critica, non ha potuto che peggiorare con la crisi scaturita in Libia dalle proteste popolari del 2011 che poi – a causa della violenza della repressione governativa – è sfociata in un conflitto armato che ha portato alla deposizione (e poi all’uccisione) dello stesso Gheddafi. 

Dal 2014 – e fino al 15 marzo di quest’anno, quando è stato proclamato il nuovo governo di unità nazionale guidato da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh – la Libia si è frammentata in due entità rivali (il governo facente capo a Fayez al-Serraj e quello fedele al maresciallo Khalifa Haftar) in competizione per ottenere legittimità, governo e controllo del territorio. 

È proprio in questo quadro che si è dipanata la vicenda dei pescatori mazaresi, catturati il 1° settembre 2020 mentre erano al largo delle coste libiche per la pesca al gambero rosso. Un sequestro durato centootto giorni (la liberazione è avvenuta il 17 dicembre) e che ha coinvolto due pescherecci (Antartide e Medinea) e 18 pescatori in totale.

Ripercorrendo le fasi di questo sequestro, con la conseguente reclusione nelle galere nei dintorni di Bengasi, l’allora roccaforte del generale Haftar, il docufilm intitolato Centootto (prodotto da Fai Cisl e Confronti Kino, la neonata casa di produzione audiovisiva che fa capo a Confronti), ha voluto farsi portavoce del punto di vista delle persone (equipaggio e familiari) collegate al peschereccio Medinea dell’armatore Marco Marrone. 

Il racconto di un’assenza “eccezionale” – quella della prigionia, durante la quale i marinai hanno subìto intimidazioni, percosse e violenze psicologiche da parte dei carcerieri libici – che fa da sponda a quella “ordinaria” che è parte integrante del mestiere del “marittimo”.

Pescatori sul Medinea © Michele Lipori

IL RACCONTO DI UN’ASSENZA

I marittimi che formano l’equipaggio del Medinea, come tutti coloro che sono coinvolti nella pesca al gambero rosso (familiari inclusi) sono infatti abituati all’assenza. Ogni battuta di pesca dura all’incirca quaranta giorni e la pausa a terra tra una battuta e l’altra è di appena quattro giorni. A bordo il lavoro è quasi a ciclo continuo, ma i marinai riescono sempre a ritagliarsi un momento per rimanere in contatto con i propri cari, attraverso il cellulare, almeno nei tratti di mare coperti dal servizio telefonico. Non è molto, ma sufficiente per mitigare la nostalgia dei propri affetti e poter tranquillizzare gli animi di chi è a terra, almeno per un breve momento.

I giorni in cui i marinai sono a terra rappresentano per le famiglie un vero e proprio “dì di festa”. È in quei pochi giorni che ci si può ritrovare, che ci si racconta dell’andamento delle questioni domestiche, in cui ci si rende conto delle tappe di crescita dei propri figli e delle proprie figlie.

A bordo il lavoro è quasi a ciclo continuo, ma i marinai riescono sempre a ritagliarsi un momento per rimanere in contatto con i propri cari, attraverso il cellulare, almeno nei tratti di mare coperti dal servizio telefonico

Sono tre i gruppi familiari che si sono raccontati in Centootto. Il primo è costituito da Pietro “Piero” Marrone (il comandante del Medinea) e sua madre Rosa “Rosetta” Ingargiola. Rosetta ha un rapporto ambivalente con il mare: tutti gli uomini della sua famiglia hanno scelto, quasi come fosse una chiamata a cui non si può resistere, di intraprendere la carriera di marittimo. Il marito di Rosetta ha tenuto fede a questa sua scelta – una passione oltre che un mestiere – nonostante la sua malattia, che velocemente l’ha portato via dall’affetto della moglie e dei figli. Ma è l’incidente che circa 25 anni fa ha fatto disperdere il maggiore dei suoi figli – Gaspare – a rendere Rosetta timorosa del mare al punto che ancora oggi non riesce a osservarlo nei giorni di burrasca. Il rapporto tra Rosetta e Piero è molto stretto, fatto di gioia e premure ma al tempo stesso “velato” da ciò che il mare ha portato loro via. Ma Piero, nonostante tutto, non ha saputo allontanarsi dalla vita che ha imparato ad assaporare e amare proprio insieme al padre e al fratello.

Monia Ghoul, la moglie di M'hammed "Franco" Ben Haddada, e le figlie © Michele Lipori

Poi c’è la famiglia composta da M’hammed “Franco” Ben Haddada, da sua moglie Monia Ghoul e dalle tre figlie Naoires, Islem e Dorsaf. Franco è nato in Tunisia e non ha sempre fatto il marinaio. Con la moglie si trasferisce in Sicilia circa 40 anni fa (a Mazara del Vallo c’è una nutrita comunità tunisina ed è l’unica città europea dove si può udire riecheggiare per le strade il canto del muezzin) e prima di imbarcarsi era un operaio. Poi, con la nascita della prima figlia (Naoires, che in lingua araba significa “gabbiano”, il cui nome è stato scelto proprio perché – come un gabbiano – anche lei fosse libera di vivere su entrambe le sponde del Mediterraneo) Franco opta per il mare. 

Sono anni che il Medinea è la sua seconda casa, una casa in cui nessuno è straniero e dove ciascuno – pur nella propria diversità – è “uguale” (perché “ugualmente determinante” alla buona riuscita del lavoro) agli altri. E ancora, troviamo Onofrio “Nuccio” Giacalone – il “motorista” del Medinea, ovvero la seconda carica più importante a bordo, dopo il comandante – sua moglie Rosaria e le figlie Monica e Melissa.

Il racconto di Nuccio è quello che più si concentra sulle difficoltà della prigionia, quello che più insiste sulla disperazione del non avere certezze sul proprio destino e che più di ogni altro porta su di sé la fatica di quest’esperienza. Un racconto che – di fatto – fa da controparte a quello delle tante testimonianze riportate da chi in Libia ha subìto ogni tipo di violenza – fisica e psicologica – per raggiungere le coste europee nella speranza di un futuro migliore.

Rosetta, Monia, Rosaria, Naoires e Monica, in modo diverso, hanno avuto un ruolo determinante nell’attivare le proteste volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e a pretendere una risoluzione da parte delle istituzioni. Madri, mogli, figlie, di età e culture diverse che – unite – hanno saputo dare forza a un movimento che, dal basso, chiedeva giustizia per i marinai rapiti mentre svolgevano il proprio lavoro.

Istanze che sono state raccolte e orientate soprattutto da Marco Marrone, l’armatore del Medinea, Salvatore Quinci, il sindaco di Mazara del Vallo, e da Silvano Giangiacomi, sindacalista Fai Cisl. Il primo facendo da collante con la comunità dei familiari dei pescatori mazaresi e coordinando la protesta a Montecitorio, il secondo dando prova che le istituzioni sono in grado di “mettersi in ascolto” e dunque di agire in favore dei/delle cittadini/e e il terzo supportandone sia moralmente che legalmente la battaglia in atto.

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Michele Lipori

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