di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
All’inizio di luglio il G20 ha raggiunto un accordo per una tassa minima a livello globale per i grandi gruppi di multinazionali (soprattutto digitali). L’accordo è il primo risultato del nuovo corso multilaterale in seguito all’elezione di Biden alla presidenza degli Stati Uniti e rappresenta un passo avanti nel dialogo e la cooperazione tra Paesi con regimi molto diversi.
All’inizio del mese di luglio i ministri delle finanze del G20 hanno raggiunto un accordo che dovrebbe portare all’introduzione di una tassa minima a livello globale per i grandi gruppi di multinazionali, in particolare per i colossi del mondo digitale. L’approvazione finale si avrà solamente a ottobre ma la notizia merita un commento approfondito.
Questo sembra essere il primo risultato del nuovo corso multilaterale che ha ripreso forza in seguito all’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti.
Quando il presidente è entrato alla Casa Bianca, infatti, tutti gli osservatori hanno evidenziato che ì sicuramente avrebbe fatto in modo di riportare le relazioni internazionali in una dimensione più squisitamente multilaterale.
È evidente che il multilateralismo post Seconda guerra mondiale abbia comunque bisogno non solo di rinvigorimento ma anche di un rinnovamento nelle sue forme e nelle sue regole. Questo accordo infatti è importante perché rappresenta un avanzamento verso un nuovo multilateralismo per almeno due motivi. In primo luogo, il G20 è un forum in cui oltre ai Paesi tradizionalmente più sviluppati ritroviamo anche Paesi emergenti dal grande peso economico e politico.
In particolare, è un forum per far incontrare i Paesi occidentali e i grandi Paesi emergenti (India, Brasile, Cina, Arabia Saudita su tutti).
Le profonde differenze che esistono tra questi Paesi sono evidenti. In particolare, sebbene in seguito alla globalizzazione sembrava che un processo di convergenza economica avesse preso piede, non può dirsi lo stesso in termini di libertà democratiche e civili.
Alcune delle economie emergenti sono infatti caratterizzate da regimi autoritari e peraltro in alcuni di questi Paesi la grande crisi del 2009 ha innescato processi di introversione che hanno messo in discussione alcune conquiste democratiche degli anni precedenti. L’accordo raggiunto al G20, quindi, è da interpretarsi con soddisfazione poiché il dialogo e la cooperazione tra Paesi con regimi diversi in molti casi sono difficili.
In secondo luogo, l’accordo su una tassa minima a livello globale rappresenta un grande risultato per il semplice motivo che il potere fiscale è una delle prerogative tipiche degli Stati e quindi trovare accordi su questo tema è incredibilmente difficile.
Se consideriamo che l’Unione europea, che è l’insieme di Stati più coeso al mondo, non riesce ad armonizzare le proprie regole fiscali, possiamo solo immaginare quanto sia difficile che si raggiunga un accordo tra Paesi profondamente diversi.
Probabilmente, l’impatto economico di questo accordo sarà modesto, ma il segnale politico è destinato a essere decisamente più importante. Il segnale di cooperazione e le prove di intesa su un tema da tutti percepito come cruciale oggi possono essere un momento prodromico per concretare momenti di collaborazione più ampi in particolare per quanto attiene alla distensione di alcune relazioni particolarmente difficili.
Perché questa divenga una buona notizia anche per le relazioni internazionali in senso più ampio, è però sicuramente necessario che da accordi di questo tipo vadano a generarsi prassi di dialogo e spillover di maggiore cooperazione anche in altri ambiti in particolare in quello della prevenzione e della risoluzione dei conflitti armati.
A voler fare un esempio, lascia pensare il fatto che un Paese come la Turchia, che negli ultimi anni ha deciso di sparigliare le carte con una politica aggressiva in ambito militare abbia raggiunto un’intesa su questo accordo con Paesi rivali e ostili su altri fronti.
È decisamente prematuro dire se adesso un dialogo con Erdogan possa ripartire anche sul tema della pace e della risoluzione di alcuni conflitti, ma l’adesione a questo accordo è sicuramente una buona notizia poiché lascia aperto uno spazio di collaborazione.
Sicuramente una pace duratura non può essere solo uno spillover e quindi non può davvero concretarsi se essa non viene posta come obiettivo fondamentale al centro delle relazioni tra Paesi ma è anche vero che tali avanzamenti non devono essere sottostimati per importanza ma anzi salutati con il cauto ottimismo che essi ci consegnano.
Ph. © Aaron Young
Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.