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La cala. Cento giorni nelle prigioni libiche

di Giuseppe Ciulla

di Giuseppe Ciulla, giornalista e scrittore

Intervista a cura di Claudio Paravati, direttore Confronti

Giuseppe Ciulla è giornalista e autore televisivo. Nato a Mazara del Vallo, vive a Roma, lavora a La7 e ha realizzato reportage e documentari nei Balcani e in Medio Oriente, tra i quali: Capulcu (2014) e Prigionieri, fuga dall’Isis (2015). Ha inoltre realizzato numerose inchieste e racconti di viaggio: Lupi nella nebbia (2010), Ai confini dell’impero (2011), Un’estate in Grecia (2013).

Nel suo ultimo libro dal titolo La cala. Cento giorni nelle prigioni libiche (Bompiani, 2021), scritto insieme alla blogger e organizzatrice di rassegne letterarie ed eventi culturali Catia Catania (anche lei mazarese), ripercorre i centootto giorni di prigionia dei pescatori della flotta di Mazara del Vallo che dal 1° settembre al 17 dicembre 2020 sono stati tenuti prigionieri dalle milizie di Khalifa Haftar, l’allora leader della Libia Cirenaica.

Cosa ha portato al sequestro dei pescatori mazaresi?

Nove pescherecci di Mazara del Vallo stavano pescando a 34 miglia a largo di Bengasi quando sono stati abbordati da una motovedetta libica. Acque che, secondo i libici, appartengono alla loro zona economica esclusiva, quindi interdetta allo sfruttamento della pesca per i pescatori mazaresi. I mazaresi ritengono invece che queste acque siano internazionali. Questo abbordaggio ha portato al sequestro di 18 pescatori e 2 pescherecci. I pescatori sono stati poi trasferiti a Bengasi, area controllata dall’allora leader della Cirenaica Khalifa Haftar. Da lì è cominciato un sequestro che è durato centootto giorni. I pescatori di nazionalità italiana hanno cambiato quattro diverse carceri e tutti sono stati oggetto di minacce, maltrattamenti, violenze psicologiche e fisiche.

Questa vicenda ci aiuta a comprendere quello che accade e sta accadendo nel Mediterraneo.

Nel libro abbiamo raccontato non solo il sequestro, ma anche la storia della famiglia Marrone-Ingargiola perché ingloba quella di tante altre famiglie di pescatori mazaresi. Rosetta Ingargiola è la mamma di uno dei pescatori sequestrati, Pietro “Piero” Marrone, il comandante del Medinea, uno dei pescherecci sequestrati. Rosetta è una donna di 74 anni che nei centootto giorni della prigionia è stata in prima linea durante le proteste a Montecitorio. La sua famiglia è interamente composta da pescatori: il padre, il marito, entrambi i figli maschi, di cui uno – Gaspare – è morto durante un naufragio. 

Attraverso il racconto di questa famiglia raccontiamo sessant’anni di “guerra del pesce”, intrecciando le vicende private con quelle pubbliche della marina mazarese. I 18 pescatori che sono stati usati come “merce di scambio” da parte di Haftar, un leader che al tempo non era riconosciuto dalla comunità internazionale occidentale, al contrario del suo “omologo” – al-Sarraj – in Cirenaica. Il dissequestro dei mezzi e la liberazione dei pescatori è avvenuto, infatti, soltanto dopo la telefonata che ha accertato la “stretta di mano” tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio con Haftar, con tanto di foto di rito e sfilata del picchetto d’onore.

I pescatori italiani hanno ragione o torto a pescare in quelle acque?

Storicamente i nostri pescatori hanno sempre pescato in quelle acque. E la storia si ripete. Anni fa i pescatori di Mazara del Vallo pescavano nel mammellone, un fondale molto ricco di pesce, davanti le coste tunisine e la situazione di contesa che osserviamo oggi con la Libia, fino a qualche anno fa si verificava con la Tunisia. La differenza è che, allora, i pescatori, pur se fermati dalle motovedette tunisine non finivano in carcere: anche durante il fermo potevano dormire durante il peschereccio, telefonare a casa e addirittura scendere dalla nave. Erano controllati ma liberi, finché poi l’armatore non pagava un riscatto. Il rapporto con la Tunisia è poi cambiato col tempo e i tunisini stessi si sono proposti come forza-lavoro durante gli anni Settanta. Da questa esperienza hanno imparato le nostre tecniche di pesca, hanno portato le famiglie dalla Tunisia a Mazara, i figli hanno frequentato le scuole e si è insediata una comunità tunisina molto forte e importante per l’economia mazarese. Da un’esperienza negativa è nata una bella opportunità. Tutto il contrario di quello che succede con la Libia. 

Anche oggi, con Draghi presidente del Consiglio, osserviamo come l’attenzione sui rapporti tra Italia e Libia sia concentrata soprattutto su questioni quali lo sviluppo di infrastrutture, lo sfruttamento energetico e la gestione dei migranti. La regolamentazione della pesca non sembra ancora essere al centro del dibattito. Manca uno sforzo della politica, anche europea, che si impegni ad agevolare il superamento di una situazione ancora conflittuale.

Nel racconto dei pescatori intravediamo le storie di violenza che si consumano nelle carceri libiche.

Tutto ciò che abbiamo visto nei reportage sulla Libia viene confermato dai racconti dei pescatori mazaresi. Nel loro tour delle carceri hanno avuto come colonna sonora le urla dei tanti detenuti che venivano torturati. Hanno visto con i loro occhi il modus operandi dei carnefici e, una volta tornati in Italia, ne hanno addirittura riconosciuto uno in un documentario prodotto da una Tv francese. 

Cosa vi ha colpito di più tra tutte le storie che avete scelto di riportare nel libro?

Il racconto drammatico della prigionia dei pescatori è dirompente. Forti sono state le privazioni, le vessazioni e le violenze fisiche e psicologiche. Basti pensare che i pescatori hanno trascorso il loro ultimo mese di prigionia in una cella completamente nera. Ne portano ancora addosso i segni. Durante un recente evento di presentazione a Mazara del Vallo ho invitato – insieme a Catia Catania – le persone a stringersi attorno alle famiglie dei pescatori e far loro coraggio. Nonostante fosse passato un anno, è un’esperienza che non è stata dimenticata. Nel libro abbiamo voluto rendere manifesto quello che sembra un paradosso: nonostante tutto quello che hanno subìto, queste persone continueranno a partire e calare le reti, anche a costo della vita.

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Giuseppe Ciulla

Giornalista e scrittore

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