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Senza classi

by Stefano Allievi

di Stefano Allievi. Sociologo, Professore di Sociologia presso l'Università degli studi di Padova.

Siamo abituati a pensare la società divisa in classi sociali e anche se oggi la “lotta di classe” non c’è più, le disuguaglianze non sono mai state così grandi. Ma come sarebbe il mondo se…

La lotta di classe non c’è più. Ma le classi ci sono più di prima. È uno dei tanti paradossi della nostra epoca: le diseguaglianze non sono mai state così grandi (e ci sono tutte le condizioni perché aumentino ulteriormente), ma le vediamo molto meno, o per essere precisi percepiamo molto meno la loro gravità, il loro scandalo. O le chiamiamo diversamente. O ce ne interessano altre.

Più che differenze di classe, si tratta di vere e proprie polarizzazioni di condizione. Una, più visibile perché per certi aspetti è sotto i nostri occhi, riguarda quella che David Rothkopf chiama la superclass: i superricchi (di alcuni dei quali, ma solo alcuni, conosciamo nome e storia), il famoso 1% che possiede più del restante 99%.

Nei loro confronti, a differenza che in passato, c’è più invidia e identificazione che rabbia sociale e protesta. Vivono in un mondo a parte, in cui la ricchezza si riproduce quasi da sola ed è tassata molto meno della povertà o della limitatezza altrui: ma non si sentono i clangori di nessuna rivoluzione a contestare questo status quo.

Giusto un po’ di allarme sociale, ma niente di più significativo: tanto che si minaccia poco, e ancor meno si usa, la repressione, contro quel po’ di rivendicazione che circola qua e là.

L’altro polo si vede ancora meno: è composto dalla underclass, il sottoproletariato globale di cui si è cominciato a parlare già negli anni Sessanta, composto da disoccupati, sottoccupati, lavoratori in nero, marginali, devianti e fuoricasta, che popola le nostre periferie e il backstage di lavori e luoghi anche molto visibili, ma in maniera nascosta, discreta – fa notizia solo quando, di rado, lo si incrocia per le strade del centro, nelle sue forme talvolta folcloristiche e talaltra drammatiche, ma per il resto non ha voce e nemmeno immagine.

In mezzo un enorme ceto medio e medio-basso, in parte impoverito o meno garantito, e dunque impaurito, al limite tra in-group e out-group: se non fattualmente, simbolicamente, o come prospettiva possibile.

Li dividono muri materiali e immateriali, che separano quartieri, vite, destini, futuri possibili: più visibili laddove le diseguaglianze sono più marchiane e arroganti, come in certe città latino-americane in cui la segregazione spaziale tra favelas e quartieri centrali è sancita da muri di mattoni, filo spinato e guardie private; più solidi e invalicabili ma meno visibili laddove sono mascherati da stili di vita diversi e semplice separatezza tra tribù metropolitane.

Non ci sarà un ritorno della lotta di classe come l’abbiamo conosciuta, e talvolta desiderata, nel Novecento.

Perché non ci sono più le sue condizioni necessarie, come le aveva descritte Marx nell’Ottocento: concentrazione anche spaziale della classe operaia, sua omogeneità interna (in termini di salario e condizione materiale di vita), eterogeneità visibile tra le diverse classi, esistenza di barriere rigide tra di esse (riconducibili a due, come noto, per Marx).

Mobilità e quindi possibilità di passaggio dall’una all’altra, eterogeneità delle condizioni, dispersione, non aiutano e forse non consentono proprio più l’elaborazione di una qualche coscienza condivisa di classe.

Tuttavia le divisioni resteranno, o aumenteranno. Perché resteranno, e aumenteranno, le diseguaglianze strutturali: sia quelle distributive, legate all’ammontare delle ricompense materiali e simboliche di individui e gruppi, sia quelle relazionali, oggi ancora più cruciali, che hanno a che fare con il patrimonio di relazioni e i rapporti di potere.

E forse potrebbero portarci di nuovo vicino all’intuizione marxiana dell’esistenza di due sole classi sostanziali, come ha prefigurato Harari in Homo deus. Breve storia del futuro (Bompiani, 2018): una élite di superuomini potenziati e una massa di individui progressivamente meno utili, quando non francamente superflui – se non come consumatori – perché tra loro fungibili e sostituibili con maggiore efficacia da una macchina (e non illudiamoci che ci si riferisca solo alla maledizione del lavoro manuale e ripetitivo: anche una diagnosi medica la farà meglio un computer).

Ma se anche non ci sarà conflitto tra le classi, resteranno altre forme di ineliminabile conflitto: solo, indirizzato, magari ad arte, in direzione dell’appartenenza etnica, della religione, della cultura. E ammorbidito dalle molte forme di circenses digitali, inventate dai superuomini ma a disposizione anche dei superflui.

Stefano Allievi

Stefano Allievi

Sociologo, Professore di Sociologia presso l'Università degli studi di Padova

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