di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.
Lavoratore sem terra, gay e difensore dei diritti umani in Amazzonia, Fernando dos Santos Araújo era sopravvissuto nel 2017 al massacro di Pau D’Arco, nello stato del Pará, in Brasile, nel corso del quale un gruppo di poliziotti aveva fatto irruzione in un’occupazione di contadini sem terra nella fattoria Santa Lucia e aveva aperto il fuoco uccidendo 10 persone. Araújo, che era riuscito a fuggire dopo aver assistito all’uccisione del suo compagno, era diventato un testimone chiave nel processo che doveva stabilire le responsabilità per questa strage ma il 26 gennaio di quest’anno è stato ucciso con un colpo di pistola alla nuca: un’esecuzione.
La sua storia, insieme a molte altre, fa parte della 35a edizione della pubblicazione annuale della Commissione pastorale della terra, un’entità nata nel giugno 1975, in piena dittatura militare, durante l’Incontro dei vescovi e prelati dell’Amazzonia convocato dalla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), e che acquisì in seguito un carattere ecumenico con l’incorporazione di altre Chiese cristiane, in particolare la Chiesa evangelica di confessione luterana in Brasile (Ieclb).
La Commissione sin dalla sua creazione si è confrontata con il fenomeno del conflitto per la terra nelle aree rurali e il grave problema della violenza contro i “lavoratori della terra”, un termine che in America latina comprende diverse categorie di contadini tra cui le comunità tradizionali, i braccianti salariati, le popolazioni indigene, i pescatori e le pescatrici artigianali che vivono nelle zone rurali e hanno nell’uso della terra e dell’acqua il loro sistema di sopravvivenza.
Il rapporto annuale relativo al 2020, pubblicato lo scorso giugno, rivela il maggior numero mai registrato prima di conflitti, di invasioni di territori, di omicidi e scontri per l’acqua e per la terra nelle aree rurali brasiliane. I dati generali mostrano che il numero di incidenti per l’uso della terra è passato da 1.903 nel 2019 a 2.054 nel 2020, con un aumento dell’8%. Il numero di persone coinvolte in questi conflitti è aumentato da 898.635 nel 2019 a 914.144 nel 2020, con un incremento di quasi il 2%; 171.625 le famiglie coinvolte. I dati sono ancora più spaventosi se si analizzano solo i numeri riferiti alle popolazioni indigene: 656 episodi (41,6% del totale) e 96.931 famiglie (56,5%). Diciotto omicidi sono stati riportati nel contesto di questi conflitti, di cui sette – il 39% delle vittime – erano indigeni.
La Commissione sottolinea che questo accade perché i leader indigeni sono in balia di una violenza generata da un atteggiamento del governo che incoraggia lo sfruttamento dei territori e le invasioni, cioè l’ingresso illegale in territori e comunità per godere in maniera illegittima dei beni lì presenti e necessari per la vita e il lavoro della collettività che abita quelle terre.
L’invasione è generalmente accompagnata da deforestazione illegale, accaparramento di terre attraverso l’ampliamento di recinzioni, uso di armi da fuoco, ricerca mineraria illegale, posizionamento illecito di recinzioni per impedire l’accesso a fonti d’acqua, ingresso nel territorio per pesca predatoria, e altre forme di sfruttamento illegale del territorio.
Secondo il rapporto, le vittime delle invasioni di terre indigene hanno registrato una crescita esponenziale: da 40.042 famiglie nel 2019 a 81.225 nel 2020, un aumento del 102,85%, anche in questo caso il 71,8% delle famiglie che hanno subito queste violenze sono indigene. Una vera e propria guerra verso quella parte di popolazione più fragile economicamente, che vive delle risorse della terra e che spesso è custode di interi ecosistemi.
Una parte del Rapporto è dedicato al ruolo delle donne nei conflitti per la terra e al tributo di sangue che le stesse hanno lasciato sul campo: negli ultimi dieci anni (2011-2020), la Commissione ha registrato 77 tentativi di omicidio e 37 uccisioni di donne oltre a una gamma molto ampia di violenze, aggressioni, minacce di morte, arresti, stupri, lesioni personali, umiliazioni, intimidazioni e arresti.
In un’intervista a Radio Mundo Real Isolete Wichinieski, che fa parte del coordinamento nazionale della Commissione, ha sottolineato la difficoltà di avere giustizia per questi soprusi da parte delle comunità per la connivenza che esiste tra i tribunali e le grandi imprese che si occupano di agrobusiness e di sfruttamento delle risorse. La lotta per la terra che le comunità campesine e indigene portano avanti è anche lotta per la salvaguardia del pianeta.
Ph. © Movimento dos trabalhadores Rurais Sem Terra/ Júlia Dolce

Nadia Angelucci
Giornalista e scrittrice