di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
In una Torino sessantottina si possono fare strani incontri, come quello con il nipote di Adolf Abramovič Ioffe: eroe della Rivoluzione russa inviso a Stalin.
Se si tiene per buona la considerazione statistica dei cinque (o sei?) gradi di separazione tra ciascuno di noi e un altro abitante del pianeta, ci sono solo sei (o cinque?) gradi di separazione, che io ho incrociato X che ha incrociato Y che ha incrociato K che ha incrociato W che ha incrociato Z, allora posso dire con molta convinzione che il grado di separazione tra me e certi grandi personaggi della Storia del Novecento è stato di un grado soltanto: tramite Lanza Del Vasto, un grado da Gandhi e dalla Weil; tramite una nipote, un grado da Tolstoj; tramite Alfonso Leonetti, un grado da Gramsci, da Lenin, da Trotskij; tramite Luis Buñuel, un grado da Lorca e dall’amato Hernàndez, da Chaplin; tramite Fritz Lang, un grado da… Goebbels; tramite Armando Borghi, un grado da Malatesta; tramite Nicola Chiaromonte, un grado da Camus, eccetera…
Ne ho avuta di fortuna! E peraltro mi hanno sempre appassionato certi incroci un po’ più diretti con la Storia, che erano ancora possibili, per un giovane irrequieto come me, molti anni fa. Un esempio: una sera a cena da amici a Napoli, negli anni Settanta, c’era anche una donna anziana, vivacissima, simpaticissima; quando qualcuno venne a prenderla per riportarla a casa e chiesi chi fosse ai padroni di casa, mi risposero: «la “glia di Bakunin». Ed era vero, Bakunin ebbe due “glie nel suo esilio napoletano, si dice che in realtà il vero padre fosse il suo segretario, ma si chiamavano Bakunin.
Voglio ricordare un incontro bizzarro e sessantottino. Vivevo a Milano, a quel tempo, ma il ‘68 l’ho fatto soprattutto a Torino, andando e venendo in treno da una manifestazione o un’assemblea all’altra. E un giorno raggiunsi a via Po una manifestazione di quelle che duravano mezzo pomeriggio, e mi ritrovai in un “cordone” di studenti liceali che conoscevo, a braccetto con un ragazzino foruncoloso e simpatico. Cammina cammina, tra uno slogan e l’altro, gli chiesi come si chiamasse. Il cognome era Ioffe.
«Io!e? Ma lo sai che c’è stato un grande generale, un eroe della Rivoluzione russa, che si è suicidato quando la rivoluzione finì nella mani di Stalin, che lo perseguitò perché dissidente e amico di Trotskij?».
Io sapevo di Adolf Abramovič Ioffe dalle grandi Memorie di un rivoluzionario di Victor Serge (l’edizione che circola, di e/o edizioni, ha una mia prefazione, anche se non all’altezza), uno dei più belli e più istruttivi “libri di Storia” del ‘900, che tutti dovrebbero aver letto.
Il ragazzo si fece rosso, «era mio nonno», disse, e non mi dette pace; voleva sapere tutto di lui, ché in casa era proibito parlarne. Anche la moglie di Ioffe, Maria, si era uccisa, ma il figlio era riuscito a fuggire, forse col consenso del dittatore, e si era rifugiato a Torino. Dove, sotto il fascismo, non credeva opportuno rivendicare il passato comunista della famiglia, e dopo la guerra, in una città con un fortissimo Partito comunista ligio a Stalin, non era consigliabile rivendicare la parentela con un trotskista…
Sono strani gli incroci che la Storia permette, talora sorprendenti. La rivoluzione russa e il ‘68! A Torino! Del giovanissimo Ioffe mi sembra, purtroppo, di aver saputo più tardi dai suoi amici che era morto di droga. Amari destini, da nonno a nipote e da una brutta storia a un’altra storia finita malino. Ma non succede spesso che la Storia finisca bene.
Illustrazione di © Doriano Strologo
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini