di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
La Bompiani ripesca dal suo ricco catalogo degli anni Trenta/Settanta autori appassionanti, tra i più grandi dello scorso secolo, tra gli stranieri bastino i nomi di Albert Camus, George Orwell e Graham Greene, tra gli italiani quelli di Elio Vittorini e Alberto Moravia.
Ma Valentino Bompiani guardava attentamente ai gusti del pubblico e seguiva l’aria del tempo, e così come pubblicò un bel libro su Gandhi pubblicò anche Hitler e i generali italiani della guerra di Spagna. Con non diversa abilità riuscì a unire la grande letteratura a quella detta di consumo, un tempo non sempre facilmente distinguibili tra loro, un po’ come nell’Ottocento. Ma è proprio in quegli anni che la critica (i professori e gli “impegnati”) cominciarono a farsi più esigenti e, spesso noiosi e saccenti.
Forse i più caduchi dei suoi best-seller furono negli anni trenta i romanzi ungheresi, ruffiani come lo era il teatro che da Budapest dettava i modelli, in Italia e altrove, al cinema detto dei “telefoni bianchi”.
Uno dei più venduti e amati dei suoi autori fu lo scozzese A. (A sta per Archibald) J. Cronin (1896-1981), autore di best-seller assoluti quali La cittadella, E le stelle stanno a guardare, Il castello del cappellaio, nonché di un simpatico Anni verdi su un’infanzia proletaria e di Le chiavi del regno sulle fatiche di un giovane pastore mandato missionario in Cina (se ne fece un film in cui esordì Gregory Peck). Il film tratto da Carol Reed da E le stelle stanno a guardare (1940), storia di un uomo roso dall’ambizione dell’avidità che provoca la rovina sua e della famiglia, piacque molto a Graham Greene, che apprezzava la capacità di Cronin di costruire storie avvincenti a fondo tuttavia realistico, e in sostanza “di sinistra”.
Cronin era medico, era stato ispettore medico nelle miniere del Galles e altrove e la sua ispirazione lavorò su due ambienti e modelli: il mondo delle miniere, dicendo tutto il male possibile dei loro padroni, soprattutto in E le stelle stanno a guardare (1935) e, su quello stesso fondo, il mondo della medicina. La cittadella è stato da poco ristampato dalla Bompiani di oggi come E le stelle stanno a guardare. E spero che quest’iniziativa abbia successo, che Cronin trovi nuovi lettori con il gusto della narrazione piena, e grazie alla simpatia dei suoi personaggi, minatori in lotta e medici che rifiutano la carriera facile per una scelta che è infine politica.
Se insomma Cronin continua a piacere (e a piacermi!) non è solo per la sua abilità di narratore ma anche per le sue idee, per i modelli che ha proposto. Insomma, Cronin era un laburista, un socialista; uno scrittore molto abile e certo attento al successo, ma che stava “dalla parte giusta” della lotta di classe, ed è anche per questo che lo si legge ancora con piacere. (Da La cittadella fece un bel film King Vidor, un maestro, mentre su ambienti non dissimili lavorò John Ford, partendo dal romanzo di un rivale di Cronin, il gallese Richard Llewellyn, Com’era verde la mia valle che nel 1941 vinse un mucchio di Oscar. Ancora vita mineraria e scontri di classe, ma con una morale molto più conciliante.
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.