di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
Il ritiro delle forze Nato dall’Afghanistan ha messo in luce il fatto che l’Europa non è un soggetto autonomo nello scacchiere geopolitico ma pongo anche un importante quesito alle Chiese: che cosa pensare dello strumento militare come elemento decisivo della politica estera?
La catastrofica ritirata delle forze Nato dall’Afghanistan ha indotto il Commissario Paolo Gentiloni a chiedere di rafforzare lo strumento militare dell’Unione europea. Molti Paesi, tra i quali la Germania e l’Italia, avevano manifestato perplessità di fronte alla decisione di Biden di mettere in atto la decisione del suo predecessore, svincolandosi dal Paese centroasiatico.
L’alleato americano aveva replicato, più o meno: «Se volete, restateci da soli». Poche settimane dopo, lo scontro tra Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna da una parte e Francia dall’altra sulle forniture navali ha confermato quanto era chiaro da tempo: da un lato, l’Europa, Francia compresa, con buona pace dell’eterno gollismo transalpino, è, forse, una potenza economica, ma non un soggetto autonomo nello scacchiere geopolitico; dall’altro, gli Stati Uniti sono ora concentrati sull’Indo-Pacifico.
L’Europa deve proteggere i propri interessi (ad esempio nel Mediterraneo allargato) da sola e il fatto di non disporre di forze militari adeguate costituisce un elemento decisivo di debolezza.
Per la verità, era stato lo stesso Trump a porre rumorosamente, come nel suo stile, il problema dello scarso impegno militare europeo. «Dovete spendere molto di più in armi, possibilmente comprandole da noi»: questa la richiesta trumpiana. Per ragioni opposte, Gentiloni e altri chiedono ora qualcosa di simile.
Al di là delle dichiarazioni, non si tratterebbe di una scelta facile, poiché si tratta infatti di investire molti soldi.
Certo, i complessi militari-industriali dei vari Paesi costituiscono lobby fortissime, ma drenare dai bilanci le risorse necessarie per ciò a cui pensa Gentiloni scontenterebbe molti settori della società, cioè molte elettrici ed elettori, senza parlare delle difficoltà di coordinare i progetti strategici dei diversi Stati dell’Unione, assai diversi e, in parte, conflittuali.
Gli sviluppi politici degli ultimi mesi pongono tuttavia alle Chiese europee alcune domande di un certo rilievo. La principale è la seguente: che cosa pensare dello strumento militare come elemento decisivo della politica estera? Il dibattito ecclesiale oscilla da sempre tra due posizioni che non sembrano più (ammesso che mai lo siano state) in grado di mordere la realtà. Da una parte le infinite varianti della teoria della “guerra giusta”, le quali hanno legittimato ideologicamente tutte le guerre ingiuste della Storia; dall’altra i vari pacifismi radicali che finiscono di fatto per abbandonare la riflessione geopolitica a settori già fortissimi per conto loro, e che hanno interessi ben diversi dal contenimento delle emergenze umanitarie.
Una sorta di “serena schizofrenia” permette di celebrare don Milani (oggi, naturalmente: a suo tempo, era tutt’altra storia) e contemporaneamente di tenersi i cappellani militari.
Vale in Italia per la Chiesa cattolica, ma in Germania, altrettanto tranquillamente, anche per quella evangelica. Nulla impedisce, naturalmente, di continuare su questi binari: basta sapere che, in tal modo, si suggella l’assoluta irrilevanza della parola ecclesiale di fronte drammi della Storia.
L’ossequio cortigiano nei confronti delle massime di saggezza di volta in volta ammannite da questo o quel gerarca ecclesiastico non solo aiuta poco, ma anzi, diffonde l’impressione di voler affogare i problemi nelle parole, cioè di ipocrisia.
Le Chiese cattolica e protestante in Europa (più complesso è il discorso per l’Ortodossia) si dicono convinte che un rafforzamento dell’Unione possa contribuire a equilibri internazionali meno violenti. Gli analisti affermano: senza forze armate più consistenti, e dunque molto più costose, queste sono chiacchiere e la politica estera la fanno solo americani, russi e cinesi.
Che cosa pensano le Chiese di un potenziale ruolo equilibratore di un forte strumento militare? In fondo, dietro a questa domanda vi è quella di sempre sul compito delle cristiane e dei cristiani nella società: testimoniare apolitticamente il regno di Dio nel dissolversi catastrofico della vicenda umana, oppure cercando di contribuire a rendere il mondo meno inabitabile, e pagando, anche nei casi meno infelici, i prezzi economici, ma soprattutto morali, del caso?
Ph. Soldati di tramonto/ © Jean Beaufort via publicdomainpictures.net

Fulvio Ferrario
Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma