di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.
Quale impatto avrà nel continente africano la presa del potere in Afghanistan da parte dei talebani? Se non è possibile (almeno per ora) rintracciare un filo rosso che lega l’occupazione di Kabul con la bufera jihadista che da tempo soffia sull’Africa, la domanda disturba il sonno del mondo occidentale.
Sicuramente l’islamismo radicale di tutto il mondo (al di là delle diversità religiose, politiche, ideologiche e militari) è partecipe della vittoria talebana. E in Africa (dove è in forte espansione sia al-Qaida che i reduci del Califfato) la fuga della coalizione internazionale è già leggenda.
“Dio è grande” titolava il sito internet degli Shabaab somali (legati ad al- Qaida) a commento della caduta di Kabul, anche se i legami tra Mogadiscio e i “colleghi” afghani non sono fino a ora chiari. Ma è una notizia che ci restituisce il clima di questi giorni. Sicuramente – spiegano gli analisti – la vittoria dei talebani ringalluzzisce quei settori radicali che vogliono emulare la lezione afghana, conducendo guerre di lunga durata per conseguire vittorie in un futuro anche lontano. Una spinta alla rivolta.
Anche in Mali il gruppo terroristico Jamaat Nusrat al Islam (affiliato anch’esso ad al-Qaida) si è congratulato con gli studenti coranici. “Stiamo vincendo” è la tesi, facendo un parallelo fra il ritiro delle truppe internazionali dall’Afghanistan e la scelta della Francia di ridurre le loro truppe nel Sahel.
Un campanello d’allarme arriva dal Rapporto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che evidenzia le minacce per la pace e la sicurezza internazionali rappresentate in questo momento dall’Isis. Il documento è stato reso noto lo scorso 3 agosto dal segretario generale António Guterres.
È il frutto delle informazioni in possesso dei sedici Paesi che fanno parte del Consiglio di sicurezza. Secondo gli 007 internazionali, è in crescita l’autonomia decisionale dei gruppi regionali affiliati all’Isis in tutta l’Africa che nella prima metà del 2021 hanno causato un grande numero di perdite alle forze di sicurezza e ai civili. I terroristi sono presenti in Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Mauritania, Camerun, così come in Nigeria, Tanzania e Mozambico. Preoccupa anche l’attività di gruppi armati in Costa d’Avorio e Ghana con una netta espansione verso il Golfo di Guinea.
António Guterres non nasconde la sua preoccupazione. «In questo momento la comunità internazionale e le stesse nazioni interessate non sono in grado di rispondere alle minacce. È davvero essenziale rinforzare la sicurezza nella regione» ha affermato in una intervista il “Numero uno” delle Nazioni unite.
Il segretario generale vorrebbe dare al Force G5 Sahel (contingente interamente africano) un mandato forte dell’Onu e un ricco finanziamento per contrastare il radicalismo armato ma Stati Uniti e Francia si sono opposti temendo la perdita di neutralità di Minusma, la missione delle Nazioni unite in Mali.
Le difficoltà sono dietro l’angolo.
La Francia ha annunciato un ritiro parziale delle sue truppe impegnate dal 2014 nell’Operazione Barkhane. Tra dicembre e gennaio prossimi, è prevista la chiusura delle basi militari di Kidal, Tessalit e Timbuctu, nel Nord del Mali. Il contingente francese che oggi conta 5.100 uomini nel Sahel sarà ridotto a 2500/3000 unità.
La svolta che apre nuovi scenari è costituita dalla decisione del governo di transizione del Mali di avviare contatti con la società privata Wagner per affidarle il contrasto al terrorismo.
Il gruppo Wagner organizza mercenari russi che già operano nella Repubblica centrafricana (dove ufficialmente presidiano foreste di legno pregiato, miniere di oro e diamanti), Sudan (dove nel 2018 sostennero l’allora dittatore Omar Al Bashir), Libia (in appoggio alle milizie del generale della Cirenaica Khalifa Haftar che si oppone al presidente al-Manfi) e Mozambico.
I paramilitari dell’azienda privata Wagner ufficialmente sono destinati alla protezione di impianti per l’estrazione petrolifera e mineraria ma per gli analisti è in realtà il braccio armato non ufficiale del ministero della Difesa di Mosca.
I contractor russi preoccupano i francesi che giudicano un eventuale accordo con il governo di Bamako inconciliabile con la permanenza nell’ex colonia delle loro truppe. Mentre permangono i dubbi sul golpe che nello scorso maggio ha portato alla caduta del governo di transizione poco dopo l’annuncio dell’esclusione dei militari dall’esecutivo. In molti hanno visto la mano di Mosca dietro il pronunciamento delle forze armate. Anche la Germania minaccia di rivedere la propria partecipazione alle missioni nell’area. La Russia ritorna nel grande gioco africano.
Ph. UN Mission in Mali / ©Gema Cortés via flickr
Enzo Nucci
Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana