di Ksenia Golubovič. Critica letteraria, traduttrice e docente.
Intervista a cura di Vera Pozzi. Ricercatrice post-doc nell’ambito del Progetto Postsecular Conflicts del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Innsbruck.
Finita l’era post-sovietica, la società russa è sempre più divisa tra chi rimane imbrigliato nei meccanismi della Macchina dello Stato, per opportunità e mancanza di alternative e chi guarda all’Europa come modello per ridefinire i propri standard di vita.
Ksenia Golubovič, classe 1972, è una scrittrice, critica letteraria, traduttrice e docente. Laureatasi presso l’Università statale Lomonosov di Mosca, ha collaborato con progetti editoriali indipendenti non commerciali, tra cui ricordiamo: Logos (come redattrice e traduttrice), Post-Babel condition, Dictionary of war. Ha inoltre collaborato con la Moscow School of New Cinema. È autrice dei libri autobiografici Wishes granted (nella long-list per il premio Russian Booker-prize) e Serbian Parabel. Fra le sue attività si annoverano l’insegnamento di poesia e cinema, nonché la pubblicazione di saggi e interviste. Ha dichiarato Ksenia Golubovič: «Questa intervista non sarebbe stata possibile senza una lunga consultazione e discussione con Alena Gromova, una designer industriale che lavora con diverse compagnie nell’intera Federazione russa».
Se facessimo un’istantanea della società russa di oggi, cosa vedremmo al di là degli eventi eclatanti?
Innanzitutto direi che oggi non siamo più nell’era “post-sovietica”. Tra le generazioni più giovani sono molte le persone che non hanno avuto alcun contatto con l’Unione sovietica – e dunque non possono essere nostalgiche di quel periodo, avendo avuto esperienza unicamente dello status quo attuale. Questo spazio si articola su due livelli: la superficie, in cui le persone sanno quali sono le loro priorità, che appaiono loro in modo sostanzialmente naturale e seguono il solco mainstream della classe media europea. Istruzione, salute, un alloggio dignitoso, viaggi, guadagno, metter su famiglia nella maniera a loro più consona sono le loro priorità, proprio come chiunque altro viva nel “mondo globale”. Ma c’è anche un altro livello che si verifica quando un individuo fa l’esperienza della pressione esercitata dal Sistema generato dalla Macchina dello Stato nel momento in cui lui o lei cercano di vivere secondo degli standard di vita accettabili. In questo caso, quando un qualsiasi tipo di problematica – interiore o derivata dall’ambiente circostante – incontra questa Macchina, è probabile che l’individuo in questione subisca una pressione sproporzionata. Se dovessi rappresentare questo concetto con una forma geometrica, ricorrerei a quella dell’8 infinito o del Nastro di Möbius: anche quando un certo percorso può iniziare, alla ricerca del meglio, sul lato chiaro del nastro, facilmente ci si ritrova al suo “lato oscuro”. Ma riusciamo comunque ad andare avanti e a raggiungere dei risultati e questo è possibile perché – nonostante tutto – quotidianamente siamo coinvolti in un sistema che ci consente di “costruire ponti”, attraversando le falle di questo sistema. Nel trovare buoni specialisti, buoni insegnanti, la “raccomandazione” funziona come un efficace strumento sociale. Ci aiutiamo a vicenda. E lo standard desiderato rimane ancora “europeo”, anche quando falliamo.
Può fare un esempio delle difficoltà su cui può imbattersi un cittadino o una cittadina quando incontra la Macchina dello Stato?
Ad esempio, nel caso di un problema che abbia come conseguenza una causa in tribunale o di un conflitto con una grande organizzazione, statale o privata. In tal caso il rischio di perdere, anche nel caso di avere ragione, sarebbe certo al 99%. Di recente un’amica mi ha raccontato che nel suo appartamento erano stati progettati dei lavori di ristrutturazione alle tubature che, però, risultavano essere stati eseguiti sulla carta ma non nei fatti. Quel che è successo è che i soldi per le ristrutturazioni sono spariti e i responsabili dei lavori sono spariti ma gli inquilini non hanno potuto citarli in giudizio perché non erano a conoscenza del fatto che la ristrutturazione sarebbe dovuta essere fatta prima della produzione della documentazione. Dunque il loro ricorso non è stato accolto perché arrivato fuori tempo massimo. Il risultato è che gli inquilini dovranno vivere per altri vent’anni con le tubature rotte, che per lo Stato sono del tutto sistemate, visto che i documenti affermano il contrario.
E quindi non è possibile avanzare alcuna pretesa. Cosa può dirci del sistema sanitario, soprattutto durante questa pandemia?
Gli anziani rischiano di non ricevere cure mediche dignitose, perché i medici sono tacitamente avvertiti dalle compagnie di assicurazione di non spendere troppo per le persone la cui vita supera l’aspettativa di vita media che lo Stato ha attribuito ai propri cittadini (70 anni). Così, lo Stato e le aziende private vanno a braccetto nel fare pressione. Se hai il Covid nessuno si prende cura delle conseguenze dovute a esso, di fatto rimani da solo e la tua morte non rovinerà le statistiche ufficiali. In questo modo i cittadini e le cittadine perdono sempre e lo Stato si comporta come un grande truffatore che gioca con carte truccate. Se protesti ti chiamano “estremista”, se usi la retorica democratica puoi essere additato come “agente straniero”, se usi il buon senso puoi essere chiamato “pazzo”.
In che modo le persone possono accedere all’istruzione e trovare un lavoro, o avviare un’attività in proprio nella Russia di oggi?
Innanzitutto è da tenere ben presente che qualsiasi cosa viene fatta attraverso un sistema di legami familiari o amicali o di contatti personali, dunque nessuno si aspetta di riuscire a accedere, ad esempio, a una borsa di studio o di ottenere un posto in una azienda prestigiosa, poiché tutti questi posti sono riservati a chi fa parte del “giro giusto”. Ai funzionari del governo viene data quasi l’immunità, almeno “no a quando lo Stato non decide diversamente e getta uno sfortunato individuo nel mezzo di uno scandalo di corruzione pubblica. Eppure sempre più persone lavorano per lo Stato, perché lo Stato non lascia alternative. La piccola e la media impresa sono praticamente inesistenti al momento. E dopo una certa età le persone non hanno altra alternativa che lavorare all’interno della Macchina dello Stato. Il che li rende dipendenti non dall’economia ma dalla macchina della propaganda di Stato. Dunque sono costretti a far parte del meccanismo che li mette sotto pressione ogni giorno. Questo ovviamente se non hanno legami diretti all’interno del governo e con le persone al potere. Inoltre, c’è un divario molto grande tra le grandi città e i piccoli centri, tra i ricchi e i poveri. Per certi versi, è come vivere contemporaneamente in stato di pace e di guerra.
Com’è articolata la società civile? Si può parlare in termini di “maggioranza” e “minoranza” e, in tal caso, potremmo definire gli appartenenti alla prima “liberali” e alla seconda “conservatori”?
Minoranza e maggioranza sono elementi importanti in ogni discorso politico. E quello di “minoranza” è un termine il cui significato può essere molto ampio.Anche l’élite sociale è una minoranza, così come la categoria degli “esclusi” dalla società e degli “oppressi”: tutto dipende da chi si supporta. Si potrebbe dire che nella Russia di oggi possono essere segno di “buona qualità” tutte quelle persone e organizzazioni che vengono costantemente bollate come “agenti stranieri”, ovvero chiunque riceva soldi dall’estero. Questo perché i criteri del loro lavoro rispondono agli standard europei o americani e supportano i valori della classe media che le persone cercano. Proprio come fu con i dissidenti sovietici, col tempo “gli esclusi”potranno assurgere alla condizione di élite soci
le. La “maggioranza” di oggi è formata da persone che hanno fatto la loro scelta in favore dello Stato, questo perché non sono riuscite a trovare opportunità per formulare scelte diverse all’interno di settori dell’economia più indipendenti. Se venissero interpellate nel modo giusto, queste persone potrebbero esprimere opinioni diverse, ma pubblicamente sostengono il governo perché è da esso che dipendono. Le minoranze sono in larga parte formate da individui che possono ancora “funzionare” in modo autonomo, che si tratti di un’élite sociale, un clochard, un dissidente o un regista. L’ideologia dello Stato non è ancora del tutto totalitaria e lascia alle persone un piccolo spazio per fare qualche mossa indipendente. Ma solo per chi è forte e sicuro.
Cosa ne pensi del concetto di “maggioranza silenziosa” in riferimento alla Russia?
Penso che non esista niente di simile a una “maggioranza silenziosa”. È una nozione molto dubbia su cui si è molto speculato. Talvolta arriva addirittura a tracciare una divisione antropologica tra “noi” e “loro”. Il termine maggioranza silenziosa è usato per inquadrare le persone come una massa sottomessa e infantile di sostenitori di Putin che si aspettano il permesso dello Stato per ogni atto e pensiero. Quello che penso è che esistono persone che tacciono non perché non hanno nulla da dire o perché sono del tutto sottomesse, ma perché hanno avuto un’esperienza traumatica nel dialogo con lo Stato, ovvero come qualcosa che non porta a nulla. E dunque non vogliono passare la loro vita a discutere e combattere senza alcun risultato, privando così le loro famiglie della loro attenzione e cura. Non sono d’accordo quando si punta il dito contro qualcuno o qualcosa. Non si possono incolpare le persone per il desiderio naturale di trascorrere la loro vita in modo confortevole e tra coloro che amano. Inoltre, la lotta per i diritti e per la giustizia per tutti non è mai stata molto “maggioritaria”. Quello che bisognerebbe chiedersi è come la “minoranza” che lotta per i diritti umani potrà trovare un linguaggio in comune con la grande massa umana dei privati cittadini. Questa è la domanda chiave. Così come la crescita interiore, senza compromessi, della “minoranza”. In un’intervista a Carlo Ginzburg nel 2015, ha detto: «Ciò che vedo nella parte liberale della società [russa] di oggi, è un un desiderio inflessibile di smascherare la menzogna, ma non di capire chi l’ha condivisa».
Vede questo rischio anche nel complesso movimento sorto intorno alla figura di Alexei Navalny?
Era il 2015 quando ho fatto questa domanda nel contesto della discussione sull’Ucraina e la Crimea. Pensando a oggi penso di aver già dato una risposta. Per quanto riguarda Alexei Navalny, posso affermare che non è mai stato un mio “eroe”. Per certi versi lo vedo come un nazionalista e un populista, il che è sempre pericoloso perché se dovesse mantenere le sue promesse avrebbero un grande costo sociale. Ma non posso che ammirare il suo coraggio di fronte a tanta sofferenza, la sua prigionia quasi volontaria, la sua decisione di andare fino in fondo. È come qualcuno che ha deciso di fare un esperimento pubblico per dimostrare che la lotta è possibile, che possiamo agire e diventare un simbolo di un’azione come questa al di là di ogni tentativo di privarci della vita.
Vede da qualche parte nella società civile russa – penso a gruppi, istituzioni o singoli artisti, intellettuali ecc. – la presenza di questa volontà di “capire”?
Penso di sì. In larga misura, chiunque faccia oggi un lavoro che abbia un qualche valore cerca di portarlo avanti, cerca di capire la vita delle persone senza farsene apologeta, ma osservandola con empatia. Tra i nomi che potrebbero esserti noti c’è sicuramente Andrej Zvjagincev con i suoi famosi film Leviathan o Loveless. Ma voglio ricordare anche Kirill Serebrennikov, un famoso regista teatrale e gli scrittori Evgenij Vodolazkin e Viktor Pelevin. Ma anche molti altri, inclusa la cantante Manizha che di recente ha preso d’assalto l’Eurovision. Personalmente, amo il modo in cui il carattere e la vita russi sono descritti nei Viaggi di Olga Sedakova, sebbene la sua posizione esprima piuttosto una sofferenza individuale all’interno della condizione russa generale.
Secondo il Calvert Journal [una rivista online che esplora la cultura e la creatività contemporanee del Nuovo Oriente: Europa orientale, Balcani, Russia, Caucaso e Asia centrale], nel 2018 il sito web educativo russo Arzamas ha avuto 1 milione di abbonati sui suoi social media e 4 milioni di visualizzazioni mensili. Possiamo dire che c’è una crescente domanda di cultura? E pensa che questo potrebbe aiutare a sviluppare un atteggiamento verso la suddetta “comprensione”?
Sono stupita di quante persone dimostrino fame di sapere. C’è stato un tempo in cui l’istruzione non era una moda. L’istruzione sembrava non risolvere il problema del raggiungimento del benessere e di un rapido successo. Parlo degli anni ‘90. Adesso è tutto cambiato.Ora il miglioramento di vita arriva solo attraverso l’istruzione. E un buon background da quel punto di vista diventa importante perché ti insegna a pensare e ad ampliare la visione del mondo in cui vivi. Sempre più persone si considerano parte di uno spazio internazionale. Sono rimasto davvero colpita dalla quantità di persone che si sono registrate durante le lezioni di poesia e cinema che ho tenuto a Mosca durante la pandemia. Persone di età diverse iniziano a condividere gli stessi spazi educativi. E l’apprendimento permanente diventa un valore e una norma. Dunque, la “maggioranza” di cui stiamo parlando ha tra le sue priorità anche quella di ricevere una buona educazione. Di conseguenza, si sta percorrendo una strada in cui l’assimilazione degli standard europei di medicina, educazione, cultura, benessere sta indirettamente conducendo all’idea della libera scelta. E questo, ancora una volta, avvicina le persone alla comprensione della necessità di tutelare il diritto di scegliere liberamente. Questa è una delle speranze che ho per la società. Speranza nel tempo, nel cambiamento, nella persistenza. Proprio come disse una volta Samuel Beckett: «fallisci di nuovo, fallisci meglio!».
Ksenia Golubovič
Critica letteraria, traduttrice e docente.
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