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Plan Condor (America Latina)

by Nadia Angelucci

di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice

L’8 luglio scorso il verdetto definitivo della Corte di Cassazione di Roma ha confermato la sentenza di secondo grado e la condanna all’ergastolo di tutti gli imputati per le 43 vittime di origine italiana coinvolte nell’Operazione Condor, un accordo tra le dittature latinoamericane degli anni 70, sostenuto dagli Stati Uniti, per eliminare gli oppositori politici.

C’è la storia di Aurora che, a 22 anni e con due bambine piccole, vede portare via dalla polizia uruguayana suo marito Daniel, in una notte del 1974 a Buenos Aires; rivedrà il suo corpo straziato nell’obitorio di una stazione di polizia dopo più di un mese di ricerche e peregrinazioni tra commissariati e tribunali.

E quella di Juan Montiglio, alias Anibal, studente di origine piemontese che faceva parte dei Gap (Grupos de Amigos del Presidente), guardia personale di Salvador Allende, che l’11 settembre 1973 resta al fianco del presidente cileno fino all’ultimo, viene poi catturato dai militari di Pinochet, costretto a scavarsi la fossa da solo e fucilato.

C’è Gerardo Gatti, operaio grafico, noto sindacalista uruguayano, sequestrato illegalmente nel 1976 dalla sua casa a Buenos Aires nell’ambito di un’operazione repressiva nei confronti dei militanti del Partido por la Victoria del Pueblo, portato al centro di detenzione e tortura clandestina, Automotores Orletti, sottoposto a inumane e brutali torture, desaparecido dal luglio 1976.

E c’è María Asunción Artigas, studentessa di medicina, attivista del Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros (Mln – T), sequestrata insieme al marito Alfredo Moyano nel 1977 in Argentina quando era incinta di un mese, detenuta presso i centri clandestini di Pozo de Quilmes e Pozo de Banfield dove dà alla luce la figlia Maria Victoria e viene poi fatta sparire.

Sono queste solo alcune delle storie delle vittime del processo al Plan Condor che nel luglio di quest’anno è arrivato in Corte di Cassazione a Roma e ha avuto sentenza definitiva. Il processo nasce nel 1999 quando  5 donne, argentine e uruguayane, si recano presso la Procura della Repubblica di Roma e presentano una denuncia per l’omicidio e la scomparsa dei propri cari, cittadini latinoamericani con passaporto italiano, in Uruguay e Argentina, durante le dittature degli anni 70-80.

Comincia così, a carico del magistrato Giancarlo Capaldo, una lunga e articolata attività di investigazione che presto si amplia e finisce per coinvolgere altri Paesi sudamericani. La tesi di Capaldo è che le scomparse di quei cittadini italiani siano avvenute nell’ambito di un accordo tra le dittature sudamericane degli anni ‘70, la cosiddetta Operación Condor: un coordinamento per la repressione politica e il terrorismo di Stato, sostenuto dagli Stati Uniti, che implicava il controllo, la sorveglianza, la detenzione, interrogatori con tortura, trasferimenti tra Paesi, lo stupro e la desaparición o l’assassinio di persone considerate da questi regimi come «sovversive dell’ordine stabilito, o contrarie alla loro politica o ideologia».

Nel 2006 Capaldo emette 146 mandati di cattura internazionali per questi fatti ma nel corso degli anni si arriva, nel 2015, a un processo notevolmente ridimensionato che porta sul banco degli imputati 33 ex militari e civili di quei Paesi per la scomparsa e l’omicidio di 42 cittadini latinoamericani con passaporto italiano.

Nel 2017 la Terza Corte d’Assise di Roma pronuncia una sentenza che riconosce l’esistenza del Plan Condor come coordinamento repressivo e condanna all’ergastolo 8 persone, quelle che avevano una responsabilità apicale, prosciogliendo i quadri intermedi, quelli che di fatto avevano operato i sequestri e avevano torturato e ucciso nei centri di detenzione clandestina.

I parenti delle vittime fanno appello. Nel 2019 la Corte d’Appello di Roma ribalta la sentenza di primo grado e condanna tutti gli imputati all’ergastolo. Questa volta sono gli imputati a fare appello e si arriva così alla sentenza definitiva del 9 luglio scorso, in cui la Corte di Cassazione, Prima sezione, conferma gli ergastoli. Ma il tempo ha fatto il suo corso e molti degli imputati sono morti. Per altri, durante il corso del giudizio, sono stati operati degli stralci. I condannati con sentenza definitiva sono 14.

Tra di loro Jorge Nestor Troccoli, un’altra storia italo latinoamericana. Ex marinaio uruguayano di origine italiana, nel 2007, quando la giustizia uruguayana sta per metterlo sotto processo, scappa in Italia protetto dal suo passaporto italiano. Quando l’Uruguay chiede l’estradizione l’Italia la nega, ma – in virtù di un accordo internazionale tra i due Paesi – Troccoli sarà processato qui. Per lui la condanna è l’ergastolo. È stato arrestato sabato 10 luglio nella sua casa di Battipaglia. Per lui si aprono lunghi anni di carcere, per gli altri condannati, tutti in contumacia, si dovranno attendere le risposte alle richieste di estradizione.

Ph. © Monument Against State Terrorism. Memory Park. Buenos Aires / Gustav’s / Wikimedia Commons

Nadia Angelucci

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