di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
Un recente studio ha mostrato l’efficacia dello strumento dell’embargo per la limitazione delle transazioni di armi leggere. Politiche e iniziative per il disarmo, in particolare, potrebbero nascere da iniziative regionali e avere maggiore efficacia rispetto ad azioni promosse su scala globale.
Il disarmo è tradizionalmente uno dei terreni di cooperazione tra gli Stati. Nonostante esso sia prodromico rispetto alla costruzione della pace, oggi purtroppo sembra un tema dimenticato e infatti negli ultimi anni spese militari e transazioni di armi a livello globale sono aumentate in maniera significativa.
Al di là dei diversi trattati e accordi di non proliferazione, la comunità internazionale si è sovente trovata d’accordo nel perseguire sanzioni economiche finalizzate al disarmo di taluni attori. Gli embarghi sono infatti spesso utilizzati per limitare le importazioni di armi da parte di regimi liberticidi, che abbiano violato in maniera sistematica i diritti umani o che siano protagonisti di conflitti armati con gravi conseguenze umanitarie.
La diffusione di misure di questo tipo non ne garantisce però l’efficacia.
Esiste infatti una copiosa letteratura che spiega e mostra empiricamente perché gli embarghi non funzionano se non in pochi casi a causa della tendenza degli Stati colpiti a trovare nuovi partner commerciali aggirando in questo modo le sanzioni imposte dalla comunità internazionale. Nel caso delle armi leggere il dubbio in merito all’efficacia degli embarghi è ancor più diffuso in virtù del fatto che queste sono facilmente occultabili e trasportabili e quindi triangolazioni commerciali possono essere facilmente organizzate da signori della guerra e trafficanti di varia estrazione. Diverse inchieste e ricerche sul campo hanno mostrato che tale evenienza è purtroppo reale.
Il pessimismo conseguente all’evidenza aneddotica, comunque, è stato recentemente temperato da una recente ricerca realizzata da me insieme ai colleghi Adelaide Baronchelli e Roberto Ricciuti – in corso di pubblicazione sulla rivista The World Economy – che aveva come obiettivo quello di verificare se embarghi multilaterali fossero riusciti a limitare le transazioni mondiali di armi leggere tra il 1990 e il 2017. I risultati mostrano che in media gli embarghi sono riusciti a limitare le importazioni di armi leggere di almeno un terzo. La buona notizia, pertanto, è che gli embarghi sembrano funzionare e che soprattutto non vi sono evidenze in merito all’eventuale aggiramento degli stessi. In pratica, verificando se in seguito a triangolazioni i flussi di armi potessero transitare in territori contigui, non si ritrova alcuna evidenza lasciando dubbi in un senso e nell’altro.
La buona notizia diviene ancora più interessante se consideriamo che distinguendo tra gli embarghi decisi dall’Unione europea e quelli decisi dall’Onu, si scopre che gli embarghi made in Ue risultano più efficaci nel limitare le transazioni di armi leggere.
Questo in effetti non dovrebbe sorprendere se consideriamo che sicuramente l’Unione europea dispone di una struttura e di una coesione in grado di organizzare e monitorare l’applicazione degli embarghi in maniera più efficace.
L’Onu viceversa è evidentemente un’organizzazione meno coesa, caratterizzata da una maggiore diversità e questo rende la cooperazione più “costosa” e quindi più difficile da realizzare.
Questo risultato quindi ci suggerisce una riflessione ulteriore. In breve, è molto più probabile che la costruzione e il mantenimento della pace possano concretarsi non attraverso la costituzione e la legittimazione di un governo mondiale, così come da molti filosofi immaginato in una tradizione di secoli, ma piuttosto attraverso il rafforzamento di governi macroregionali in grado poi di rendersi interdipendenti e convergere su obiettivi desiderabili.
In parole più semplici, in virtù del fatto che un governo mondiale legittimo pur desiderabile non sembra realizzabile, aggregazioni di dimensione macro-regionali possono andare a costituire building-blocks di un sistema globale più ampio possibile. Questo ha conseguenze pratiche evidenti.
La scelta per un Paese di partecipare con coerenza ad alleanze, organizzazioni e politiche regionali può rappresentare un obiettivo primario anche alla luce delle esigenze di costruzione della pace.
Politiche e iniziative per il disarmo, in particolare, potrebbero nascere da iniziative regionali e avere maggiore efficacia rispetto ad azioni promosse su scala globale.
Illustrazione Embargo on arms exports © Christian Durando
Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana