di Luigi Sandri. Redazione Confronti.
Con il fischio del papa, è partito il treno del Sinodo generale dei vescovi che, dopo aver toccato oltre tremila stazioni sparse nei cinque continenti, tornerà infine in Vaticano: carico di merci preziose, o di bauli ripieni di cose inutili? È ragionevole immaginare che, almeno in qualche vagone, vi saranno prodotti e input utilissimi per rinnovare dalle radici la Chiesa cattolica romana.
Domenica 10 ottobre Francesco ha aperto la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che avrà come tema Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione. E ha ben precisato come vada intesa l’iniziativa: «La Parola di Dio orienta il Sinodo perché non sia una convention ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico, perché non sia un parlamento, ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito».
Questa la solenne – ma virtuale – ouverture dell’evento. Poi il 17 del mese in ogni diocesi del mondo il vescovo doveva avviare le modalità per ascoltare i suoi fedeli, chiamati a esprimersi – entro sei mesi – sui possibili temi del Sinodo. Dopo marzo 2022 le singole Conferenze episcopali faranno una sintesi dei vari apporti. Quindi si incontreranno alcuni loro delegati a livello continentale, per inviare poi le loro proposte alla Segreteria del Sinodo guidata dal cardinale maltese Mario Grech. A questa il compito di preparare l’Instrumentum laboris, il documento-base da cui, nell’ottobre 2023, partirà il lavoro del Sinodo vero e proprio.
Quanto, dunque, arriverà dalle diocesi del mondo – sempre che in ognuna i fedeli, a partire dalle parrocchie, ma non solo, siano adeguatamente ascoltati – sarà decisivo per la buona riuscita del Sinodo. Mai, nel post-Concilio, la Chiesa cattolica romana aveva intrapreso una tale gigantesca iniziativa: perché quello che Francesco chiama “ascolto dello Spirito santo” si concretizza, in realtà, in un esercizio di democrazia ecclesiale, anche se si vuole occultare questa parola.
Molte le sfide della futura Assemblea. Sarà naturalmente decisivo che – infine – il Sinodo del 2023 riaffermi che la Chiesa romana, con le sue strutture, si pone a servizio della giustizia e della pace nel mondo, privilegiando gli impoveriti, e s’impegna per la salvaguardia del creato. Tuttavia, riteniamo, sarebbe un alibi fatale se si imboccasse questa strada senza, nel contempo, lanciare decisive riforme strutturali per rispondere alle sfide del tempo e, in definitiva, per annunciare credibilmente l’Evangelo.
La prima sfida è la questione Chiesa-donna. È incredibile che, mentre parte il treno del Sinodo, ancora non si sappia se le donne potranno essere anch’esse “madri”, accanto ai “padri”, dell’Assemblea del 2023. O, dato che questa è “dei vescovi”, la strozzatura istituzionale che le esclude sarà insuperabile o il peso della “base” la aprirà? La seconda sfida è lo status del clero (compresa la questione del celibato). L’argomento, in sé forse non prioritario, tale è diventato dopo che in alcuni Paesi (Stati Uniti d’America, Germania, Irlanda, Australia) inchieste, totali o parziali, hanno evidenziato la piaga della pedofilia del clero, provocando clamori che a poco a poco si erano quasi smorzati: ma poi, in contemporanea con l’avvio del Sinodo, è scoppiata la “bomba” che ha risvegliato anche i più distratti. Il 5 ottobre, infatti, a Parigi è stato reso noto – frutto di trentadue mesi di lavoro – un rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa francese (Ciase), dal 1950 ad oggi. L’indagine è stata voluta dalla Conferenza episcopale, guidata dall’arcivescovo di Reims, mons. Éric de Moulins-Beaufort. Secondo quei dati, negli ultimi settant’anni sono stati da 2.900 a 3.200 i preti pedofili che hanno abusato di 216mila minori. Il presidente della Ciase, Jean-Marc Sauvé, ha sottolineato che si tratta di un fenomeno di “natura sistemica”. Il papa ha definito la vicenda «la nostra vergogna, la mia vergogna».
L’esempio coraggioso della Chiesa di Francia sarà copiato da altre Conferenze episcopali, o rimarrà un masso erratico? Per l’Italia, spiace dover rilevare che, per il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, qui da noi non è necessaria un’analoga iniziativa. Ma davvero? La terza sfida è quella di creare strutture di partecipazione del “popolo di Dio” a tutti i livelli (parrocchiale, diocesano, universale). Impresa asperrima; vedremo, in marzo, se dalla consultazione delle diocesi in vista del mega Sinodo del ’23, emergeranno proposte audacemente evangeliche, o ancora differimenti a un lontano futuro.
Ph. Città del Vaticano © Simone Savoldi via Unsplash
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Luigi Sandri
Redazione Confronti